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Volete sapere il seguito della favola triste del principe prepotente e dei suoi 4 maghi, bambini?
TERMOLI – Bene, oggi vi racconterò cos’altro è successo nella piccola città sul mare: però non spaventatevi se stavolta somiglierà più ad una storia dell’orrore. Del resto, è appena passata Halloween; e mostri e spettri ci stanno proprio bene. Vi ricordate la Gran tavola Rotonda, con i 15 scudieri maggiori e gli studenti? Purtroppo la prepotenza del principe andò avanti, e non bastarono a fermarla né le pergamene inviate al Tribunale del Regno, né gli interventi solenni della rappresentante dell’Imperatore nelle aule di governo, né le frasi vergate da sapienti esperti di bellezza, che scrivevano di distruzione della piccola città sonnacchiosa.
Anzi, il principe e i suoi maghi alzavano sempre più il tono della voce, facendo risuonare con gli squilli di tromba degli araldi parole roventi contro chiunque, abitante o rappresentante del Regno, osasse avere un’opinione diversa, o provasse a far capire che in fondo i cittadini non chiedevano nulla di strano, solo di poter dire la loro sul destino del luogo dove vivevano.
Lo so, voi penserete: ma chi l’ha dato, a questo principe, il potere di fare quello che sta facendo? Eh voi siete piccoli, e non sapete ancora che basta una parolina magica, “elezioni”, per far crescere a dismisura il desiderio di potere; e anche se magari sono stati pochi cortigiani a farti diventare principe, capita che ci si senta onnipotenti e si facciano sogni grandiosi, anche se spesso questi diventano incubi per chi è costretto a subirli.
Dunque, il nostro principe vedeva la vittoria vicina; e non vi dico come era infuriato con quei quattro straccioni di sudditi che si ostinavano a dargli fastidio con le loro missive, le loro pergamene, le continue adunanze alle quali partecipavano sempre tante persone.
Così, con l’aiuto del Principe Reggente del Contado di Molise, riunì tutti i dignitari che per legge dovevano dare il loro assenso allo scempio della piccola città e si presentò con uno dei suoi maghi e con il Visir Unico, venuto dal Nord del paese, al quale facevano capo tutte le procedure. Arrivò sulla sua costosa carrozza alla prima riunione della Tavola Rotonda di Contea, salutò il Principe Reggente, venuto a dargli manforte, parlò con voce autorevole e tutti chinarono il capo. Tutti, tranne un dignitario che mantenne fede al significato della parola che indicava il suo ruolo, e non volle perdere la dignità: si accorse che tutte quelle belle frasi erano come i vestiti nuovi dell’imperatore (sì, proprio quello che alla fine girò nudo per le vie della città tra le risate dei sudditi), e scrisse la verità sulla “riqualificazione” nella sua pergamena.
Pensate che smacco per il principe! Ohibò, c’era chi si permetteva di dissentire dal coro di voci flautate, chi rifiutava di piegare la schiena davanti al suo potere! Infuriato, convocò i dignitari dissenzienti, più e più volte. Ma non riuscì a convincerli a cambiare una riga della loro pergamena, e così lui, i maghi e il Visir Unico dovettero accontentarsi di strillare che quella pergamena non era valida. Ma i sudditi ribelli, uno dei quali per buona sorte aveva ottenuto di partecipare alla Tavola Rotonda, denunciarono punto per punto tutte le menzogne ascoltate e lette, e il clamore in città era sempre tanto.
Troppo, per il principe, i maghi e i 15 scudieri maggiori di corte.
Il bello arrivò quando ci fu la seconda riunione della Tavola Rotonda di Contea: ed è qui che la nostra storia diventa purtroppo storiaccia, e si colora di nero: quando quel mattino di mezzo autunno il Visir Unico spadroneggiò nella sala del Palazzo del Potere, cercò di umiliare i dissenzienti, firmò la bolla di autorizzazione al progetto e si sentì al sicuro, mentre un altro Gran Dignitario del Contado di Molise cercò di intimidire gli abitanti della piccola città, venuti con un gran carro ad assistere il loro portavoce.
Finisce qui la storia, chiederete voi? E allora finisce male?
Non ancora, bambini, anche se sappiamo tutti che proprio le fiabe più amate spesso hanno una brutta fine.
C’è ancora spazio per una conclusione diversa, in questa favola triste che si sta trasformando in incubo; e anche se la piccola città dovesse essere sventrata, molti dei suoi abitanti hanno ormai imparato che si può sognare insieme e condividere i sogni, invece di essere sempre sudditi . Che è meglio alzarsi in piedi e mettersi insieme, piuttosto che sdraiarsi per farsi calpestare. Che i principi prima o poi se ne vanno, e chi resta sono i cittadini…
Perché, vedete, bambini, questa favola ha la sua morale, come ogni fiaba che si rispetti: anche gli abitanti distratti, quelli che dicono che tutti i principi sono uguali, possono destarsi dal loro sonno e trasformare gli incubi in stracci sfilacciati che si dissolvono nella luce del mattino.
Perché chi sogna solo di notte, come hanno fatto i protagonisti potenti della nostra favola, e come diceva appunto uno che di incubi se ne intendeva, non conosce le cose che invece vede chi sogna anche di giorno.
E i brutti sogni, come la “riqualificazione” della piccola città, da che mondo è mondo finiscono al mattino; ma i sogni veri, quelli che nascono dalle passioni, continuano ad occhi aperti, e prima o dopo diventano realtà.
Marcella Stumpo, cittadina sognatrice
lettore di favole
Una volta le favole ai bambini le leggevano i genitori, oggi lo fa il tablet. Forse è il caso che i genitori lo facciano ancora. Soprattutto per leggere la bella favola di Marcella (bella la favola, brutta la storia). I genitori devono leggerla e commentarla perché i bambini sono quelli che pagheranno di più in futuro quando si troveranno a vivere in una città dove saranno soltanto clienti paganti. Nella favola non c’è solo il re con la corona incollata sulla testa e con l’idea che il suo castello sia troppo piccolo ma ci sono anche i suoi dignitari (forse la parola viene da dignità?) e anche i tanti vassalli che lo circondano e lo osannano. Forse potranno ricordare ai loro figli il giuramento che si faceva nel medioevo: “Al signore … che tu debba aiutarmi e sostenermi, tanto per il vitto quanto per il vestiario, secondo quanto io potrò servire bene e meritare; e, finché io vivrò, ti dovrò prestare il servizio ed ossequio e non potrò sottrarmi per tutta la mia vita alla vostra potestà o mundio, ma dovrò rimanere finché vivrò nella vostra potestà e protezione” (Formulae Turonenses).
Così, magari, da grandi i figli non vorranno servire un padrone (uno che va, uno che viene, c’è sempre un padrone) nel suo castello pieno di luci, bar e giostrine; non vorranno arrivare a cavallo fin sotto le sue finestre (e aspettare una sua generosità) e non vorranno stare alle sue condizioni. A volte leggere le favole può essere molto istruttivo.