La terra è diventata una spelonca di ladri

Padre Pio
Ospedale San Timoteo e la statua di Padre Pio

TERMOLI – Siamo vicini alla Pasqua. Inizia il culto dell’Amore. Cristo si avvia sul Golgota portando la croce sulle spalle. Lo insultano e gli sputano addosso. In un altro luogo i mercanti nel suo Tempio comprano, vendono e contrattano mentre si scatena una tempesta, un vento forte che devasta e fa volare tutto in aria. La terra si ribella e fa scoppiare una pandemia, un virus contenuto nella bocca di un serpente che ha sostituito sui rami degli alberi il gufo e la civetta.

L’uomo si rende conto di aver abusato di quello che Dio gli aveva regalato. Ma, oramai, è troppo tardi. Il virus risparmia i minori e se la prende con quelli che, in qualche modo, possono essere stati i colpevoli: gli anziani. È inutile appellarsi a Lui e chiedere il miracolo di fare cessare il morbo. Non è un Dio spietato ma giusto che ci esorta a vivere non nella ricerca dei nostri vantaggi e interessi privati, spesso illeciti: Non fate della casa del Padre mio un mercato!” È l’invocazione, in una situazione che non presume di servire Dio mediante violenza. Le sue parole ci esortano e ci aiutano a respingere il pericolo di fare della nostra anima un luogo di mercato e a non vivere solo nella continua ricerca del nostro tornaconto.  

Sembra una situazione assurda, un incubo del quale non si intravede la fine. La fine del tunnel sembra molto lontana, incerta. Rinchiusi nelle nostre case ci è permesso appena di mettere la testa fuori della nostra finestra. La gente sui balconi suona e canta canzoni liberatorie. “Fuori il Virus”… Viva l’Italia… Ce la faremo… Riconquisteremo la nostra libertà di vivere”. Ma non più come una volta! Avremo, forse, una prova d’appello, perché Dio è grande e misericordioso. Saremo più ossequienti verso una natura amica o continueremo ad essere figli di un Dio Minore che mangia i propri figli? È  il momento di dimostrarlo. La famiglia, gli affetti, l’amicizia dovranno essere i nostri nuovi compagni di viaggio in questo percorso terreno che si è oscurato in una nuvola nera di egoismi e ignoranza. Dovremo essere tutti più accondiscendenti verso i nostri simili e le libertà sociali facendoci guidare, questa volta, da un nuovo modello di sviluppo, da una vera socialità, dai veri valori della vita permeati da un sentimento di altruismo. 

I “mercanti scacciati dal tempio” è solo l’ossimoro di una realtà che ci deve insegnare che il denaro non è che un miraggio. Raggiunto il quale, saremo solo degli insoddisfatti perché avremo dimenticato la natura e i sentimenti.

Durante l’ultima funzione del Papa in Piazza S. Pietro, su tutta la facciata della Scala Santa c’erano delle pubblicità per un cellulare, per una marca di scarpe e, infine, per una vettura.  

Sono simili ai simboli del Vitello d’oro fatto eseguire da Aronne come simbolo di successo, denaro ricchezza che gli ebrei, in fuga dall’Egitto, adorarono mentre Mosè era sul Monte Sinai per farsi consegnare dal Signore le Tavole delle Leggi. 

Abbandoniamo, quindi, la ricerca del Vitello d’oro e diamo spazio ai sentimenti! È il messaggio che questo maledetto CORONAVIRUS 19 ci deve lasciare come insegnamento.

CACCIÁTE DA ‘U TÉMPJE

“ A’na cáse mi’ ‘ng’é mercáte!
Páce, féde e pu’ ‘a speranze
‘llavarranne ‘llu peccáte!.
Quésta Cáse ‘hè de Ddi!
Ne ‘hé proprje ‘na spélonghe:
e ‘u padrone songhe ‘hi!”.

L’óre sciuvele ‘a mmizz’i dite
‘mpezzenisce ognè cóse
e ’u munne ‘hè smarrite.
L’aneme no, ne ‘nge scagne
e ne ‘nge  vénne maje
p’aumentâ i guadagne!

T’haje viste sofférénte…
E tra l’indifférenze
e ‘a cattevèrje d’a ggènte
tu pertive quillu légne
‘mbezzenite de sanghe
pe’ ‘nu munne proprje indégne!
Sfuttèváne e sputáváne
 ’i carne dólórante
l’ummene e ‘i cortigiáne
‘lli mercante agguérrite
addinde e fore ‘u Tempje
i farise’ abbrutite
ch’ avive giá cacciáte 
da scanne  ’recupèrte
da i sòlde e da i peccáte.

Ve’ d’a Tèrre  ‘sta véndétte:
no cchjù fiure ‘nd’i sèrre
no cchjù gufe nè cevétte.
‘Ssòp’i ráme ‘nu sèrpènte
‘ssòtt ‘a lénga e ’i dinte
te’ ‘nu virus assaje potènte
che scaténe ‘a pandemi’
e l’umanitá cosciènte. 
ne stá cchjù ‘n grazje de Ddi’.
CACCIATI DAL TEMPIO

“A casa mia non si fa mercato!
Pace, fede e infine la speranza
laveranno quel peccato!
Questa è  la Casa di Dio!
Non è affatto una spelonca:
e il padrone sono io!”

L’oro scivola tra le dita
sporca ogni cosa
e il mondo è smarrito.
L’anima no, non si baratta
e non si vende mai
per aumentare i guadagni.

Ti ho visto sofferente…
E tra l’indifferenza
e la cattiveria della gente
tu ti portavi quel legno
sporco di sangue versato
per un mondo proprio indegno!
Ti schernivano e sputavano
sulle carni doloranti
uomini e cortigiane
quei mercanti agguerriti
dentro e fuori del Tempio…
i farisei abbrutiti
che avevi cacciato
da scanni ricoperti
dai soldi e dai peccati.

Viene dalla Terra questa vendetta:
non più fiori nelle serre
non più gufi nè civette
Sopra i rami un serpente
sotto la lingua e in mezzo ai denti
cela un virus assai potente
che scatena la pandemia
e l’umanità cosciente
non sta più in grazia di Dio.

Saverio Metere
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Saverio Metere
Saverio Metere è nato a Termoli il 23 settembre del 1942. Vive e lavora a Milano dove esercita la professione di architetto libero professionista. Sposato con Lalla Porta. Ha tre figli: Giuseppe, Alessandro, Lisa. Esperienze letterarie. Oltre ad interventi su libri e quotidiani, ha effettuato le seguenti pubblicazioni: Anno 1982: Lundane da mazze du Castille, Prima raccolta di poesie in vernacolo termolese; anno 1988: I cinque cantori della nostra terra, Poeti in vernacolo termolese; anno 1989: LUNDANANZE, Seconda raccolta di poesie in vernacolo termolese; anno 1993 da Letteratura dialettale molisana (antologia e saggi estetici–volume primo); anno 1995: da Letteratura dialettale molisana (antologia e saggi estetici–volume secondo); anno 2000: I poeti in vernacolo termolese; anno 2003 (volume unico): Matizje, Terza raccolta di poesie in vernacolo termolese e Specciamece ca stá arrevanne Sgarbe, Sceneggiatura di un atto unico in vernacolo termolese e in lingua; anno 2008: Matizje in the world, Traduzione della poesia “Matizje” nei dialetti regionali italiani e in 20 lingue estere, latino e greco.