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GrandEurTermoleseTERMOLI – Ormai è un bollettino di guerra che si riempie di ora in ora con notizie sempre più catastrofiche. Un pezzo d’Italia se ne è andata. Ormai tutti gli operatori dell’informazione sono alla ricerca di specialisti che dicano qualcosa in più rispetto agli altri e loro stessi sono diventati specialisti ricorrendo, però e molto spesso, a banalità tecniche e lacrimevoli racconti che, oltre tutto, offendono la dignità di quelle popolazioni.

Ma questo terremoto non è la prima volta e, purtroppo, non sarà l’ultima. L’Italia è un paese a rischio perché caratterizzato da un territorio a forte vulnerabilità alla quale gli italiani, da parte loro, contribuiscono con un certo impegno. Non siamo in grado di prevedere un terremoto, e su questo per adesso non si può fare niente, ma non siamo nemmeno capaci di prevenire i danni che sappiamo per certo che ci saranno e, in conseguenza, addestrarci a rispondere in maniera adeguata. Confidiamo molto nella capacità di adattamento che tradizionalmente gli italiani dimostrano nelle avversità e la buona volontà a dare una mano quando serve. 
“Siamo noi più delle alluvioni i veri nemici del nostro patrimonio artistico”; la riflessione di Cesare Brandi (La Fiera Letteraria, 4, 25.1.1968) un anno dopo l’alluvione di Firenze, diventa ancora più pesante quando riferisce alla celebrazione del primo anniversario (“figurarsi se nel Paese delle cerimonie si perde un’occasione del genere”). Nel 2016 le mostre e le cerimonie nascondono il fatto che poco è stato fatto per evitare che il disastro possa ripetersi e che, nel malaugurato caso, i danni sarebbero ancor più gravi.

A fronte del terremoto di questi giorni il presidente del consiglio ha solennemente promesso che saranno ricostruite le case (perfino le seconde case), le chiese e gli esercizi commerciali dimenticandosi che molti sfollati di precedenti terremoti, Molise compreso, aspettano ancora di tornare a casa. Normative sempre più complesse che avrebbero dovuto assicurare edifici a prova di sisma si rivelano di volta in volta inadeguate tanto da richiedere costanti aggiornamenti e revisioni. I terremoti italiani si presentano di volta in volta con caratteristiche diverse così come diversificate sono le strategie costruttive antiche (e di rinforzo) di volta in volta messe in atto nelle diverse regioni. E che non conosciamo.

Si spendono molti fondi per cercare di capire perché un edificio sia caduto mentre si preferisce ignorare quegli edifici che, invece, hanno resistito. Non sarebbe il caso di spendere qualcosa per capire cosa ha fatto quell’anonimo e solo apparentemente ingenuo muratore che qualche decennio fa ha utilizzato, per esempio, spezzoni di legno per solidarizzare gli angoli dell’edificio, ha utilizzato travi di legno per allestire un cordolo sopra la cresta dei muri, ha utilizzato travi ben più lunghe della luce di un vano per coprire un solaio e catene messe a croce di s. Andrea …? Nel momento in cui l’unica soluzione accettabile sembra sia il trasformare un edificio in muratura in pietrame e laterizio in una sorta di bunker in c.a. (con un rivestimento che lo faccia sembrare una casa tradizionale, beninteso) forse non è fuori luogo ricordarsi anche delle “case baraccate” costruite secondo le norme borboniche del 1785 (basate proprio su telai in legno) e quelle predisposte per la ricostruzione di Lisbona in quegli stessi anni.

Una nostra indagine fatta all’indomani del terremoto molisano aveva rivelato che tra gli edifici crollati o fortemente lesionati c’erano: vecchie case lasciate in abbandono (prima o poi sarebbero cadute), nuove case fatte male (esili telai in c.a. e tamponature inadeguate) ma soprattutto vecchie case ristrutturate male (con l’uso sconsiderato di malte di cemento nelle murature antiche, riduzione degli spessori e dei maschi murari, ampliamento delle aperture, aggiunte di volumi…).

Di fronte a questo nuovo terremoto tra i tanti pensieri è inevitabile che corrano anche quelli che riguardano il Molise. Ma perché la Protezione Civile molisana è stata quasi del tutto smantellata; perché ha mandato via tecnici ormai addestrati e che bene hanno gestito le operazioni di ricostruzione? L’adeguamento e il miglioramento sismico vanno preventivati e realizzati prima di un evento calamitoso con una azione competente e ben coordinata. L’opera dei volontari è preziosa e insostituibile ma non può funzionare al di fuori dell’azione nella prima emergenza.

Ma il pensiero corre anche a Termoli. Con un territorio così delicato, peggiorato da una incontrollata proliferazione di nuovi edifici sui colli e sulle falesie costiere, è il caso di spendere una di montagna di soldi per favorire un intervento insensato (a metà strada tra sogni di una grandeur politica e concretezze immobiliari) che, oltre tutto, rischia di stravolgere l’esistente e certamente condizionerà anche il futuro della città? 

Ma perché per la politica culturale non ci sono mai i fondi che invece si trovano per opere faraoniche di dubbia utilità per la comunità? Ma non sarà che un maggiore impegno nella formazione e nella cultura (perché una amministrazione comunale avrebbe anche questa incombenza) rischia di far crescere e formare dei cittadini che poi (per carità!) si mettono in testa di chiedere perfino un referendum?

Luigi Marino

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2 Commenti

  1. considerazioni
    mi sembra che il titolo dell’articolo del prof Marino sintetizzi in modo chiaro tutto quello che poi dice: UNA RIFLESSIONE DISORDINATA! direi anche poco costruttiva!
    Se non ricordo male, negli anni settanta ed inizio anni ottanta il Prof. Marino è stato coinvolto in molte progettazioni di sistemazione sul lungomare nord. Questa volta non è stato interpellato. Che sia un modo per affermare una grandeur tecnica ed architettonica?

  2. per chiarire
    Non è vero che io sia stato coinvolto in “molte progettazioni”. Agli inizi degli anni ’80 ho avuto l’incarico di redazione di un piano particolareggiato del litorale dal Sinarca al confine nord del territorio comunale. La relazione cominciava con questa frase “un piano di previsione dovrebbe anticipare gli interventi e non legittimare una situazione precostituita” (a memoria). Il progetto ha cercato di fare un po’ d’ordine valorizzando i pochi spazi verdi sopravvissuti all’occupazione selvaggia. Un costruttore mi ha contattato per chiedermi di cambiare alcune “cosette” che avevo previsto in osservanza del piano regolatore; richieste che, ovviamente, ho rigettato. Il progetto è stato approvato e mai realizzato.