Un viaggio tra vernacolo, musica e poesia che unisce Termoli, Napoli e Milano, raccontato da Saverio Metere attraverso esperienze, tradizioni e versi originali.

BRESSO – Giornata veramente originale e anche divertente quella del 17 dicembre al C.A.B. di Bresso. Servendomi della poesia, ho sviluppato alcuni argomenti che, connessi con un filo invisibile, legano il nostro paese dal sud al nord attraverso i dialetti e il vernacolo, dimostrando che tutta l’Italia parla la stessa lingua: il dialetto italiano, la lingua di Dante Alighieri.
È un vestito che inconsapevolmente mi sento cucito addosso in quanto TERMOLI mi ha dato i natali, NAPOLI gli strumenti per il lavoro, MILANO il lavoro. Ho, perciò, tre cuori, tre anime perché la mia curiosità, la mia sensibilità, mi hanno portato ad assorbire le tradizioni, l’uso e i costumi delle tre città dove ho vissuto. Quindi, TERMOLI, NAPOLI e MILANO, sono cucite con un filo doppio di andata e ritorno che mi ha portato ad apprendere, apprezzare e sviluppare anche i loro dialetti.
Per CONCRETIZZARE questo stato d’animo, nel lontano 1980 ho cominciato a scrivere e pubblicare poesie in vernacolo termolese tradotte in lingua e ultimamente, anche in milanese. Ad oggi ne ho scritte circa 500, oltre a romanzi, poemi in vernacolo e articoli sui giornali online racchiusi in quindici libri depositati anche nella Biblioteca di Termoli. Gli argomenti sono tra i più vari: l’Amore, gli usi ed i costumi, la Politica, e, naturalmente, per deformazione professionale, le caratteristiche urbane, cioè, i cambiamenti che si verificavano nelle città dove tornavo nei vari periodi dell’anno come Natale, Pasqua, d’estate o per avvenimenti di particolare interesse.
Il 17 dicembre, accompagnato dalla chitarra, ho cantato e recitato brani musicati e composti in vernacolo termolese tradotti anche in milanese. Il vernacolo si trasforma facilmente in dialetto napoletano in quanto ci sono molte affinità tra le due regioni per il fatto che il Molise confina con la Campania. Il napoletano, poi, non è solo un dialetto ma una “Lingua” vera e propria derivata da tutte le dominazioni che Napoli ha subìto: dai turchi, ai saraceni, agli spagnoli, ai Borboni, ai francesi, ai Longobardi, agli austriaci e persino agli scandinavi. E Termoli risente anche di tutti questi apporti.
Il primo brano ha per titolo emblematico L’AMORE (in vernacolo ‘A MÓRE). È certamente UN SENTIMENTO che tutti credono di conoscere ma che si rivela difficile da interpretare e, spesso, anche solo da vivere fino in fondo. Per Amore, non s’intende soltanto quello tra una coppia ma è inteso in senso lato: per i figli, per i genitori, per gli amici. Estendendo il concetto nel senso letterario, possiamo parlare di quello VIOLENTO come quello di Paolo e Francesca nel V canto dell’Inferno o TIMIDO come lo disegna PEYNET nei suoi famosi Fidanzatini o GENTILE come quello di Dante verso Beatrice, TRAGICO come nel Romeo e Giulietta di Shakespeare o SCONFESSATO come ne Il Bellantonio, dell’originale film di Bolognini di qualche anno fa o quello cantato da PREVERT “…così fragile, così tenero …”.
Quindi, l’Amore è un sentimento COMPLESSO! Oppure, molto più semplicemente può essere: …una dolce serata trascorsa al chiaro di luna con la donna amata. Ed è la conclusione a cui giunge la poesia ‘A MÓRE che tende perciò a dargli una INCERTA DEFINIZIONE.

