
A Termoli due delle ultime quattro legislature sono così terminate in anticipo, smentendo lo spirito delle nuove disposizioni. Da questo punto di vista il vecchio sistema, che nel corso della stessa legislatura consentiva il cambiamento di alleanze e quindi di maggioranza, pur debole dal punto di vista dell’incisività dell’azione amministrativa, garantiva continuità del mandato del consiglio, se non della giunta. Insomma l’elezione diretta del sindaco, accanto a indubbi (o presunti) elementi positivi, ha introdotto nuovi fattori quali l’eccessiva personalizzazione, un profilo sempre più basso del ruolo dei partiti e quindi della cultura politica, e non sembra aver eliminato i guasti e le storture del sistema precedente. Alla fine, l’impressione è che la democrazia sia costretta a pagare un prezzo eccessivamente alto. Se si considera il cambiamento della composizione del consiglio comunale e della giunta, con le uscite e le new entry, alle quali abbiamo assistito fino ad oggi (e non è detto che sia finita), ci si può rendere del valore del peso e della scelta democratica del voto elettorale.
C’è qualcosa che non funziona. Rispetto al vecchio sistema, non pare sia cambiato molto rispetto alla tenuta di una maggioranza e di una coalizione; nuovi gruppi consiliari, nuovi esponenti di partito, nuove composizioni ed equilibri all’interno degli organi istituzionali, nuova composizione della stessa opposizione, e anche nuovi scenari per il futuro, sempre con il rischio incombente di tornare a votare, un rischio che come una spada di Damocle pende sul capo di tutti gli attuali membri dell’amministrazione, maggioranza e opposizione, ma soprattutto sulla sorte della vita della città. La causa di tutto ciò, a nostro modesto avviso, è da ravvisare nella debolezza dei partiti politici, i tanto vituperati partiti che, secondo tanti, sono stati la causa degli inciuchi della vecchia politica nelle mani e sotto ricatto della partitocrazia, che come un mostro divorava tutto e tutti.
Naturalmente non si tratta di un ritorno al passato (eppure auspicabile se significasse un ‘ritorno al futuro’), ma non v’è dubbio che dell’antico bisogna salvare il valore di cui esso era portatore e cioè una cultura politica che formava alla responsabilità e all’impegno per la gestione e lo sviluppo della cosa pubblica. E come sempre accade, quando manca il valore ci si illude di correre ai ripari con nuove norme e leggi; ma non sono le nuove disposizioni e i regolamenti diversi che creano cultura politica.
É piuttosto vero il contrario: solo un’autentica cultura politica è capace di generare legislazioni più adeguate al cambiamento dei tempi e in vista di una migliore e più efficace azione amministrativa. Chi viene proposto ed optato nelle liste o si autocandida va valutato non semplicemente in misura del suo eventuale peso elettorale (quanti voti garantisce grazie alla sua numerosa famiglia e alla sua attività professionale) ma per la sua ‘posizione politica’, cioè per il livello di maturazione di una cultura politica ottenuto con la frequentazione della vita di una formazione partitica che gli garantisce un retroterra solido per poter essere portatore di una visione complessiva, di ideali forti e certi, non in balìa delle prime sirene promettenti poltrone, prestigio e potere. Si dovrebbe dire basta con le improvvisazioni, con opzioni di comodo, specchi per allodole, quote di vario genere, reclutamento dalla ‘società civile’, come se questo bastasse per acquisire patenti di capacità politiche, di personalità prestate alla politica, come si suole dire con un’espressione poco felice; di questi tempi i prestiti …sono molto rischiosi e fragili.