CAMPOBASSO _ La Mafia di Totò Riina, Giovanni Brusca e Bernardo Provenzano, coperta dalle zone d’ombre e dagli intrecci politico-affaristici mai emersi fino in fondo, liquidò la Prima Repubblica con l’assassinio di Giovanni Falcone il 23 maggio del 1992. E per chi non avesse colto il messaggio, nel mentre il Pentapartito veniva decimato al Governo e in Parlamento dall’inchiesta Mani pulite, certificò la sua sfida allo Stato il 19 luglio dello stesso anno con la Strage di Via D’Amelio e l’uccisione di Paolo Borsellino.

Nei delicatissimi mesi di transizione tra il 1992-93, l’Italia rischiò la bancarotta, vennero varate manovre pesantissime da Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, e la Mafia alzò il tiro con gli attentati alla Galleria degli Uffizi di Firenze, a Roma e in altri luoghi con l’obiettivo di condizionare i passaggi democratici di quella fase. Nel luglio del 1993 si registrò il black-out a Palazzo Chigi con un inquietante episodio denunciato dall’allora Capo del Governo Ciampi.

Le Istituzioni della Repubblica seppero reagire alla sfida dei poteri occulti, impedirono la bancarotta delle casse pubbliche, salvaguardarono la democrazia, rigettarono l’attacco mafioso e grazie all’abnegazione della Magistratura assestarono duri colpi alla criminalità e alle degenerazioni dei partiti.

Le ricostruzioni dell’ultimo periodo menzionano rapporti poco trasparenti tra lo Stato e la Mafia con politici condannati in primo e secondo grado per associazione a delinquere, collusione, associazione esterna e altre reati simili che confermano intrecci poco trasparenti tra partiti e criminalità organizzata. L’esempio di Giovanni Falcone è stato rapidamente archiviato ed i suoi principali detrattori hanno assunto ruoli istituzionali di grande rilievo. Le sue proposte di contrasto alla mafia con un potenziamento della magistratura e delle forze dell’ordine, sono state dimenticate in favore di un’aggressione quotidiana ai Giudici, di un drastico taglio dei fondi assegnati alla Polizia, alla Finanza e ai Carabinieri, e di misure legislative come quelle sul rientro dei capitali illeciti dall’estero che hanno consentito la ripulitura di 100 miliardi di euro che sicuramente non sono frutto di guadagni onesti.

Ma per descrivere lo scontro perenne tra Stato e Mafia non c’è nulla di meglio delle parole dello stesso Giovanni Falcone  “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”. E dopo 19 anni è ancora così !! 

Michele Petraroia

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