BorgoTermoli PiazzaTERMOLI – Se un amico mi chiede una sigaretta e io, pur avendole, gli dico di non averne dico una bugia e faccio peccato (piccolo, per carità). Se il mio amico dice “avrei voglia di una sigaretta” e io faccio finta di niente e non gli dico di averne, non dico una bugia ma comunque non mi comporto bene. A un amico, poi!

 
La “scienza della comunicazione” adottata per l’affare del tunnel (e tutto il resto) ha presentato finora un significativo campionario discutibile di informazioni al pubblico e atteggiamenti sui quali forse merita riflettere. Fin dall’inizio le informazioni sono state centellinate mettendo in evidenza soltanto alcuni aspetti “comodi” presentando lo sviluppo del progetto come un fatto scontato e facendo credere che fosse già atteso da tutti ricorrendo a comunicazioni ben dosate e intervallate da lunghi silenzi strategici (non vi preoccupate perché stiamo lavorando per voi).

La divulgazione di alcuni elaborati tecnici, presi pari pari da un manuale di progettazione di gallerie, ha avuto lo scopo di dare un carattere esclusivamente tecnico e tecnologico al progetto (e perciò fatto passare per neutrale) ma che un po’ alla volta ha cominciato a trasudare da tutti i pori risvolti che sembrano tutt’altro. Via via che si scoprivano aspetti altrimenti tenuti nascosti del programma, l’amministrazione si è trovata costretta ad ammettere che non si trattava soltanto di un tunnel (poi ribattezzato con il meno ingombrante titolo di passante) e un garage (un po’ alla volta si scoprirà che anche questo non è poi così vantaggioso per la comunità) ma si trattava di un vasto programma di “valorizzazione” (?) di parte della città.

La genialata di avviare un dibattito pubblico, anticipando addirittura la legge ma posticipandolo a scelte locali già decise, avrebbe dovuto convincere la cittadinanza della bontà delle idee e pubblicizzare la grande disponibilità di un’impresa a investire una montagna di soldi per il bene della comunità. Qui però c’è stata un bugia (piccola, per carità) quando, a posteriori, si è detto che il dibattito aveva previsto anche una opzione zero solo quando è stato rinfacciato ai comitati no tunnel di aver disertato la kermesse (che a guardare le fotografie sembrava piuttosto un torneo dopolavoristico di tressette).

Con alcune bugie, però questa volta un po’ più grandi, è stata gestita la “questione” del referendum che è destinata ad essere ricordata in futuro come una delle peggiori sospensioni della democrazia locale.

L’efficacia della comunicazione non può essere scollegata dall’etica della comunicazione. Cioè: è importante come una cosa viene detta (per vendere meglio) ma dovrebbe essere ancora più importante cosa viene detto (per vendere il prodotto migliore).

Il grande progetto si svela un po’ alla volta ed evidenzia un programma faraonico a preminente vantaggio privato. Le parti a “vantaggio” pubblico si riducono sempre più mentre si capisce che aumenteranno i costi futuri a carico della comunità. La comunicazione è rimasta occasionale e pretestuosa togliendo alla comunità il diritto all’informazione. L’intervento previsto, di fatto, ci pare stia prendendo i caratteri di una discutibile (dal punto di vista architettonico e ancor prima da quello antropologico) “cultura del villaggio turistico”.

Una città è condannata quando il suo sviluppo viene omologato a un modello globale replicato dappertutto, indipendentemente dai caratteri e dalle singolarità delle storie locali. Una città muore quando l’abitare diventa un concetto astratto gestito come fosse un qualunque prodotto da vendere. Una città muore quando il centro storico e il panorama vengono usati come un fondali teatrali per valorizzare le nuove architetture e muore quando si richiede ai tecnici di progettare solo la risposta immediata alle esigenze di un committente. Una città muore quando i giovani sono l’ultimo pensiero di chi li amministra considerandoli immediati e futuri clienti. Una città muore quando non investe nel sociale e quando interviene un “mecenate” che, diversamente da quelli veri d’altri tempi, impegna risorse solo per averne (giustamente) dei vantaggi.

Ma una città muore anche quando gli amministratori non hanno dubbi sulla correttezza dei loro progetti e rifiutano con tutti i mezzi un confronto democratico.

Le comunicazioni sullo sviluppo turistico godono di maggiori esternazioni, questa volta entusiaste e sensazionaliste, basate sul numero di presenze estive tacendo, invece, quelle che riguardano la “qualità” dell’offerta così com’è percepita dagli ospiti (che niente sanno del faraonico scempio). Se non ci fossero le Tremiti, il Gargano e il Salento da raggiungere che motivo avrebbero i turisti di fermarsi a mezza strada?

Eppure i motivi ci sarebbero (ma i margini stanno diventando sempre più esigui) se non venissero ignorati e talvolta involontariamente sabotati. Ma l’assessorato alla cultura non dovrebbe occuparsi anche di cultura proponendo in prima persona quelle attività educative e formative che contribuiscono a preparare consapevoli cittadini di domani? Ai giovani è giusto continuare a offrire soltanto un paio di cantanti estivi e strusci lungo la pista del corso nazionale? La politica culturale non dovrebbe stimolare e meglio sostenere iniziative dei numerosi circoli e associazioni che, se si tirassero indietro, il manifesto “ufficiale” dell’agosto termolese starebbe in una paginetta?

Di fatto, è molto probabile che ai turisti Termoli potrà offrire in futuro una spianata pedonale, come la piazza Tienanmen, che conduce a una succursale di Disneyland. I turisti e i termolesi potranno fare maratone nella “più vasta area pedonalizzata d’Italia”; si vedranno, però, ancora negate occasioni di vero stimolo culturale. Il patrimonio culturale termolese non è ricco (e si assottiglia sempre di più) ma è molto delicato. Non è proprio per questo che meriterebbe maggiori attenzioni e impegni costanti? Cosa è rimasto della cultura marinara se arrivando a Termoli si fa perfino fatica a capire che si è in una città di mare?

Il turismo potrebbe essere un importante stimolo allo sviluppo economico e strumento di scambio culturale per una comunità; di fatto, così com’è organizzato, costituisce la prima e più preoccupante causa di svilimento della cultura locale e di deperimento delle risorse.

Fatta eccezione, beninteso, per quelli che gestiranno e saranno beneficiati da questa (per ora non ancora del tutto svelata) macchina acchiappasoldi.

Luigi Marino

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