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StumpoMarcellaLARINO – La recente  autorizzazione del metanodotto Larino-Chieti, concessa in Consiglio Comunale a Larino, va ad aggiungersi alle altre già date dai comuni molisani interessati dal percorso dell’opera, nel silenzio generale. 
Di questa vicenda, come di tante che sulle nostre terre espropriano i cittadini del loro territorio, si è parlato pochissimo; e quel poco che si è saputo, come sempre, è stato dovuto alle segnalazioni e alle azioni degli attivisti di  comitati e associazioni: la Fondazione  Milani se ne  occupa dal 2015, e a gennaio 2016 ha partecipato all’Inchiesta Pubblica convocata dalla Regione Abruzzo in seguito alle pressioni delle associazioni e dei comitati, anche molisani.
Vediamo dunque di capire di cosa parliamo quando parliamo di gasdotto Larino-Chieti: esso costituisce parte di un complesso sistema di nuovi stoccaggi gas, che dovrebbe collegarsi con il costruendo e controverso gasdotto TAP e percorrere tutta l’Italia fino alla Lombardia. Un’opera indispensabile e ad impatto zero, a sentire i signori della Gasdotti Italia (azienda di proprietà di un fondo di investimenti inglese) e unire le aree di produzione (pozzi) con i siti di stoccaggio del gas. Un’opera ad esclusivo uso e consumo dei petrolieri, inutile e pericolosa per molisani e abruzzesi, come diventa evidente a tutti se si guarda una semplice mappa.

Leggendo la documentazione progettuale  non si capisce bene a cosa dovrebbe servire questa nuova grande opera lunga oltre 100 km, che attraverserà ben 19 comuni abruzzesi e 7 molisani, zone densamente abitate e aree agricole di grande valore, nonché 8 Siti di Interesse Comunitario per la biodiversità.
Se si prova a sovraimporre il tracciato del nuovo metanodotto alle varie concessioni di idrocarburi presenti sul territorio ci si accorge subito che quest’opera serve esclusivamente al collegamento tra grandi titoli minerari (se consideriamo Permessi di Ricerca e Concessioni di Coltivazione), dove dovrebbero sorgere i pozzi di estrazione, e ben tre stoccaggi di gas, che sono il “polmone” del sistema. Si tratta del “Treste”, a cavallo tra le due regioni, già in funzione da tempo, del “Sinarca” in Molise già autorizzato e da costruire, e del “Poggiofiorito”, in Abruzzo, in via di autorizzazione e su cui pendono i ricorsi al TAR del Comitato, di 14 comuni e della Regione Abruzzo.
E’, quindi, un intervento che si inserisce perfettamente nella strategia di trasformazione del territorio italiano in un “hub del gas” di cui beneficeranno poche aziende e il Nord Europa, che riempirà il nostro paese di grandi stoccaggi e metanodotti, nonostante per rischio sismico e idrogeologico, densità di abitanti e di grandi beni artistici l’Italia sia l’ultima area da considerare per la localizzazione opere così pericolose. E nonostante il fatto che nell’ultimo decennio il consumo di gas in Italia sia diminuito del 28%.
Ciò che lascia davvero sbalorditi e seriamente preoccupati è il constatare come il percorso complessivo di questa struttura di collegamento ricalchi fedelmente le linee di pericolosità sismica presenti sul tratto appenninico
Gli stoccaggi sono impianti molto pericolosi e sono classificati ufficialmente come Impianti a Rischio di Incidente Rilevante sulla base della Direttiva comunitaria  Seveso, quella delle nostre chimiche, per intenderci. 
Per impianti di questo tipo devono essere predisposti piani di emergenza e d evacuazione per la popolazione. Possono addirittura innescare sismi, come successe nel 2013 all’impianto Castor in Spagna, che il governo fu costretto a chiudere con costi altissimi, ovviamente a carico dei cittadini.
Cosa abbia dunque indotto i comuni molisani coinvolti (Larino, Guglionesi, Montecilfone, Palata,Montenero di Bisaccia, Tavenna e Mafalda) a formulare con tanta allegra sollecitudine il loro parere favorevole, a differenza degli omologhi abruzzesi che in 14 su 19 si sono opposti, resta un mistero; e ci chiediamo soprattutto, visto che la mancanza di informazione costituisce ancora uno dei più grossi problemi di democrazia dalle nostre parti, se la popolazione sia stata adeguatamente coinvolta. Durante l’inchiesta pubblica a Pescara abbiamo potuto parlare con alcuni agricoltori provenienti da uno dei comuni interessati,  che avrebbero subito espropriazione dei loro terreni, i quali lamentavano di non aver saputo nulla della questione, e di essere stati poi informati per caso da un conoscente impiegato al comune!
Se questa è informazione
Ovviamente sono state rispettate tutte le regole burocratiche per la pubblicazione dell’inizio delle  procedure, da quella di VIA in poi, ma sappiamo bene che di queste cose il cittadino comune non viene quasi mai a conoscenza, a meno che non abbia l’abitudine di controllare giornalmente gazzette ufficiali e siti governativi.
E’ evidente quindi che sarebbe spettato a Regione e comuni comunicare nella forma più ampia possibile ciò che si sarebbe discusso e deciso a breve, cosa che non è avvenuta. Ancora una volta ci troviamo dunque a lamentare l’uso spregiudicato del territorio bene comune, senza alcuna informazione, senza partecipazione dei cittadini alle scelte, in nome di un profitto esogeno che non potrà mai essere strumento di crescita vera e sostenibile per la nostra terra.
Prima che come al solito partano le solite tiritere sul nostro essere capaci di dire solo no a tutto, precisiamo che sappiamo bene a cosa dire SI’, e lo abbiamo dimostrato lungo tutte le battaglie condotte coerentemente con gli altri movimenti civici: ad un futuro fatto di acqua pubblica e pulita per tutti, di energie rinnovabili, di difesa del suolo dal consumo dissennato e privatistico cui assistiamo giornalmente, di sanità pubblica e di qualità, di democrazia partecipata basata sull’informazione e sulla consultazione dei cittadini, di garanzie  e tutele per il lavoro.

Fondazione “Lorenzo Milani” ONLUS

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