TERMOLI – Mi fanno ridere coloro che in un frangente come quello che stiamo vivendo, in un momento in cui è stata limitata ogni libertà, in un momento in cui siamo costretti a cambiare le nostre abitudini di vita, in un momento in cui è in gioco la salute di ciascuno, pensano e si preoccupano del crollo della borsa. Mi fanno ridere, per non dire, mi fanno pena, quelli che pensano ai risvolti economici, quelli che pensano che non potranno acquistare l’ennesima BMW e dovranno accontentarsi di una Fiat.

Forse sarò io a sbagliare. La borsa e le sue oscillazioni avranno la loro importanza, ma per chi come me è nato subito dopo che era finita la guerra, in un periodo in cui l’Italia era in ginocchio, in un’epoca in cui se si mangiava a pranzo, si faceva “passo” a cena ,o viceversa, le vicende della borsa preoccupano poco o niente.

Per chi come me è cresciuto toccando con mano la miseria, in un’ Italia che non aveva strade, che non aveva fogne, che non aveva acqua corrente, in un’Italia dove una lampadina da 15 watt era considerata un bene di lusso, qualche percentuale di punto di Pil o qualche punto di spread in meno non spaventano, né preoccupano.

L’Italia, quell’Italia della mia infanzia, già dopo 15 anni era entrata far parte “dei grandi” ed era riconosciuta come tale.

Nel 1960 l’Italia, l’italietta fu in grado di organizzare la grande olimpiade. Il miracolo economico, ma soprattutto il miracolo sociale, alla faccia del Pil, dello spread, alla faccia di Christine Lagarde.

Antonio De Michele

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