Riveduta e corretta da Saverio Metere.
TERMOLI – Leonardo era molto arrabbiato. Gli avevano detto che avrebbe dovuto rifare il Cenacolo aggiungendo altri quattro convitati. I trenta euro previsti già erano pochi per dodici convitati più Di Brino che facevano tredici. Complessivamente, erano diventati diciassette, la disgrazia. Era, quindi ineluttabile, che si verificasse un evento infausto. Ma, certamente, il Maestro avrebbe moltiplicato i denari come aveva già fatto con i pani e i pesci quando aveva tenuto il Discorso della Montagna o… il bilancio comunale per le feste di S. Basso.
Si rimise all’opera e rifece l’affresco. Dovette allungare anche il tavolo che era stato previsto per tredici. Alla fine, per dare più tonalità all’opera, aggiunse anche la pittura ad olio che negli affreschi, in genere, non si usa. “Ma si – pensò in latinorum – melius abundare quam deficere”.
Immaginò la scena: …al momento in cui Di Brino dirà Uno di voi mi tradirà i sedici congiurati anziché raggrupparsi tre a tre si disporranno a gruppi di quattro: quattro per quattro fa proprio sedici! I conti tornano.
Per eseguire l’affresco, Leonardo scelse la parete di un ristorante all’aperto, il Golgota! Sì, era proprio di tutta fiducia in quanto aveva preparato un menù che prevedeva, tra l’altro, tranci di…pescecane – proprio adatti per una cena fra…cannibali – innaffiati con un vino particolare che aveva portato Ivo Iscariota, uno dei convitati, suo solerte collaboratore, sempre pronto ad offrire il meglio di sé per pochi denari.
Il Maestro era molto rilassato perché la serata era offerta dall’Amministrazione Comunale: almeno, questa volta, non pagava lui; altrimenti sarebbe stato anche cornuto e mazziato, pensava.
Alla fine, con gli occhi lucidi, molto commosso, stando sempre seduto, come voleva la tradizione, spezzò il pane e versò il vino a tutti. Per dare più credibilità all’incontro, Leonardo immaginò che il Maestro pronunciasse questo discorso: “Cari amici e…non amici. Convitati! Ora che vi siete abbuffati, e avete bevuto il vino di Vito Iscariota, vi devo dire che questa è proprio l’Ultima Cena che facciamo insieme. Avete finito di mangiare a sbafo alla mia mensa, di godere della mia compagnia, della mia termolesità”. E disse quest’ultima parola con molto orgoglio ed enfasi. Poi, guardò i quattro che si erano aggiunti e continuò con un’imprecazione frammista di termolese e italiano, come era solito fare nei momenti di maggiore nervosismo: “A voi, che avete sputato nel piatto dove avete mangiato fino a ieri, vi dico…che ve pozzane accide!“. E aggiunse in rima baciata: “Ne ‘hé avastáte tutte quille che v’è dáte?”. Poi, si grattò la folta chioma, si lisciò i baffi e continuò: “ Lo sapete che vi dico? Sono contento di andarmene perché esco di scena con la coscienza pulita. Sì, vabbe’..! Non ho fatto i parcheggi, non ho rifatto la vecchia Villa Comunale, i proprietari degli stabilimenti balneari me vonne mazzejâ, il grande Manze non si è potuto fare e tante altre piccole cose che magari sarebbero state eseguite se mi lasciavate arrivare a fine mandato. ‘U Corse Nazionále, ‘a pista ciclabile, ecc…ecc… ecc… ‘i fá quille che ve’ dòpe de me! Me ne torno dai miei amici cambuasciáne che mi hanno sempre sostenuto e mi vogliono bene più di voi”.
Infine, con gli occhi rivolti al cielo aggiunge, con una certa non celata e disperata considerazione: “In fondo, sono o non sono pur sempre il Figlio di…Iorio!
povero sindaco
Caro Di Brino, ti hanno già dimenticato! Anche il tuo compare Iorio. Che tristezza!