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TERMOLI – Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa. Questo vecchio proverbio va ancora bene e bene si adatta alla situazione che si è venuta a creare a Termoli. Bisogna cambiare panca con tunnel, la prima capra con l’impresa e la seconda con il termolese. Adesso che il progetto-mistero è stato svelato (o c’è qualcosa ancora che tenete nascosta?) si capisce chi ci guadagna e chi ci rimette (ah, la vecchia passatella!).
È legittimo chiedersi come siano andate le cose. La prima ipotesi è che l’amministrazione ha pensato a questo piano rivoluzionario e lo ha proposto all’impresa che ha accettato di buon grado; la seconda è che l’impresa ha concepito questo progetto e lo ha proposto all’amministrazione che di buon grado l’ha accolta. Forse ogni termolese potrebbe immaginare una terza ipotesi.
Per quelli che come me non capiscono niente di economia urbana e del territorio rimane un forte dubbio: ma Termoli da questo progetto cosa ci guadagna realmente? Qualche posto macchina -che sarà a pagamento, non vi illudete- che permetterà di andare a sedersi ai tavolini degli spazi recuperati e valorizzati? E se, invece, tunnel e parcheggi servissero soprattutto per valorizzare le attività imprenditoriali private che intorno a queste si svilupperanno? L’impresa, da questo punto di vista, avrà solo da guadagnarci in tutto il quartiere (tanto non pagheranno nemmeno le tasse di affissione per farsi pubblicità).
Tutta questa disponibilità da parte dell’amministrazione è per avere il tunnel e il parcheggio? Ma allora, perché non si fa soltanto il parcheggio (e allora forse 5 milioni bastano) valorizzando il colle del Pozzo Dolce come un’area verde e demolendo tutti i bunker che vi sono stati costruiti finora?
Il progetto va invece in altra direzione, viziato da una elefantiasi progressiva che rischia di diventare irreversibile. A leggere le relazioni di progetto si rimane impressionati dalla disinvoltura con la quale si propongono trasformazioni devastanti per la città e dalla disinvoltura con la quale queste vengono giustificate.
Due esempi tra i tanti (tratti dalla relazione): “l’abbandono dell’ultima ‘consegna’ ereditata dalla storia, che verrà tradita in nome della prossima, senza tradizione non c’è cambiamento, senza tradimento non c’è modernità” che di fatto giustifica, come in questo progetto, qualunque intervento. Tradizione è tutt’altra cosa e meriterebbe quel rispetto che a Termoli solo raramente c’è stato.
A proposito della sala polifunzionale: (che) “viene a costituire un volume emergente e riconoscibile. L’idea progettuale sul piano architettonico presenta un segno deciso che predomina nello spazio all’aria aperta di piazza Pozzo Dolce, segnato dal volume in aggetto che consente di godere, al tempo stesso, dello strepitoso panorama”. D’accordo sul panorama ma viene il sospetto che mettendosi dalla parte del panorama quello che si vede dietro non sia altrettanto strepitoso.
Visto che la pubblicità è l’anima del commercio e il progetto termolese è soprattutto commercio, ben venga la pubblicità che gli farà il dibattito pubblico. Tra qualche anno, quando qualcuno scriverà una nuova storia dei massacri architettonici, potrà inserire anche questi.
Luigi Marino