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«Caro Sindaco ti scrivo, così…mi distraggo un po’ e siccome io sono a Milano più forte ti scriveròIo non so se Le sovviene qualcosa circa il cosiddetto “sacco di Termoli”, quando, cioè, vennero “cementate” tutte le aree verdi…»

Borgo Antico di Termoli

TERMOLI – Caro Sindaco, io non La conosco di persona. E Lei non mi conosce. Ma ho sempre avuto Termoli nel cuore; come capirà, anche, al termine di questa mia lettera e leggendo qualche mio libro presente in Biblioteca. In risposta all’ interessante articolo “Quale futuro per la nostra città?” scritto da Marcella Stumpo su myNews il 13 febbraio scorso, le voglio ricordare alcuni “misfatti” ormai dimenticati compiuti negli ultimi 70 anni nel nostro paese.

Io non so se Le sovviene qualcosa circa il cosiddetto “sacco di Termoli”, quando, cioè, vennero “cementate” tutte le aree verdi: colate di cemento armato e migliaia di metri cubi di mattoni ricoprirono il centro e le periferie; in Piazza Monumento, nell’area dove era ubicato il Cinema “Arena Lucciole (l’unico cinema all’aperto) fu costruito quell’orribile palazzo di dieci piani, cosiddetto “di Narducci”dal nome del costruttore;  in Via Carlo del Croix“arrète i bbagne”, le uniche aree verdi scomparvero a favore di quell’altro enorme obbrobrio di costruzione ad uso abitativo “a forma di ziggurat” che, insieme al palazzo Cieri e agli altri due scempi di edilizia “moderna”, sovrasta tutta la collina dove fu costruito anche un enorme edificio ricoprendo i cosiddetti “giardini di donna Berenice: un’incantevole macchia di verde ben curata!

E ancora: in aree già depredate del verde da precedenti edifici ne furono edificati altri di oltre cinque piani come il cosiddetto Palazzo dei Maestri” in fondo alla Via Sannitica e quello dei cosiddetti “Mutilati”alla fine di Corso Umberto I / angolo Via Carlo del Croix che, insieme alle costruzioni di Via Fratelli Brigida, succhiarono l’ultimo verde rimasto. Da quelle parti, esattamente sul famoso Largo della Crocetta, fu costruito la chiesa di S. Timoteo: un’enorme edificio religioso…“senza sagrato” (ma si può costruire una chiesa senza sagrato?! Mi dica Lei?), però… con l’abitazione per il parroco e un piccolo locale cinematografico, il Cinema Oddo, munito di un centinaio di posti!

E ancora: in via Mario Milano, di fronte alle poste, a metà degli anni ’50 furono costruiti quell’altro obbrobrio del cosiddetto Palazzo Lopse, quasi di fronte, il Palazzo Macrellino che dà sulla Piazza della Stazione.

E ancora: negli anni ’50, si procedette allo smantellamento della cosiddetta Villa Comunale, costruendovi l’attuale Comune e trasformandola, insieme al ”Piano di S. Antonio”, in parcheggio (un’altra genialità!). Allo stesso periodo risale anche quel “brutto” edificio a destra del Municipio, adibito prima a scuola e poi a Curia Vescovile e Archivio Comunale, e… chissà cos’altro! Questi interventi, compresa la nuova Chiesa di S. Antonio, ricoprirono tutta la superficie dell’ex Pozzo Dolce che però “si…fregia” anche di quel “moderno” edificio che affaccia sulla cosiddetta “salita del Panfilo”, attaccato alla Pensione Villa Ida. E che dire di tutti gli altri edificati sul cosiddetto Colle di Santa Lucia? 

E ancora: non si possono tacere gli enormi palazzoni a sinistra e a destra del Molinello: per i primi due, ubicati all’inizio della discesa, si trattò dello scomputo di una superficie appartenente ai Crema; l’altro, in corrispondenza e all’inizio del viadotto, fu edificato per essere venduto o dato in affitto a molti degli impiegati comunali, tanto che fu chiamato, ironicamente,“Il Palazzo del Governo”.

