CAMPOBASSO _ “La giustizia sociale consiste, per un aspetto essenziale, nel riconoscimento della dignità del lavoro umano e in un’equa remunerazione, grazie alla quale il lavoratore possa mantenersi insieme con la propria famiglia. D’altra parte, essa richiede anche adeguati interventi a favore di coloro che, pur volendolo, si trovano nella precaria e avvilente situazione di disoccupati”. Con queste parole pronunciate in una ventosa giornata di marzo del 1995, ai piedi del Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso, in occasione della festa di San Giuseppe Artigiano, Giovanni Paolo II testimoniava ancora una volta con eloquenza dialettica il suo impegno sociale e politico nell’Italia e nel mondo. Un impegno che, partendo dall’importante incarico di Pontefice, e quindi massima guida dei cattolici, travalicava le frontiere ideologiche, culturali e religiose per ergersi a monito universale e a incitamento per tutta l’umanità a cancellare le divisioni e a porre in essere iniziative comuni per eliminare le ingiustizie assicurando a tutti, attraverso il lavoro, dignità e libertà.
Oggi la Chiesa Cattolica innalza questo grande “testimone del nostro tempo” agli onori degli Altari con il titolo di Beato. Lo fa in un giorno particolare per l’Italia: la “Festa dei Lavoratori”. Una coincidenza non credo casuale. Giovanni Paolo II, infatti, come in quel 19 marzo del 1995 in Molise, ha ritenuto elemento imprescindibile del suo impegno, della sua missione, del suo Pontificato, il riconoscimento dei diritti dell’uomo in ogni luogo del mondo, partendo dal diritto per ogni persona ad avere un lavoro che le desse sostentamento adeguato e che fosse elemento di crescita sociale e collettiva della civiltà umana. Un messaggio che è un monito ad ogni cittadino, ad ogni istituzione e ad ogni forza politica. La strada è impegnativa, lui stesso ne sottolineava le difficoltà, soprattutto in momenti difficili come quelli odierni; ma proprio in queste circostanze egli ebbe ad invitare, nella successiva tappa ad Agnone a “non arrendersi di fronte ai gravi problemi del momento e non rinunciare a progettare il proprio futuro”. Tante volte nella mia esperienza istituzionale, in momenti di difficoltà, ho ricordato quel giorno e questa frase.
In essa ho trovato la forza di andare avanti e ho visto la responsabilità personale e politica di non arrendermi e di dare il mio contributo per un futuro migliore. Penso che negli ultimi sedici anni il Molise abbia trovato anche in queste parole l’energia necessaria per rialzarsi dopo il terremoto, l’alluvione, e le crisi economiche che si sono succedute. Le stesse energie che tutti insieme, come sistema Molise, dobbiamo sviluppare in questo periodo di ennesima difficoltà per progettare il nostro futuro. Quello di oggi per il Molise è un giorno di festa, lo è perché sappiamo di essere stati amati da questo “Papa venuto da lontano”, e ricambiamo quindi tale affetto, con partecipazione convinta ad un evento che non è solo religioso ma è anche culturale, sociale, antropologico e politico.
Oggi la Chiesa Universale, infatti, pone ad esempio globale una vita fatta di impegno, di scelte difficili e coraggiose, di dolore, ma anche di amicizia e di affetto gratuito per i giovani e per chi soffre fisicamente e moralmente. Sono certo, infine, che questa regione vorrà rispondere all’ennesimo invito che le venne quel 19 marzo da Karol Wojtyla: “ vorrei esortare ciascuno a rimanere fedele alle tradizioni cristiane di questa terra”.