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Forse si perché nella sala consiliare della maggioranza si è resa chiara, in tutta la sua prevedibile evidenza, che gli interessi dell’amministrazione non coincidono sempre con quelli della gente. Lo slogan usato in campagna elettorale sembrava fosse diretta al riconoscimento degli interessi della gente; si è trasformato un po’ alla volta in una dichiarazione del tipo “mi avete votato e adesso io vi rappresento: state buoni”, consigliato da alcuni consiglieri il cui consiglio non pare sempre consigliabile.
Adesso la questione non è più tecnica; non è risolvibile con quattro buchi nel terreno perché, si sa, anche se venissero fuori rischi di frane e residuati bellici ci sarebbe sempre la possibilità (da un punto di vista strettamente tecnico) di intervenire (basta spendere più soldi: una manna per qualcuno). Adesso la questione riguarda più direttamente la democrazia. Ora la questione riguarda il rispetto dovuto alla gente che ha chiesto semplicemente di poter far sentire la sua voce.
In quello che è successo nella sala della maggioranza un aspetto positivo c’è: la gente c’era. Vuol dire che c’è ancora chi ha a cuore il futuro della città (indipendentemente dal tipo di amministrazione del momento), c’è chi non vuole dare più deleghe in bianco a una quindicina di rappresentanti che in realtà sembrano piuttosto rappresentare interessi di altri; c’è chi vuole lasciare ai propri figli una città che non sia peggio di quella attuale, una città che non venga trasformata in un centro commerciale e un parco giochi, dove tutto costa qualcosa.
Già, i giovani. Ce n’erano parecchi, anche se c’è stato chi ha cercato di sminuirne l’importanza. Non era un “filone” scolastico organizzato da un professore guerrigliero ma la dimostrazione che ci sono giovani che vogliono rendersi partecipi delle scelte del loro futuro. Non è vero che sarebbe stato meglio andare a scuola. Per loro, quello che hanno visto e hanno toccato con mano è stata Scuola, un vero Laboratorio sul territorio. Forse hanno cominciato a scoprire una politica fatta anche di reticenze (si vedrà, fidatevi, lasciate fare), furbizie (rinvio di ogni decisione a un dibattito pubblico farlocco), alibi (ma la commissione …) e pretesti (sennò paghiamo una penale: bastava concedere il referendum prima di farsi incastrare e ricattare).
Forse i giovani (ma non solo loro) hanno capito a quali rischi vanno incontro se la loro città continua ad essere gestita così quando, cioè, solo “di tanto in tanto, si dà al popolo l’illusione di essere sovrano” (indovinate un po’ chi l’ha detto).
Luigi Marino