Nell’ immediata periferia la situazione era, poi, un vero disastro! Tutte le aree ad oliveti dopo Madonna delle Grazie, furono letteralmente depredate del verde e “riempite” di edilizia abitativa semiestensiva. In particolar modo lungo l’Europa 2 una… Muraglia Cinese di edilizia (così fu definita!), coprì tutti gli spazia ridosso della strada a traffico veloce in uscita dal paese.

E si potrebbe continuare ad oltranza citando lo scempio di Rio Vivo dovuto alla legge 765, la cosiddetta Legge Ponte del ’67, definita da qualcuno“La saga del pilastro”, per la moltitudine di edifici con struttura in cemento armato che spuntarono in quel periodo dalla sera alla mattina: bastava lasciare qualche pilastro al piano terreno da dove spuntavano i tondini di ferro… e continuare i lavori anche dopo un anno!

E ancora: il Condono Edilizio del 1985 che, anche se emanato per sanare abusi privati, fu appoggiato e gestito da un’Amministrazione compiacente.

Insomma, il verde e il tessuto urbano, sia pubblico che privato, furono devastati dalla speculazione edilizia senza alcuna possibilità di riscatto.L’ultimo intervento negativo è consistito nella“desertificazione del Corso Nazionale: quel poco di verde costituito da alberi di oleandri è stato estirpato a svantaggio di un nuovo Corso che sembra il Deserto dei Tartari (sic!).

L’ unico spazio conservato e ben ristrutturato fu, per fortuna, il Borgo Antico che i termolesi chiamano affettuosamente Paese Vecchio. Il vecchio nucleo ha subìto, non molti anni fa, un intervento di restauro “conservativo”dove è stato redatto un Piano di Conservazione con un Regolamento Edilizio ad hoc, teso alla ristrutturazione delle case, senza aumento delle volumetrie. Col Piano sono state operate solo modifiche interne con l’inserimento di idonei servizi igienici, strutturali e tecnologici. Plauso ad un’amministrazione che, molto oculatamente, non si fece prendere la mano dal fare eseguire inutili opere che non fossero indispensabili.

Ma di nuovi interventi neanche l’ombra!

Tutto si è bloccato di fronte alla proposta di far eseguire un passante di collegamento tra il porto e la via Colombo costruendo un Tunnel che avrebbe dovuto e potuto, dare al Paese una sistemazione urbanistica più moderna ed efficiente. Infatti, erano previsti, tra l’altro: uno spazio pedonalizzato che avrebbe ricongiunto il Borgo Antico alla parte ottocentesca murattiana; un teatro di 800 posti; il parco giochi del Pozzo Dolce; un parcheggio di 600 posti auto; tre nuove piazze; il ripristino dell’antica Villa Comunale.

Insomma, una serie di interventi che le altre forze politiche continuarono ad ignorare strumentalizzando la negazione del Tunnel. Sarebbe potuto essere, invece, l’unico intervento innovativo per Termoli dopo circa 60 anni di inerzia urbanistica che, a nostro avviso, avrebbe dato al paese un volto nuovo risolvendo, finalmente, il problema del traffico cittadino e quello d’entrata e uscita dal paese.

In merito a ciò, si possono leggere tutti i miei articoli scritti sull’argomento e riportati nel libro dal titolo “Termoli nella stampa locale. In essi c’è la descrizione, in modo obbiettivo e documentata della storia del Paese dall’anno 2000 ad oggi.

Tutto ciò per quanto riguarda la cosiddetta urbatettura del Paese.

Egregio sig. Sindaco, come sa bene il suo vicesindaco Michele Barile, tutti questi problemi li ho descritti anche in versi nelle oltre 300 poesie che giacciono nei libri sulle mensole della Biblioteca di Termoli.

