MetereMarinoTERMOLI – Il più famoso è l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam (1509-11) per il quale senza una buona dose di pazzia “non c’è rapporto sociale, non c’è legame di convivenza che possa essere piacevole o duraturo”.
Nell’Elogio delle frontiere (2012) di Regis Debray, già compagno di Che Guevara, propone dei confini che, senza diventare muri, possano stimolare il confronto con la diversità degli altri partendo dal riconoscimento di un’identità comune.
L’Elogio della lentezza è di Lamberto Maffei (2014) che ricorda come il cervello sia una macchina lenta e, nel tentativo di imitare le macchine veloci, andiamo incontro a frustrazioni e affanni.

L’Elogio dell’ozio è una raccolta di studi e riflessioni, comprese analisi e soluzioni a problematiche di tipo tecnico-architettonico nel loro riscontro sociale, nei quali Bertrand Russell (1932) propone anche che si lavori per un massimo di 4 ore al giorno per utilizzare più tempo per pensare e socializzare.
Fabrizio de André ha suggerito l’Elogio della solitudine perché da soli si riesce ad accordarsi meglio con il mondo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi quando “addirittura credo si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni, e, siccome siamo simili ai nostri simili, credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri”.
 
L’Elogio della deportazione è una mia modesta proposta che, so bene, molto difficilmente verrà accettata. Prendetelo come un suggerimento. Un suggerimento a quei sindaci che vogliono “riqualificare” la loro città ed è diretto ad alcuni loro consiglieri (ma i consiglieri che consigliano da chi sono consigliati?) e collaboratori. Non si tratta, per carità, di imbarcarli su un vagone piombato ma, al contrario, di mandarli per qualche tempo in altre città con tutte le comodità, ovviamente. Viaggio in prima classe e buoni alberghi (senza però esagerare sennò diventa una vacanza). Destinazione: altre città dove gli esperimenti di urbanistica partecipata e riorganizzazione urbana hanno dato risultati lusinghieri. E anche in quelle dove i risultati sono stati deludenti. Così, tanto per vedere come fanno gli altri e, magari, cercare di farne buon uso per non fare gli stessi errori. Tra gli errori più ricorrenti c’è il credere (certo, in buona fede) che la realizzazione di una idea progettuale sarà come il colorato rendering che l’aveva preceduta e l’illusoria convinzione che per valorizzare uno spazio nuovo basti ispirarsi a un antica fotografia.

È probabile che per ingegneri e architetti (ma farebbe bene anche a chi è impegnato nel settore del turismo e delle attività culturali) lavorare per qualche tempo insieme a colleghi che hanno già affrontato i problemi di riqualificazioni urbane (senza che la città sia stata trasformata in un villaggio turistico o un centro commerciale o un parco giochi) e hanno fatto scelte urbanistiche e architettoniche condivise con le popolazioni (prima, non dopo, con strumenti di più affidabili coinvolgimenti democratici) possa essere una utile esperienza. A vantaggio di tutti. Una permanenza fuori dalle mura cittadine e dai confini regionali, a confronto diretto con esperienze diverse di ampio respiro (insieme a maniere diverse di “gestione del quotidiano”) potrebbe essere una buona occasione di riflessione per quelli che progettano, forse, senza avere un corretto rapporto con il territorio, se non per sfruttarne al massimo le risorse.
In Italia sono state fatte tante interessanti esperienze di pianificazione territoriale, riorganizzazione urbana, restauro dell’esistente, di gestione delle risorse (storiche, ambientali, culturali, naturalistiche, antropologiche …), valorizzazione delle tradizioni artigianali (e non solo centri commerciali) senza penalizzare esigenze collettive e bloccare interessi privati. Forse, andare a vedere cosa succede altrove potrebbe essere utile per i tecnici che, tornati in sede, potrebbero farne un buon e proficuo uso allo scopo di avviare un reale e consapevole rinnovamento (non speculativo) della città. La “cura” potrebbe far bene anche a quei tecnici che in tempi passati, quando erano giovani, si erano impegnati attivamente proprio contro quelle politiche urbane speculative che adesso invece sostengono.

Prudenza: questa “deportazione” dei tecnici darebbe un innegabile vantaggio alla Collettività ma potrebbe non essere perfettamente in linea con interessi imprenditoriali privati: forse allora è meglio che il viaggio non lo paghi l’impresa.
Luigi Marino
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