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altCAMPOBASSO – Poco prima dell’estate ci eravamo lasciati con un Ordine accusato di fare sindacato ed un sindacato che sottoscriveva un contratto mortificante per tanti colleghi. Alcuni avevano addirittura insinuato che l’Ordine Nazionale dei Giornalisti fosse “carente” nelle vesti di ente di diritto pubblico, per opporsi ad una trattativa. Ebbene, indipendentemente dal ricorso, cos’è successo? Che le 250 euro si sono rivelate una trappola logorante e sbugiardata da tanti editori, con conseguente sfiducia ed insostenibile malessere per i giornalisti. Io fui uno dei colleghi a protestate a Roma nella sede del Fnsi, nel corso di una manifestazione di mobilitazione nazionale, contro il segretario Siddi, colpevole di aver firmato quella che io consideravo una squallida condanna alla fame per i giornalisti non assunti. Ma oggi il Tribunale amministrativo del Lazio ha accolto parzialmente il ricorso sull’equo compenso presentato dall’Ordine nazionale dei giornalisti, ricorso che ha portato davanti ai giudici del Tar Governo, Fieg, Fnsi e Inpgi. Il Tar laziale – si legge nella nota dell’Ordine – ha stabilito che la Commissione governativa istituita per la valutazione dell’equo compenso giornalistico dovrà riesaminare e riapprovare la delibera con cui ha inteso promuovere l’equità retributiva dei giornalisti iscritti all’albo, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani, periodici, agenzie di stampa ed emittenti televisive.

La vicenda trae origine dalla legge con cui il 31 dicembre 2012, nell’introdurre nel nostro ordinamento l’equo compenso giornalistico, venne istituita una Commissione prevedendo la decadenza del contributo pubblico per quei quotidiani, periodici, agenzie di stampa e tv, che non avessero garantito il rispetto dell’equo compenso. Per i giudici del Tar “la delibera introduce parametri di ‘equo compenso’ non proporzionati alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e del tutto insufficienti a garantire un’esistenza libera e dignitosa al giornalista autonomo, in quanto le tabelle riconoscono e legittimano un sistema di lavoro ‘a pezzo’ o ‘a chiamata’ che vede aumentare la forza contrattuale degli editori, essendosi in realtà la Commissione limitata a fissare una sorta di ‘minimo garantito’, che peraltro non corrisponde all’equo compenso”, si legge nella sentenza.

I giudici amministrativi hanno tuttavia anche ritenuto che l’equo compenso “neppure può corrispondere alle tariffe del ricorrente Ordine, che eliminerebbero ogni margine di contrattazione atto a valorizzare il rapporto di proporzionalità tra quantità e qualità del lavoro specificatamente svolto, in contrasto con le indicate finalità della legge”. Il Tar si è astenuto dall’esame delle censure riguardanti le tabelle allegate alla delibera e i relativi scaglioni previsti, in quanto l’accoglimento parziale del ricorso “comporta comunque l’annullamento dell’intera delibera impugnata, con il conseguente obbligo per la Commissione di procedere ad una sua tempestiva riapprovazione” in senso conforme alla sentenza. “Il 19 giugno è stato un giorno di vergogna per il sindacato, il 7 aprile riapre la speranza in quanti vengono trattati da anni come schiavi”, ha commentato Enzo Iacopino, presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti dopo avere appreso dell’annullamento dell’intera delibera da parte dei giudici del Tar”.

Vincenzo Cimino e Cosimo Santimone Consiglieri nazionali Odg

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