Tutti conosceranno la lirica ‘A LIVELLA di TOTÓ. La Livella è lo strumento che usano i muratori per mettere allo stesso livello i mattoni mentre innalzano un muro. TOTÓ, con essa, traduce in dialetto napoletano il proposito di essere, almeno dopo la morte, tutti uguali, allo stesso “livello”, ricchi e poveri, nobili e plebei. Totò è il comico che ha unito e ha fatto ridere l’Italia dal nord al sud parlando quasi sempre in napoletano. Ho scelto questa lirica perché alterna l’italiano al napoletano e nel dialogo tra il marchese e il netturbino il primo comprende esattamente il secondo che risponde in dialetto napoletano.
Per entrare maggiormente nel merito della lingua partenopea, la canzone che esprime l’essenza della filosofia napoletana è ambientata nella Napoli del primo dopoguerra, quando nasceva anche qualche scugnizzo di colore nato da padre afroamericano e mamma napoletana. James Senese, scomparso qualche mese fa, sassofonista della famosa band Napoli Centrale e grande amico anche di Pino Daniele e di Massimo Troisi, è stato uno di questi. La canzone TAMMURRIATA NERA, cantata dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, traduce in dialetto napoletano il desiderio di essere tutti uguali, bianchi e neri.
E per concludere su Napoli non ci si può esimere dal ricordare uno dei più grandi autori della canzone e del teatro napoletano. Parliamo di Salvatore Di Giacomo. Nato a Napoli nel marzo del 1860 e ivi deceduto nel ’34, fu autore, tra l’altro, delle bellissime melodie napoletane Era de Magge, Marechiaro, ‘E spinguele francese, ecc… Di lui propongo un lungo brano di prosa, recitato anche da Edoardo De Filippo e che descrive in modo inequivocabile la caratteristica mentalità napoletana che, ammantata dalla sua precaria ed inconsapevole situazione sociale di povertà latente, confonde anche il Padreterno il quale si presta di scendere a Napoli insieme a S. Pietro. Accortosi però dello stato di povertà in cui versano i Napoletani mette tutti i poveri in una Mappata e li porta in Paradiso. La conclusione sarà drammatica: dopo una pantagruelica mangiata li fa addormentare in un sonno mortale. Il Brano ha per titolo ‘A MAPPATE (LASSAMME FA A DIO).
E arriviamo, finalmente, a Milano. E più esattamente alla fusione del vernacolo termolese col dialetto lombardo. In quel famoso corso di dialetto milanese che ho seguito qualche anno fa mi feci tradurre alcune poesie in dialetto milanese. La prima è legata ad uno di quei piatti tipici della Lombardia: ‘A Cassoeula.

La seconda vuole essere un omaggio alla città che mi ospita da quasi 10 anni e nella quale ho trovato un ambiente accogliente e persone con le quali ho stabilito un rapporto di reciproco rispetto. Sarà la mia ultima tappa? Chissà! S’intitola semplicemente: BRESSO. Ha la forma metrica di un sonetto caudato alla maniera di Gioacchino Belli cioè col veleno nella coda. E per restare a Milano, sempre accompagnato dalla chitarra ho chiuso cantando in milanese MA MI, una delle più classiche e belle canzoni in Milanese. Composta da Giorgio Strehler e musicata da Lorenzo Carpi, fu interpretata dai più bravi cantanti milanesi, da Giorgio Gaber, a Dario Fo ad Enzo Jannacci e incisa nel ’61 dalla Vanoni.
A conclusione, ho recitato una chicca del grande EDOARDO che ho avuto il piacere di conoscere proprio a Milano quando nel 1980 festeggiò i suoi 80 anni e venne a fare uno spettacolo al Dal Verme e a grande richiesta del pubblico recitò una breve e significativa poesia:
‘O RAGÚ
‘O ragù ca me piace a me
m’o faceve sule mamma’.
A che m’agge spusate a te
ne parlamme pe’ ne parlà.
Io ne’ so’ dificultuse
ma levammele a mizze st’use.
E va bene, comme vuò tu
mo c’avesseme appic cica’.
Tu me dice: quist’è ragù
e io m’o mange pe’ mo mangia’.
Ma fai dicere ‘na paròle?
cheste è carne ca’ pummarole!
Alla prossima.
Saverio Metere


















