Ci sono partiti-caserma, partiti eccessivamente personalizzati, partiti di famiglia o clan, partiti caduti dall’alto, partiti locali, partiti a tema, partiti occasionali uso e getta per una elezione amministrativa e, conclusa questa, arrivati al capolinea. Partiti, movimenti, liste, all’insegna della contingenza, della provvisorietà, dell’opportunità momentanea. I partiti di una volta, i partiti storici, come le rivoluzioni liberaldemocratiche dell’800 ce li hanno tramandati, quella forma di partito non esiste più. Senza nostalgia, sembra passata un’eternità, ma c’è qualcosa che non va. Ancora oggi il partito è un’aggregazione di cittadini che, accomunati da un unico bagaglio di valori e principi, decidono di proporsi per contribuire alla gestione della cosa pubblica; per questo diventano luogo di elaborazione culturale-politica, struttura al servizio dei cittadini di cui intercettano i bisogni, le domande, le urgenze e ai quali prospettano soluzioni concrete, compatibilmente con le energie e risorse disponibili e con gli spazi possibili di azione. Laboratori di pensiero non strutture di potere, luoghi di crescita, riflessioni, dibattiti e non occasioni di spartizione di enti, prebende e poltrone. Solo così si fa politica, la politica con la P maiuscola, nel senso cioè di cultura politica. Per il passaggio dalla proposta alla sua realizzazione effettiva, si richiede necessariamente la mediazione politica che diventa allora il passaggio obbligato, cerniera. Governo, istituzioni e partiti traducono in scelte operative quanto stabilito dalla politica.
Ma se c’è rottura tra la cultura politica elaborata dai partiti e la prassi politica, si entra nella crisi della politica in sé. Quando i partiti, nella loro prassi politica perdono il collegamento con il proprio retroterra sociale e culturale, sono destinati a morire, perché è come se perdessero l’anima. La democrazia vive e si regge sui partiti; essa non è succube e in balìa della partitocrazia, ma si rafforza grazie alla libera partecipazione dei cittadini alla vita dei partiti. E per questo non bastano le primarie, né il cumulo di tessere artificiosamente distribuite, né candidature blindate. Un partito vive del continuo confronto tra iscritti/tesserati che periodicamente, spesso e non di rado, dibattono tutte le problematiche del loro territorio e anche le problematiche nazionali, che vivono una continua tensione e attenzione nel seguire l’evolversi dei tempi, gli accadimenti della storia contemporanea, che leggono e commentano qualche pagina di organi di stampa del partito, che segnalano qualche buon libro per la formazione dei più giovani e che cercano di rendere partecipi tutti i cittadini della presenza di un partito vivo ed efficace.
Oggi tutto questo verrebbe facilitato dai moderni strumenti di comunicazione: internet e quant’altro, ma nonostante ciò, c’è latitanza di forme di aggregazioni così strutturate. Non ci si può ridurre ad attività prelettorali o di emergenza, né solo a compiti statutari per eleggere in fretta cariche e responsabilità interne, spesso puramente formali e con metodi cencelliani. É il caso di ripensare e rifondare il partito, pur con i necessari aggiornamenti e adeguamenti di questa epoca postmoderna, in realtà tanto post da rinnegare il pre. C’è da ricostruire, da questo punto di vista, un tessuto, una trama di relazioni, ispirazioni di fondo, condivisione della stessa passione. Auguri.
Finalmente un’analisi onesta dell’attuale realtà politica…..si entra e si esce dai “movimenti” con i propri convincimenti personali, senza identità e con un ricco bagaglio di luoghi comuni.
Politica e sPolitica
Ormai è sparito da tempo anche l’ultimo valore della Politica: “La coerenza” !!!
Non c’è più niente
Concordo con Osservatore ma devo aggiungere: non è solo la coerenza che è sparita dai partiti, la verità è che non c’è rimasto proprio niente, niente di niente, solo l’ambizione personale di arrivare da una parte o dall’altra per avere questo o quell’incarico. Questa è la dura realtà e purtroppo vale per tutti i partiti, nessuno escluso.