Don Benito Giorgetta
TERMOLI – La vita è un dono come lo è anche il nome che si porta, forse non sempre condiviso, ma dato dai propri genitori che, oltre a parteciparci la vita, sono chiamati anche ad imporci un nome. Uno dei pochi che è chiamato a scegliersi il nome, col quale sarà identificato, è il Papa. Altra cosa è lo pseudonimo che molte volte si scelgono uomini e donne dello spettacolo. Per un Papa la scelta del nome diventa programmatica nel senso che ognuno si orienta per proporre la propria sensibilità, o far intravvedere le sue intenzioni. Questa carta d’identità che il Papa ha il privilegio di scegliersi diventa un orientamento, una bussola per il proprio pontificato. Il 13 marzo 2013 dalla loggia centrale di san Pietro si è affacciato il cardinale Touran che, nel solenne gergo latino, ha annunciato al mondo l’elezione del nuovo Papa e, immediatamente dopo, ha sciolto i dubbi di tutti coloro che aspettavano, ansiosi, di sapere come si sarebbe chiamato ed ha aggiunto “….qui sibi nomen imposuit Franciscum – “che si è dato il nome di Francesco”.

Dunque il cardinale Jorge Mario Bergoglio è il nuovo vescovo di Roma e si chiama Francesco. Chi scrive, ed ha testimoni che lo possono provare, prima del famoso “Habemus papam”… ha osato “anticipare”, colpendo nel segno, che il Papa di cui si attendeva la presentazione si sarebbe chiamato Francesco. Un desiderio, un auspicio, un’attesa, ma si è verificata l’esattezza pronosticata. Un nome un programma. Il frate di Assisi richiama immediatamente all’umiltà, alla santità, alla docilità e le prime parole e i primi momenti del pontificato di papa Francesco sono ispirati a tutto questo. “Fratelli e sorelle, buonasera”, le sue prime parole dopo un raggelante ed imbarazzante silenzio iniziale. Ed è subito “magia”. E che dire di quell’inchino verso la Chiesa che lui si apprestava a servire a cui chiede la preghiera per essere benedetto prima di benedire? Grande eloquenza gestuale e profonda catechesi ecclesiologica! E fu così che venne un uomo che ha scelto di chiamarsi Francesco. E’ stato lui stesso, il Papa, ha spiegare come mai questa scelta.

“Nell’elezione, io avevo accanto a me l’arcivescovo emerito di San Paolo e anche Prefetto emerito della Congregazione per il Clero, il Cardinale Claudio Hummes: un grande amico, un grande amico! Quando la cosa diveniva un po’ pericolosa, lui mi confortava. E quando i voti sono saliti a due terzi, viene l’applauso consueto, perché è stato eletto il Papa. E lui mi abbracciò, mi baciò e mi disse: ‘Non dimenticarti dei poveri!’. E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito, in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. È per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato; in questo momento anche noi abbiamo con il creato una relazione non tanto buona, no? È l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero … Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri! Dopo, alcuni hanno fatto diverse battute. ‘Ma, tu dovresti chiamarti Adriano, perché Adriano VI è stato il riformatore, bisogna riformare …’. E un altro mi ha detto: ‘No, no: il tuo nome dovrebbe essere Clemente’. ‘Ma perché?’. ‘Clemente XV: così ti vendichi di Clemente XIV che ha soppresso la Compagnia di Gesù!’.

Sono battute …”. Francesco, uomo custode del creato, l’uomo della pace, della povertà… e Papa Francesco sta mostrando d’essere umile, povero, non solo nello stile e nelle scelte ma anche nella strenua difesa degli ultimi che lui preferisce anzi indirizza tutti verso le periferie, soprattutto quelle esistenziali, perché occorre “odorare di pecora”. E quando la minaccia della guerra era incombente subito ha chiesto preghiera e digiuno per aprire spiragli di pace ed ha avuto ragione. La via del dialogo ha prevalso sull’uso delle armi. Il suo desiderio, accolto anche dai mussulmani, dai fratelli cristiani ortodossi e protestanti oltre che, evidentemente, dai cattolici, ha realizzato il desiderio di rispetto, di pace e di astensione dell’uso della forza. Pontefice è “il costruttore di ponti” e Papa Francesco ha costruito il ponte della pace con le armi del digiuno e della preghiera. Venne un uomo che ha scelto di chiamarsi Francesco, profeta per il nostro tempo, testimone dell’amore misericordioso di Dio che non si stanca mai di perdonare; capace di abbracciare i malati con tanta intensità e tenerezza da commuovere e da interrogarci se noi li accostiamo per pietismo o per amore fraterno. “E poi vorrei una chiesa povera, per i poveri”. Anche queste sono parole programmatiche e rinchiuse nel nome scelto.

“Il poverello d’Assisi” è dei tanti modi con cui molti identificano il figlio di Bernardone che ha lasciato il padre terreno, troppo dedito alle ricchezze, per rifugiarsi in quelle di Dio, attraverso il vescovo di Assisi. ”Papa Francesco è stato eletto al soglio petrino da pochissimi mesi ma continua a dare scandalo ogni giorno. Per come veste, per dove abita, per quello che dice, per quello che decide. Scandalo, ma benefico, tonificante, innovativo. È buono come Papa Giovanni, affascina la gente come Wojtyla, è cresciuto tra i gesuiti, ha scelto di chiamarsi Francesco perché vuole la Chiesa del poverello di Assisi. Infine: è candido come una colomba ma furbo come una volpe. Tutti ne scrivono, tutti lo guardano ammirati e tutti, presbiteri e laici, uomini e donne, giovani e vecchi, credenti e non credenti aspettano di vedere che cosa farà il giorno dopo”. Quando finanche Eugenio Scalfari, che certo non è tenero nei confronti della chiesa afferma tutto questo vuol dire che davvero quell’uomo “venuto dalla fine del mondo” ha tutto il fascino e l’incidenza del nome che porta e a cui sta dando ampiamente ragione d’averlo scelto. Il 4 ottobre Papa Francesco va da Francesco in Assisi per esprimere la sua devozione, per riaffermare la sua scelta, per chiedere protezione, per dimostrare che si ha sempre necessità della sorgente. Andare in pellegrinaggio ad Assisi significa come andare “in Arno per sciacquare i panni” di manzoniana memoria. Ci si augura che questa visita costruisca un’altra campata di quel ponte di pace di cui tanto ha necessità l’umanità intera, come in questi giorni ci ha ricordato anche la Comunità di sant’Egidio nell’Incontro internazionale “Il coraggio della speranza”. … E venne un uomo chiamato Francesco.

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