Gli strumenti per resistere al fotovoltaico selvaggio ci sono.
TERMOLI – Il ricorso che Slow Food Abruzzo-Molise, Aiab Molise, con il sostegno di Italia Nostra Molise, della Fondazione “Lorenzo Milani” e de “la Fonte” hanno presentato al Presidente della Repubblica contro l’autorizzazione di un impianto fotovoltaico nel Comune di Larino, denuncia una questione di grande rilievo a livello nazionale e al tempo stesso dimostra la volontà di reagire da parte di un territorio costantemente insidiato e ferito.
È la punta di un iceberg che deve emergere nella sua interezza, perché c’è un’altra guerra in corso: la guerra dei campi. Un’invasione di cui nessuno parla. L’impianto proposto da Enel e autorizzato dalla Regione Molise nelle Piane di Larino è uno dei tanti nella miriade di richieste per l’installazione di impianti fotovoltaici a terra che affollano i tavoli istituzionali e insidiano la debole resistenza contadina. Solo nel Basso Molise sono una ventina i progetti di grande estensione in corso di istruttoria. In soli otto comuni (Montenero di Bisaccia, Termoli, Larino, San Martino in Pensilis, Ururi, Campomarino, Santa Croce di Magliano, Rotello) essi andrebbero a occupare terreni fertili e produttivi per migliaia di ettari. E non si tratta di terreni marginali o improduttivi, anzi sono spesso zone irrigue o a produzioni biologiche e di qualità, con una elevata capacità produttiva del suolo. Nei comuni citati insiste, ad esempio, il biodistretto denominato Bio-Molise, mentre in uno di essi – a Santa Croce di Magliano – l’ampia area cerealicola di Melanico è stata di recente inserita nel Registro Nazionale dei Paesaggi rurali storici istituito presso il Ministero delle Politiche Agricole.
Per produrre energia, sotto la spinta di un modello di sviluppo sempre più energivoro al quale si si è aggiunto il ricatto della guerra, si verrebbe così a consumare la primaria risorsa energetica: il suolo, da cui deriva il cibo. Per effetto del modello industriale e urbanocentrico, in Italia la superficie agricola si è ridotta sensibilmente fino a dimezzarsi negli ultimi 60 anni. Non deve esserci spazio, dunque, per ulteriori riduzioni: abbiamo bisogno di grano e di tutti gli altri generi alimentari che solo la terra e l’agricoltura ci possono mettere a disposizione. Si parla tanto di rigenerazione e di ritorno nelle aree rurali. Ebbene queste aree devono salvaguardare il loro patrimonio territoriale, di cui il suolo fertile costituisce un elemento fondamentale. Dare via libera ai tanti, troppi progetti in corso di istruttoria significherebbe violentare il territorio, producendo danni ambientali ed economici, disperdendo il capitale fondiario in transazioni speculative che porterebbero la ricchezza lontano dai territori, impoverendo la società locale e trasformando irrimediabilmente il paesaggio che rappresenta l’altra grande risorsa, componente primaria del patrimonio culturale.
Gli strumenti per resistere al fotovoltaico selvaggio ci sono. Basterebbe rispettare le vocazioni dei territori ed escludere l’installazione a terra, salvo casi specifici quali aree abbandonate o dismesse (cave, discariche, ecc.), privilegiare l’uso delle coperture delle aree industriali. È il tempo di una forte mobilitazione territoriale, perché la questione energetica è stata creata da uno sviluppo sbagliato ed ha assunto un carattere speculativo; è figlia di un sistema che ora cerca tardivamente di rimediare agli errori compiuti, distruggendo circa 3 ettari di suolo per ogni megawatt di potenza. Una questione che va invece affrontata diversamente, con le comunità energetiche, il superamento dei grandi impianti, una effettiva politica di riduzione dei consumi e l’eliminazione dei profitti privati sull’energia. Il ricorso presentato al capo dello Stato deve essere l’occasione per ridare voce al territorio maltrattato.
Rossano Pazzagli
storico del territorio, Università del Molise