Riflessioni sulla notizia che di 83 milioni di fondi europei per ricerca e sviluppo al Molise ne arrivino zero.
TunnellMacteDibattito
A sinistra Antonello Barone
TERMOLI – Pochi progetti presentati, nessuno finanziato e zero fondi ottenuti. Il Molise che non esiste, per davvero, è quello di un tessuto imprenditoriale e di ricerca capace di progettare e attrarre risorse per fare innovazione e sviluppo industriale. Mentre le piccole e medie imprese di Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Lazio fanno incetta di finanziamenti europei per la ricerca e lo sviluppo, la nostra regione negli ultimi tre anni non è riuscita ad aggiudicarsi nessuna delle risorse previste nell’ambito del programma europeo di finanziamenti Horizon 2020. Ben il 70% delle risorse totali a disposizione dell’Italia, pari a quasi 83 milioni di euro, è andato in sole quattro regioni. Di questi fondi oltre 58,5 milioni sono stati utilizzati per l’innovazione, ovvero messi a disposizione delle start-up più innovative.

I dati emergono dall’analisi annuale di Aster, il consorzio emiliano-romagnolo per la ricerca e il trasferimento tecnologico alle imprese. Ironia della sorte a capo del gruppo di lavoro che esegue l’indagine vi è un molisano, il termolese Antonio Renna esperto di fondi europei e data-analytics. Nella relazione, inoltre, emerge come le regioni meno attive, ma che sono riuscite comunque a portare a casa qualche euro, sono il vicino Abruzzo, con cinque progetti finanziati per poco più di tre milioni di euro, il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna e la Sicilia.

La notizia ha un sapore ancora più amaro se si legge in controluce con le priorità che la politica regionale è chiamata ad affrontare in queste settimane. Ovvero il tentativo generoso, ma forse inutile, di salvare quello che resta, soprattuto in termini occupazionali, di un apparato industriale inefficiente, improduttivo, scarsamente innovativo, affatto orientato alla ricerca e allo sviluppo e dunque anacronistico. Lo sforzo è comprensibile, ma appare velleitario. Arginare l’onda della crisi industriale prodotta dalla globalizzazione, con le sue drammatiche ricadute in termini occupazionali, è impossibile utilizzando vecchie logiche e paradigmi ormai obsoleti.

L’attenzione e l’energia vanno probabilmente concentrate altrove. Diviene prioritario preparare un nuovo terreno di gioco e non tentare di salvarne uno ormai non più utilizzabile. Occorre favorire la costruzione di un ecosistema sociale, accademico e imprenditoriale capace di affrontare gli stravolgimenti in atto nel sistema della produzione e della commercializzazione globale dei beni e dei servizi. Un ecosistema che guardi alla ricerca e all’innovazione come principale leva strategica in grado di garantire un nuovo ciclo di crescita. Se la riforma regionale dei distretti industriali, da troppo tempo rinviata, può avere ancora un senso, va incardinata in questa prospettiva. Occorrono visione, risorse umane, relazioni nazionali e globali per poter iniziare a imitare i migliori standard e accelerare l’inizio di un processo che non può più essere rimandato. C’è bisogno di un luogo che si faccia carico di questa nuova missione: mettersi alla guida di questo cambio di visione, tracciando così l’unica rotta possibile per offrire ancora un senso alla nostra autonomia regionale.

Un player decisivo in questo nuovo contesto può essere il Cosib? Probabilmente sì, ma a patto che esso sappia uscire dal suo antico perimetro burocratico e divenire qualcosa di completamente altro e contemporaneo. Sarebbe utile che la classe dirigente, non solo politica, della regione apra fin da subito una riflessione che concretizzi questa ipotesi. Altrimenti il Molise continuerà a esistere come mera entità amministrativa, ma senza i fondi necessari per creare sviluppo, occupazione e benessere per i suoi residenti. Sopravvivere agli effetti della quarta rivoluzione industriale, appare questa una delle sfide prioritarie che dobbiamo affrontare.

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