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TERMOLI _ San Giovanni Bosco, di cui il 31 gennaio si celebra la memoria liturgica, è stato un grande educatore. Ha incontrato, nella Torino dell’800, tanti giovani sbandati, figli di carcerati, poveri, soli ed esclusi, accogliendoli nel suo cortile, a Valdocco, dove aveva iniziato ad ospitarli, aiutarli a crescere e stare con loro condividendo tempo ma, soprattutto, aprendo ad essi il suo cuore sacerdotale. Dalla sua scuola sono nati tanti santi come Domenico Savio, dodicenne, che nel giorno della sua prima comunione fece il proposito: “la morte ma non il peccato”. Che educare sia difficile lo sanno tutti. Che nell’educazione è posto il futuro di una famiglia, di una società, della comunità ecclesiale è tanto evidente quanto necessario visto che la Chiesa italiana si è data per i prossimi 10 anni il compito di “educare alla vita buona del Vangelo”.

Il Papa Benedetto XVI per primo, poi, con lui, tutta la Chiesa, ma anche la società civile si siano accorti d’essere in una emergenza ed urgenza educativa è altrettanto evidente. Oggi forse è addirittura necessario parlare di coraggio educativo. Educare è un’arte. Difficile ma non impossibile. Un’arte di cui molti credono di possedere i segreti e a cui pochi si preparano, pur essendo un compito altamente difficile e stupendamente coinvolgente, totalizzante. Ma l’educazione non è solo strategia pedagogica che, per quanto necessaria, comunque risulta essere insufficiente e non appagante oltre che non esaustiva. Occorre metterci il cuore. Occorre investire sul rapporto personale che diventa relazione sana, costruttiva e dialettica. “L’educazione è cosa di cuore e Dio solo ne è il padrone” affermava don Bosco. Il cuore per lui abbraccia la totalità della persona, è il cuore biblico: luogo in cui l’essere umano decide l’orientamento della sua vita, plasma la propria volontà e opera scelte concrete. Sede delle motivazioni che muovono interiormente ad agire, il cuore può rivelare la profondità delle aspirazioni che solo Dio conosce pienamente.

“L’uomo – infatti – guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore”; un cuore capace di amare e perdonare, aperto alla compassione e alla comunione universale. Il vero problema è che è necessario dialogare col cuore dei bambini, dei ragazzi e dei giovani. Per poterlo fare occorre essere in relazione con loro. Possedere la password per entrarci è la maggiore sfida e il risultato più gratificante. Paolo VI soleva affermare che il cuore dei giovani appartiene a chi sa donare loro la speranza più grande. Perché affermava: “Non basta parlare dei giovani, ai giovani, ma è necessario far parlare i giovani”. Ascoltarli, perché “non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”. E chi più di Gesù Cristo e di coloro che lo testimoniano possono dare parole di conforto e di speranza? Dare autonomia e libertà? Colui che non toglie nulla e dona tutto: ecco la vera password per entrare nel cuore giovanile. L’educatore dev’essere convinto che in ogni giovane ci sono energie di bene da stimolare, “un punto sul quale far leva”. Questa è la vera chiave per fare breccia nel cuore degli altri. Don Bosco è un educatore perché propone progetti di vita, commisurandoli alla realtà di ogni giovane e all’ambiente in cui può crescere e maturare. Si radica, da una parte, nella tradizione spirituale umanistica di Francesco di Sales, scelto come patrono della Congregazione salesiana e assunto a modello ispiratore della sua azione educativa, come bene esprime il proposito: «La carità e dolcezza di Francesco di Sales mi guidino in ogni cosa”.