Nasceva un nuovo tipo di guerra che non utilizzava eserciti in tuta mimetica e carrarmati corazzati ma singole falangi costituite da piccoli gruppi di uomini disposti a morire pur di infliggere dolore e sconcerto al nemico senza fare distinzioni tra soldati e civili indifesi. Dunque tutti eravamo bersagli in una nuova guerra senza regole e che aveva tutta l’aria di non fare prigionieri. Allo sconcerto però di dover affrontare un nemico senza connotati precisi (ma che assumeva il volto di uno rampollo barbuto fino ad allora poco conosciuto, figlio di una facoltosa famiglia di imprenditori Saudita, che si autocandidava a guida di un gruppo estremista e fondamentalista di ispirazione islamica), l’occidente e i suoi governi seppero rispondere con il rigetto delle contrapposizioni delle civiltà e delle religioni, sapendo ben distinguere tra terroristi e mondo arabo ed islamico. Si iniziò una guerra globale contro i primi, si volle aprire un dialogo permanente con i secondi.
Un conflitto che è ancora in corso e che dopo quella data vide altre stragi a sfondo mediatico, come Madrid e come Londra. E’ giusto dunque continuare la guerra senza tentennamenti contro i “signori del terrore”, ma è altrettanto opportuno comprendere dal punto di vista culturale ideologico e sociale il variegato mondo dell’islam e avere con esso rapporti paritetici e dialoganti per costruire insieme un futuro dell’umanità indirizzato alla pace e alla giustizia. A distanza di 10 anni da quegli eventi è giusto ricordare anche il senso di umanità e di sobrietà degli statunitensi e dei newyorchesi, in particolare, che si strinsero intorno alle famiglie di chi perse la vita non facendole sentire sole e considerando ciascuna vittima come un proprio amico o una persona cara. Da questi eventi, dalla loro tragicità e dal dolore che scatenarono emerge l’impegno per tutti gli uomini che credono nella giustizia e nell’uomo a far si che fatti del genere non abbiano a ripetersi”.