Walter Veltroni
TERMOLI _ Prendiamo semplicemente atto di appelli che, da più parti, a livello molisano, giungono rispetto ad un generico -ed equivoco- “unitarismo” politicista col Partito Democratico e l’IDV, in nome della “sconfitta” delle destre. Per quel che ci riguarda, oltre ad evidenziare un certo superficialismo di fondo, queste prese di posizione ci paiono, al contrario, la strada migliore per perpetuare il dominio delle destre e degli interessi reali di cui sono espressione, dai livelli locali a quello nazionale.

Chi ormai in concreto opera per ricostruire un “nuovo” centrosinistra con queste forze politiche – definendosi alcuni, peraltro, comunisti – evidenzia di fatto limiti di lettura circa i processi politici che oggi da noi movimentano i “centristi democratici” e quella parte della cosiddetta borghesia “illuminata” che, come dimostrano anche molti aspetti della nuova situazione negli USA, si dispongono a risultare strumenti utili al “nuovo” capitalismo per trasformarsi camaleonticamente e poter sopravvivere a sè stesso, continuando ad opprimere i lavoratori e tutti gli altri ceti deboli.

Le stesse dimissioni di Veltroni, così vengono lette da alcuni esponenti di sinistra, come evento positivo e catartico, non per quello che effettivamente rappresentano: il fallimento di un progetto politico che evidentemente non si esaurirà con delle dimissioni o con eventuali “cambi di guardia”. Bisognerebbe, piuttosto, evidenziare e denunciare con nettezza il moderatismo e il trasversalismo del PD (da Prodi a Veltroni) e renderli sempre più espliciti ai numerosi lavoratori che in buona fede lo hanno sostenuto e votato, illudendosi che potessero venirne politiche realmente riformiste e progressiste, effettivamente alternative alle destre e al berlusconismo. Sono un dato di fatto, invece, le scelte politiche ed economiche -liberiste e filopadronali- realizzate con l’assoluta “copertura” pressoché dell’intero gruppo dirigente del Partito Democratico.

 

Non può essere dimenticato che manovre portanti che hanno aperto la strada al massacro sociale ed economico di lavoratori e dei ceti deboli sono venute proprio dal cosiddetto “Centrosinistra”: dal precariato ai tagli alla spesa sociale, alle controriforme previdenziali, al “cuneo fiscale” che ha scientemente foraggiato il padronato, allo scippo del TFR dei lavoratori, al guerrafondaismo, al vaticanismo e via di questo passo. Il Partito Democratico nasce strutturalmente per fare da sponda ad assetti politici ed economici funzionali ad un capitalismo intento semplicemente a “cambiare pelle” e non la sostanza della sua natura di sfruttamento, cominciando col “normalizzare” il quadro istituzionale del nostro Paese, attraverso la elisione delle forze e dei movimenti politici ancora orientati a riproporre l’esigenza dell’alternativa al modello liberista. L’esclusione della sinistra dal piano istituzionale e il sostegno insieme a Berlusconi delle riforme elettorali ed istituzionali, l’avallo al federalismo e alle politiche securitarie ne sono solo alcuni esempi lampanti. Esempi che trovano conferma anche in accordi e intese trasversali locali tra PD e PDL nel nostro Molise.

Cosa sarebbe dunque cambiato, oggi, nel quadro politico molisano da giustificare atteggiamenti diversi da parte nostra e rispetto al quadro di future alleanze? Che lo squallore del PDL sia cosa assolutamente peggiore è fatto scontato, che non giustifica però alcun “menopeggismo” o “frontismo” di sorta; in particolare se la soluzione fosse riproporre, ad esempio, la medesima coalizione che a Campobasso sta drammaticamente concludendo il proprio mandato, con i fallimenti innanzi agli occhi di tutti. Come si può pensare di riproporre una soluzione che, in ultima analisi, persegue sostanzialmente gli stessi obiettivi, con gli stessi attori e intrisa delle stesse logiche che l’hanno fatta fallire. Questa strada, di fatto, condurrebbe alla subalternità politica e culturale verso il moderatismo del PD e legittimerebbe ancor più l’egemonia del centrodestra.

Il PRC, invece, pagando prezzi anche molto alti al proprio interno e sul piano del potere contrattuale istituzionale, ha definito la propria linea strategica all’ultimo congresso di Chianciano: il rilancio di una istanza comunista, autonoma e organizzata, in costante relazione con i movimenti e con il livello delle lotte sociali, radicata nei territori alla base del paese reale, orientata a riproporre la prospettiva dell’alternativa alla società basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e della natura. Questa è, contemporaneamente, anche la strada per garantire ai lavoratori e ai ceti deboli la condizione imprescindibile per contrastare concretamente le destre e la deriva autoritaria e culturale che pervade sempre di più il nostro Paese.

Non esiste altra strada e non ci sono scorciatoie istituzionaliste che tengano e che, magari, tanto piacciono ai ceti politici; una strada di lunga lena e faticosa, ma necessaria. Chi spera, dunque, che un rinnovo di questo gruppo dirigente del PD sia foriero di speranze per i lavoratori e per la sinistra in generale, sbaglia di grosso. L’unica strada è quella di ricostruire, pazientemente, un effettivo riferimento comunista nel nostro paese, ripartendo dalle lotte nei territori con i lavoratori e con gli studenti, interfacciandosi con i movimenti reali che, dal basso, continuano ad esprimere sinceri aneliti anticapitalistici e antiautoritari.

Riprendere, insomma, con calma e con coraggio, il percorso della Rifondazione, riavviato per ultimo dai quei compagni che si opposero alla Bolognina e allo scioglimento del Partito Comunista nel nostro Paese. È chiaro che questo processo di ricostruzione di una forza comunista -al di là di eventuali convergenze operative sul piano di auspicabili battaglie per le generali agibilità democratiche e per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro- non può che vedere la nostra alternatività al Partito Democratico e alle ottiche miglioriste di qualsivoglia centrosinistra, che hanno da sempre rappresentato la compatibilità con gli interessi dei poteri forti (Confindustria, Finanza, Vaticano e quant’altro), che oggi, in modo “gattopardesco”, tentano di ristrutturare i propri strumenti per continuare a sfruttare e ad opprimere l’umanità.

IL SEGRETARIO REGIONALE

Antonello Manocchio

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