Il Tribunale competente, a distanza di 18 anni, non ha ancora chiuso la procedura. Gli immobili pignorati, non ancora venduti dopo tanti anni. Creditori ancora in attesa

TERMOLI _ Fallisce con la sua attività 18 anni fa ma a distanza di tanti anni per la Giustizia non può ancora presentarsi alle urne per votare. La singolare vicenda, esempio emblematico dei faragginosi meccanismi della giustizia, ha visto come protagonista un termolese. Quest’ultimo, sebbene abbia trascorso parte della vita ad “espiare” la colpa, non è stato ancora riabilitato per esprimere quello che la Costituzione Italiana considera uno dei diritti inalienabili dell’uomo.

E’ una storia di “ordinaria ingiustizia” quella che ha coinvolto un imprenditore della città all’ombra delle sezioni fallimentari dei tribunali. Nove anni e mezzo, secondo un’indagine del Sole 24 Ore, la media per chiudere un procedimento. Troppi, specialmente se si guarda agli estremi della forbice italiana: 5 anni a Trento, oltre 22 anni a Caltanissetta eppure la Giustizia dovrebbe chiamarsi nello stesso modo in tutte le Regioni d’Italia.

Eppure non è così. In merito al fallimento da una parte, il diritto del creditore a riavere indietro il dovuto per utilizzarlo come meglio crede. Dall’altra, il diritto di una persona dichiarata fallita di rifarsi una vita, con tutte le cautele che un tale passato deve necessariamente imporre. In mezzo, il diritto di entrambi di ottenere giustizia in tempi rapidi. 

Il termolese, dichiarato fallito nel 1992, oggi, dopo 18 anni, non ha ancora recuperato il diritto a esprimere il proprio voto perché la procedura in Tribunale non è stata ancora chiusa. Dunque nessuna possibilità di richiedere un prestito,  per non parlare degli immobili pignorati che non ne risulta venduto neanche uno. La stessa sorte insegue inesorabile anche i suoi creditori: la giustizia non è riuscita a tutelare neppure loro.

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