L’architetto Saverio Metere intervista il poeta/scrittore Saverio Metere in occasione del memorial del “Premio Basilico” che si terrà domani 18 agosto al Teatro Verde di Termoli.

TERMOLI – Caro Saverio, vado subito alla domanda che attiene in modo specifico a questa strana intervista: secondo te, c’è un equilibrio tra architettura e poesia? Insomma, ti senti più un architetto prestato alla poesia o più un poeta prestato all’architettura?
Direi entrambi! E gli esempi in questo campo sono tanti. Uno illustre per tutti. Enzo Jannacci era un chirurgo con specializzazioni cardiologiche conseguite in America. Eppure…
Personalmente, ho svolto la professione d’architetto e anche quella d’insegnante di scuole superiori con molta passione. Lo stesso posso dire anche della poesia e dell’arte in genere. Le mie nozioni d’architetto mi hanno permesso di capire meglio il mio paese, la sua caratteristica urbana, le cose belle e specialmente le cose brutte. Ogni qualvolta tornavo per le vacanze mi rendevo conto dei guasti che il paese subìva. Il “sacco di Termoli” dovuto in particolar modo al P.R.G. del ’71, è stata la molla che ha suscitato i miei primi sdegni poetici. Fu in quell’occasione che scrissi: Tèrmele de mò, la mia primapoesia, un’invettiva contro lo scempio che stava devastando la città.
Caro Saverio, quando hai scoperto di voler scrivere poesie e perché proprio il termolese è diventata la tua lingua poetica.
A scrivere in vernacolo ho cominciato molto tardi ma la “prima poesia” in lingua la scrissi che avevo 12 anni. Ho curato questa passione fino ai primi degli anni ’80. Ero già a Milano quando ho pubblicato in vernacolo il mio primo libro dal titolo emblematico: “Lundáne da’ mazze du’ Castille”. Da allora non ho smesso più!
Cercai una grammatica e la trovai presso la Biblioteca Sormani di Milano. Era stata scritta dal prof. Ernesto Giammarco, docente di glottologia presso l’Università degli Studi di Chieti.
Per la seconda parte della domanda ti rispondo che ho scelto il nostro idioma in quanto, da sempre, io penso in termolese. E, quindi mi è più congeniale. D’altra parte, Il vernacolo è una radice da non perdere anzi da conservare come “memoria storica” specialmente quando si va in un altro paese.
Caro Saverio, in oltre 40 anni hai pubblicato tantissimo: poesia, prosa glossari e persino una sceneggiatura. C’è un’opera a cui sei più legato?
Sono tutte figlie mie e non ne disconosco nessuna. Come faccio a scegliere? Ci sono certamente poesie che hanno avuto più consenso rispetto ad altre; come Matizje, una metafora della vita dell’uomo, molto profonda e racchiusa in pochissimi versi; oppure, Termoli Napoli, Milano …SOLO ANDATA! Un excursus rapido della mia vita nelle tre città dove ho vissuto; e anche Famiglie, la storia della mia famiglia allargata, una storia d’amore che qualcuno a male interpretato; una brillante e divertente sceneggiatura Specciamece che stá arrevanne Sgarbe; e, infine, il GLOSSARIO che giace nella nostra biblioteca e che nessuno si degna di andare nemmeno aconsultare (sic!). Amministrazione Comunale compresa! I miei colleghi scrittori/poeti, poi, si rifiutano anche di…buttarci l’occhio, pensando di poter compromettere il modo in cui scrivono. Ho proposto al sindaco di venire a fare delle lezioni nelle scuole, personalmente e a titolo gratuito per le terze media e primo anno delle superiori. Tutto tace!
Carissimo, dal 2019 organizzi la rassegna estiva:” ‘Massère ce parle termelèse” che ha coinvolto tanti poeti. Come è nata questa iniziativa? E come vedi il futuro della poesia in vernacolo?
Con calma rispondo ad entrambe le domande. La prima risposta l’hai, suggerita tu! Lo scopo, infatti, è quello di trovare sempre nuovi poeti in vernacolo che possano dare una continuità alla nostra lingua madre.
Per ciò che riguarda il futuro, mi appello sempre al mio Glossario affinché l’Amministrazione si…sporchi le mani e dia la possibilità alle scuole di consultarlo. Anche perché, a suo tempo, ha contribuito a farlo pubblicare partecipando alle spese.
