GUGLIONESI – Lungamente attesa dal mondo dell’associazionismo regionale la recente legge, approvata all’unanimità dal Consiglio Regionale per il riordino e la revisione complessiva della disciplina del Terzo Settore a seguito del D. Lgs. 3 luglio 2017 n. 17, ha fortemente deluso le aspettative.

Nel momento in cui per la prima volta lo Stato ha cercato di definire il perimetro del Terzo Settore in maniera omogenea ed organica, oltre che normare gli aspetti civilistici e fiscali, l’Ente regionale si è limitato ad ispirarsi pedissequamente (si è benevoli in tale affermazione!) ad una datata legge regionale della Toscana (n. 65 del 22 luglio 2020). Infatti essa non recepisce nel proprio articolato un interessante pronunciamento in materia della Corte Costituzionale, così come le decisioni dell’ANAC sull’affidamento dei servizi e le numerose circolari e/o decreti ministeriali che hanno chiarito molti aspetti del Codice del Terzo Settore.

Ma il suo vulnus principale è che essa è stata approvata senza aver acquisito alcun parere dai diretti interessati, come se un contratto collettivo nazionale di lavoro venisse approvato solo dalla parte datoriale.

Va rimarcato, inoltre, come la stessa legge sia peggiorativa laddove ad esempio viene introdotto, rispetto a quanto previsto nella normativa toscana, il concetto di economicità nelle relazioni collaborative in netto contrasto con il ruolo valoriale del Terzo Settore.

Nella composizione della Consulta regionale si privilegia la rappresentatività degli organismi con un maggior numero di soggetti aderenti senza tener conto che la stragrande maggioranza degli enti regionali registrano invece un numero molto limitato di aderenti. Inoltre non contiene la fattispecie, prevista nel testo toscano, dell’integrazione della Consulta operata dalla Giunta Regionale a favore di altri Enti iscritti nelle specifiche sezioni del RUNTS. 

Laddove si parla di coprogettazione e coprogrammazione la genericità del testo impedisce una qualche definizione degli ambiti di intervento e delle modalità attuative. Non viene specificato il ruolo del Terzo Settore rispetto alla programmazione sociale regionale e a quella socio-sanitaria. Infine nulla viene stabilito circa la riduzione e/o l’esenzione dei vari tributi locali per non parlare che l’Ente regionale non impegna risorse economiche proprie.

Tale legge è solo la punta di iceberg di una siderale distanza che nell’ultimo periodo si è acuita tra le parti con una struttura amministrativa regionale che si ostina non solo a non dialogare con gli stessi Enti, come avveniva normalmente in precedenza, ma anche a penalizzarli poiché nell’emanazioni di bandi vengono richieste fidejussioni ed anticipazioni che non dovrebbero riguardare affatto gli enti non profit.

E allora noi chiediamo che si cambi completamente paradigma da parte del settore pubblico a partire dalla revisione strutturale della neonata legge regionale.

Questo sarà possibile nella misura in cui gli stessi Enti del Terzo Settore avranno il coraggio di proporsi come “portatori di risorse” e non solo come “portatori di bisogni”, così come è indispensabile che la politica maturi la consapevolezza che la vita democratica non riguarda solo le procedure, ma anche la definizione di uno spazio aperto che non può fare a meno di legami sociali, cittadinanza attiva, imprenditorialità sociale e mutualismo. La nostra società regionale ha bisogno, più ancora che nel passato, di un Terzo Settore forte e soprattutto pienamente autonomo dagli altri due settori.

Giuseppe Vaccaro
A.P.S. InFormare E.T.S.

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