‘Clandestino’, è parola di origine latina, composta dall’avverbio clam (segretamente, fatto di nascosto) e dal termine destino (fatum). Chi non ha un disegno, un progetto nascosto, segreto, una zona d’ombra che vorrebbe sottrarre agli sguardi curiosi degli altri? Siamo tutti clan-destini, e nello stesso tempo tutti destinati-segretamente, per uno scopo, un disegno, nascosto a noi stessi.
I continui interrogativi su tutto che ciascuno si pone ne sono la riprova. Vivendo tutti questa stessa condizione esistenziale non è difficile guardarci l’un l’altro in modo compassionevole, perché nel clandestino che ci è vicino (amico, moglie, marito, figlio, collega, straniero, ospite) si riflette la nostra stessa condizione, la nostra immagine più o meno sbiadita.
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri…” Da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti. Ottobre 1912 |
È nella natura del clandestino, quindi in ciascuno di noi, vivere in cerca di rifugio, di nascondiglio, sempre in cerca di un approdo sicuro dove adempiere il proprio destino, portarlo a compimento se possibile, sottratto dallo sguardo altrui, a volte indiscreto, violento, denudante. Da qui il continuo emigrare della famiglia umana fin dalle sue origini; i nostri antenati erano emigranti, nomadi, esiliati e rifugiati, così hanno popolato la terra in modo inconsapevole, ma spinti dal desiderio innato di cercare sempre qualcosa di nuovo e soddisfacente, forse il loro destino. Ieri come oggi, come sempre.
Benedetto XVI ne parla in modo molto pratico nella sua ultima enciclica Caritas in Veritate, al n. 62, soffermandosi sulla drammaticità e sulla complessità del fenomeno delle emigrazioni nel momento presente, col suo carico di disagio e sofferenza per tanti. Il papa dice che oggi tale fenomeno è “di natura epocale e richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati. Nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo”.
Pare, questa del Pontefice, una posizione ragionevole ed equilibrata che ogni persona di buon senso non può non condividere, una posizione che può illuminare soprattutto chi ha il potere e il dovere di prendere decisioni.