Caro Saverio, cosa ti spinge dopo tanti anni a scrivere, pubblicare, condividere poesie in termolese. Qual è il tuo motore interiore.
Ciò che mi fa scrivere poesie in termolese è Il ricordo di una bellissima gioventù trascorsa a Termoli: il mare, il sole, quelle lunghe “vasche” per il Corso Nazionale ad aspettare, come ne’ I Vitelloni di Fellini, qualcosa che non succedeva mai; dove l’alternarsi delle stagioni erano segnate dalla fine della scuola e il suo inizio, tra il Natale e la Madonna a Lungo. E poi: l’estate! Che portava a Termoli sempre facce nuove; la settimana di vacanze alle Isole Tremiti; il lento movimento, continuo, che abbagliava, scuoteva i sensi e la fantasia che voleva evadere sempre alla ricerca di cose nuove.
Caro Saverio, il giorno 18 agosto ti hanno invitato per ricordare Lino Basilico, tuo grande amico. Che ricordo personale vuoi condividere con noi.
“Line ‘a pellacce”. Così lo chiamavamo, perché era sempre in movimento, un’anima in pena che cambiava ogni tanto mestiere. Amico di cenette e passatelle a base di birra insieme anche all’amico Fernando Lanzone “Cianne”, il proprietario della Torretta, suo cognato; e di serate vissute all’ombra della nostra gioventù che passava inesorabilmente. Anche lui andò via da Termoli. Andò a Novara, se non ricordo male. E da lì tornò pieno d’ardore, d’amore per il suo paese e la gente che faceva il duro lavoro del mare. E ad essi, dedicò la poesia dal titolo: MARENÁRE.
Carissimo Saverio, siamo giunti all’ ultima domanda, la più emblematica e impegnativa. Se potessi lasciare un messaggio ai giovani che oggi magari non parlano più il termolese, che cosa diresti loro.
Ne lascio due. Il primo è di carattere tecnico e riguarda la differenza tra Vernacolo e Dialetto.
Il primo indica la lingua vernacolare limitata ad una precisa e ristretta zona geografica, con particolare riferimento ai tratti che lo differenziano dalla lingua letteraria, ed è usato particolarmente dal popolo; il secondo si differenzia perché ha una copertura geografica ed un uso più vasti; perciò anche la Divina Commedia è scritta in dialetto fiorentino. Il dialetto è, insomma, una lingua che si è evoluta in un’altra. Può essere, perciò, anche una lingua regionale e, per alcuni versi, la dissoluzione del latino trasformatosi in lingua parlata. Non a caso i nostri predeccessori, D’Andrea, Perrotta e lo stesso Carlo Cappella, usavano il dittongo “ae” per indicare la “a” muta.
Il secondo messaggio che vorrei lasciare ai giovani termolesi è di carattere più personale, anche se ha il carattere dell’oggettività. Può sembrare un paradosso ma a loro vorrei dire: ”… Se volete bene al vostro paese, dovete andarvene!”. Solo così essi potranno capire ed apprezzare fino in fondo ciò che hanno lasciato: i luoghi dove sono cresciuti, i tiepidi autunni, le calde estati, l’umidità dell’inverno e quando la sera, tornando a casa, sentono il profumo del mare e del pesce che hanno pescato i nostri marinai…
Si troveranno, come il sottoscritto, a per rivendicate il diritto di continuare a ritornare sempre per innaffiare le proprie radici che altrimenti si seccano a causa della impossibilità di essere potuti restare per non aver voluto accettare i compromessi.
Perciò, chiudo questa intervista con un’ultima poesia. É la seconda, in assoluto, che ho composto quando decisi di andarmene definitivamente da Termoli e che fa parte sempre del mio primo libro, Lundáne da’ mazze du’ Castille”: LÉTTERE A TÉRMELE: è intrisa di tanta amarezza ma è vera e sincera.
Saverio Metere
Post scriptum.
È duopo andare a rileggersi in biblioteca le poesie citate:
– TÉRMELE DE MO’(di Saverio Metere)
– LÉTTERE A TÉRMELE “ “
– MARENÁRE (di Lino Basilico)