Saverio Metere, architetto e poeta termolese

A questo punto si chiederà perché Le scrivo tutto questo? Perché anche se sono oltre 50 anni che sono lontano, ci sono ritornato e ci ritorno tutti gli anni nel mese di agosto, dove, tra l’altro, organizzo da sette anni Ma ssère ce parle termelèse, una serata di poesie in vernacolo termolese. Come Le ho già scritto in precedenza, ho avuto sempre nel cuore il mio paese trasferendo e descrivendone tutti gli avvenimenti, le tradizioni, gli usi e i costumi. Ciò mi ha consentito di essere sempre presente e aggiornato su tutti i processi storici e urbani che accadevano durante la mia assenza. La poesia è stata, insomma, uno strumento, un veicolo, un cannocchiale che mi ha consentito, pur stando tanto lontano, di seguire ciò che accadeva. Ma era importante contribuire anche, in un certo qual modo, alla crescita culturale trovando i mezzi espressivi per dare al paese un apporto costruttivo, essenziale, a beneficio di quanti volessero in seguito dedicarsi alla comprensione del dialetto o, meglio, alla sua corretta trascrizione vernacolare

L’amore per il paese e il modo come coltivarlo e rappresentarlo sono molto collegati. Cioè, l’uno dipende dall’altro. Ciò che li lega è il desiderio di trovare una forma di visualizzazione legata ad un metodo scientifico di rappresentazione. Che in questo caso è la poesia, quella descrittiva, che si basa sulla conoscenza di dati obiettivi che in questo caso sono legati alla mia professione di architetto. Lungi dall’essere un’architettura recitata, i versi diventano la visione dichi riesce ad intravedere nel tessuto urbano, nella urbatettura della propria città, quegli interventi che destano delle perplessità da un punto di vista del vivere e che si trasformano così in versi dopo aver trovato gli strumenti adatti per rappresentarli. E gli strumenti adatti li ho cercati e li ho trovati!

Ho cominciato a cimentarmi in vernacolo sin dal 1980; dopo aver approfondito la grammatica e la fonetica termolese e aver letto tutte le opere dei poeti in vernacolo che mi avevano preceduto. Nella Biblioteca Sormani di Milano trovai la“Grammatica delle parlate d’Abruzzo e Molise”, scritta da Ernesto Giammarco, professore di dialettologia presso l’Università di Chieti. Dopo due anni, pubblicai il mio primo libro di poesie in vernacolo dal titolo “Lundáne da’ mazze du’ Castille”, del quale se ne apprezzò molto la poetica ma da un punto di vista fonetico-grammaticale fu praticamente ignorato. I poeti che mi avevano preceduto erano tutti “pezzi da novanta”. Da Perrotta a D’Andrea e a Cappella, ormai scomparsi e allo stesso Nicolino Di Pardo, avevano tutti un modo differente di scrivere l’uno dall’altro, privo di una qualsiasi ricerca linguistica.

Il Comune di Termoli di fronte a questo problema non prese nessuna iniziativa. Anzi, in una sua pubblicazione di qualche anno più tardi, la commissione cultura fece una breve pubblicazione di poesie appiattendo la fonetica e la grammatica:le poesie furono trascritte tutte allo stesso modo, ricalcando, qua e là, il modo di scrivere dei precedenti poeti. Fu un errore di una superficialità gravissima! Correva l’anno 2000 e il libricino, si chiamava “I poeti in vernacolo termolese”. In seguito a quest’episodio increscioso, proposi all’assessore alla cultura del Comune, l’ingegnere May, di fare una tavola rotonda per discutere del problema. Parve molto entusiasta. Ma, come spesso accade in questi casi, non se ne fece più nulla.

