Vecchia Seminatrice

LARINO – La cultura della cessione del proprio territorio, una vera e propria regalia, che riguarda sia il pubblico che il privato, in cambio di quattro posti di lavoro o di qualche migliaia di euro, è tanta parte delle difficoltà dell’Italia nel progettare il suo futuro.

Son passati quasi otto anni dall’annuncio dell’allora Sen. Ruta, a Larino, della grande stalla della Granarolo ed io non smetto mai di ringraziare quanti hanno portato avanti, con successo, la lotta politica che ha respinto al mittente la stalla di 12.000 manze, e, con essa, la cementificazione di una superficie di 100 ettari di suolo fertile; l’uso di ingenti quantitativi di acqua (un consumo pari al consumo del capoluogo regionale); l’inquinamento delle acque del Biferno, una vera bomba ecologica per il Basso Molise, che è tanta parte all’agricoltura molisana.

Non smetto mai di ringraziare, dicevo, quanti hanno lottato e vinto un’importante, decisiva battaglia, che ha portato alla vittoria del territorio e, così, ad evitare, di sprecare il domani delle nuove generazioni con l’eredità lasciata da una classe dirigente e politica tutta – sottolineo tutta – schierata a ringraziare la Granarolo per aver scelto il Molise e, nel caso specifico, Larino. Anche questa volta una scelta considerata, dalla classe dirigente e politica del Molise, come un dono, oltretutto benedetto, a dimostrazione della scarsa o nulla sensibilità per la propria identità, nel momento in cui veniva messo in discussione la sua primaria espressione, il territorio, cioè il solo tesoro che il Molise, e non solo il Molise, ha.

Scrivo questo mio commento dopo aver letto su l’ultimo numero di QualeFormaggio – il periodico che, insieme all’altro settimanale on line, Teatro Naturale, ha sostenuto la lotta contro la megastalla – l’ articolo “Inquinamento in Lombardia” e mostrando la cartina che segnala la Pianura padana come l’area geografica più inquinata d’Europa. Un primato che racconta tante cose e tutte di grande attualità, dovuto, se si fa riferimento alle campagne, alla concentrazione di ”grandi stalle affollate di vacche e maiali, le cui deiezioni rappresentano, si sa, una vera bomba ecologica non più sostenibile”.

Ad essere penalizzata dagli allevamenti intensivi, con gli abitanti che respirano sempre male e sempre peggio, anche l’agricoltura estensiva di quell’area e le stesse aziende biologiche. Una situazione che rende lontana la possibilità di uno sviluppo all’insegna della sostenibilità, da più parti (finalmente!) sostenuto e, anche, promosso.

Le scelte politiche, ai diversi livelli istituzionali, tutte marcate da neoliberismo spinto, sono responsabili della situazione grave, pesante del territorio (nella sola “bassa lombarda” si concentra il 51% di tutti i suini e quasi il 25% dei bovini allevati nel territorio nazionale), nel caso specifico, decantato come quello trainante dell’intero sviluppo economico del Paese.

Un esempio che dovrebbe far capire che siamo di fronte a uno sviluppo sbagliato, “fallito”, come afferma da qualche anno la FAO, proprio perché non contempla la qualità della vita, ma solo una fine lenta nelle mani delle industrie farmaceutiche e delle cliniche private.

Dovrebbe far capire anche, soprattutto a quelli che hanno nelle mani le sorti del Paese e dei mille e mille territori che lo rappresentano, che c’è, ancor più oggi, l’urgente necessità di cambiare strada se si vuole risalire dal baratro dove ci ha fatto cadere il sistema delle banche e delle multinazionali con il suo dio onnipotente, quello del denaro, anche quando è solo carta straccia.

La cultura della cessione del proprio territorio, una vera e propria regalia, che riguarda sia il pubblico (Comune e/o Regione) che il privato, in cambio di quattro posti di lavoro o di qualche migliaia di euro, è tanta parte delle difficoltà che registra il mio Molise e il nostro Meridione in generale.

Il rischio di insediamenti che negano il domani alle nuove generazioni, costrette, come sono state e sono, ad abbandonare il proprio paese, il proprio territorio. Non a caso le previsioni di qualche anno fa di cinque milioni, soprattutto giovani, che lasceranno il sud, va avanti senza soluzione di continuità, con decine e decine di paesi che restano vuoti, ormai abbandonati. Un esodo che procede di pari passo con il furto di territorio e, soprattutto, di suolo tanto più se fertile, grazie ai gasdotti, elettrodotti, Xilelle importate, agricoltura industriale e allevamenti superintensivi, pannelli solari a terra, parchi eolici, voglia di autostrade e aeroporti. Tanto per dare continuità al trasporto su gomma, che vuol dire aria inquinata, cemento, asfalto, frane, dissesti, crolli di ponti e di gallerie, distruzione della biodiversità animale e vegetale.

Tutto per il denaro dei nababbi che sfruttano le situazioni e, quello che è peggio, oggi come ieri, in cambio di un biglietto di sola andata per tanti giovani, le vere grandi risorse di cui il sud avrebbe bisogno per un suo sviluppo sostenibile ancora possibile.

Uno sviluppo che è tale se ha nell’agricoltura la sua anima e il suo cuore pulsante di bellezza di paesaggi, bontà di ambienti, generosità e solidarietà di un mondo, quello rurale, che sa cos’è la reciprocità, cioè la capacità non solo di essere di aiuto, ma di contraccambiare.

Pasquale Di Lena

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