Da allora non è cambiato niente! Tutti continuano a scrivere improvvisando e facendo confusione fra fonetica e grammatica.Ogni tanto provo a scuotere gli animi di “colleghi” che scrivono in vernacolo e che fanno tutti orecchi da mercante: nessuno si vuol prendere la briga di fare una ricerca seria e onesta sul modo di scrivere in termolese! Cappella, certamente il più accorto, appassionato e preparato dei vernacolisti termolesi, è stato l’unico a premunirsi e affrontare l’argomento. Ma anche lui, nel suo glossario dei termini termolesi, dal titolo “Le Voci Quotidiane” – prodotto dal Rotary Club di Termoli e col patrocinio del Comune nel dicembre del 1998 – non si pone alcun problema grammaticale. Infatti, nella premessa, dice che”… il libro è solo il risultato di una ricerca e studio degli aspetti socio/economico/culturali del nostro ambiente…una ricerca storica dei detti antichi…Ricognizioni e studi topografici, geologici ed etimologici…che hanno permesso di conoscere il substrato spirituale e civile di un popolo”. In conclusione, neanche lui si è avventurato in una ricerca lessico-grammaticale del vernacolo! Neppure Nicolino Di Pardo – che, a mio avviso, è il più “interessante”dei poeti in vernacolo – ha approfondito la grammatica vernacolare: è sempre stato di carattere molto schivo e si è basato più sulla fonetica, dove prevalgono i dittonghi espressi in modo orale. Pertanto, senza nulla togliere alle sue bellissime poesie, queste possono solo essere “ascoltate” perché di”scritto” c’è poco o niente. Prima di lasciarci, scrisse una trentina di poesie a mano, di suo pugno, con la traduzione in lingua. Questo non gli rende giustizia perché la difficoltà di comprensione aumenta enon se ne comprende il significato. Un vero peccato!

Tra i giovani vernacolisti non c’è nessuno che s’impegni in minima parte ad affrontare il problema della grammatica unito a quello della fonetica.Ho scrittocirca diecilibri di poesie in vernacolo. Nell’ultimo pubblicato nel 2015, dal titolo “35 anni di poesie in vernacolo termolese”, le composizioni portano a lato la traduzione in lingua. Mi farebbe un gran piacere se qualcuno volesse propormi un modo nuovo, scientifico, corretto grammaticalmente e foneticamente!

Ultimamente ho letto attentamenteFonetica e Fonologia della lingua italiana”. Un volumetto scritto da una certa Marina Pucciarelli, docente dell’Università degli Studi di Macerata, Facoltà di Scienze della Formazione. Questo “manualetto” che va sotto il nome di I.P.A.(International Phonetic Alphabet), risolverebbe in modo oggettivo e scientifico tutti i problemi della scrittura vernacolare. Il testo, però, è di difficile comprensione e peri soli addetti ai lavori. Scrivere per “pochi” penso che non serva a nessuno. E gli altri? È già difficile scrivere e far comprendere la poesia, trasferire le proprie sensazioni! Figuriamoci se il modo di scrivere si allontanasse maggiormente dalla parola in italiano! Sarebbe veramente incomprensibile.

Egr. Sig. Sindaco, spero che ciò che Le ho scritto possa servire per farle comprendere quanto ci tenga a dare un contributo culturale al mio paese. Sperando di poterla salutare come ospite referente quest’estate la sera nella quale presenterò la Retrospettiva di tutte le mie opere a Termoli, Le invio i più cordiali saluti e gli auguri per il lavoro proficuo che sta svolgendo per la nostra amata città.

Saverio Metere

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Saverio Metere
Saverio Metere è nato a Termoli il 23 settembre del 1942. Vive e lavora a Milano dove esercita la professione di architetto libero professionista. Sposato con Lalla Porta. Ha tre figli: Giuseppe, Alessandro, Lisa. Esperienze letterarie. Oltre ad interventi su libri e quotidiani, ha effettuato le seguenti pubblicazioni: Anno 1982: Lundane da mazze du Castille, Prima raccolta di poesie in vernacolo termolese; anno 1988: I cinque cantori della nostra terra, Poeti in vernacolo termolese; anno 1989: LUNDANANZE, Seconda raccolta di poesie in vernacolo termolese; anno 1993 da Letteratura dialettale molisana (antologia e saggi estetici–volume primo); anno 1995: da Letteratura dialettale molisana (antologia e saggi estetici–volume secondo); anno 2000: I poeti in vernacolo termolese; anno 2003 (volume unico): Matizje, Terza raccolta di poesie in vernacolo termolese e Specciamece ca stá arrevanne Sgarbe, Sceneggiatura di un atto unico in vernacolo termolese e in lingua; anno 2008: Matizje in the world, Traduzione della poesia “Matizje” nei dialetti regionali italiani e in 20 lingue estere, latino e greco.