Tentare però un’indagine sui suoi vari significati può forse farci capire quello che accade tra le persone quando sono interpellate a compiere il gesto democratico della ‘votazione’. Voto come promessa è la risposta accondiscendente di chi, interpellato da un candidato, accoglie la richiesta; se il promettente dice il vero o mente non è dato saperlo, almeno fino al momento dei risultati e delle sottili analisi dei voti per ogni singola sezione in cui alcuni, esegeti dei preziosi tabulati, sembrano particolarmente esperti. Ma la promessa può essere considerata anche dalla parte di chi si propone; ogni candidato chiede il voto perché ‘promette’ qualcosa, possibilmente unica e diversa da quella che promette un altro candidato (ma, sia detto sommessamente, molte delle promesse sono uguali).
Qui il gioco si fa più interessante, perché normalmente si dice che le promesse dei candidati sono come quelle dei marinai, ma si sa che spesso, nonostante la buona volontà, certe promesse sono praticamente irrealizzabili. Il voto come preghiera in genere è la supplica dell’orante; è quello che succede quando si ricorre, a volte con il cappello in mano, al candidato-eletto, diventato il potente di turno, per ottenere qualche favore, più o meno lecito.
Il voto inteso come desiderio probabilmente è il significato più delicato perché tocca dimensioni personali molto sensibili. Chi vota un candidato desidera che questi, se eletto, si assuma certe responsabilità in ordine alla gestione della cosa pubblica, secondo le attese dei suoi elettori. L’elettore esprime il desiderio che sia quel tale candidato il suo amministratore, perché ritiene che solo lui potrà soddisfare le sue richieste; da parte del candidato non è cosa da poco impegnarsi a soddisfare i desideri dei suoi elettori, cioè a fare ciò che essi chiedono e che egli stesso ha promesso dietro la spinta, forse un pò ingenua e inconsapevole, dell’entusiasmo e di un’eccessiva autopromozione, o della foga della competizione elettorale. Il senso di frustrazione che prende a volte gli eletti è la conseguenza dell’impotenza a soddisfare i desideri, i voti che ha chiesto ed ottenuto da elettori che ora presentano cambiali all’incasso.
Il voto come augurio e speranza riguarda sia gli elettori sia gli eletti, i primi perché confidano nel fatto che il loro voto non sia inutile, i secondi perché non vorrebbero deludere chi ha riposto fiducia in loro; è come se il rapporto tra gli uni e gli altri continuasse in forma latente e silenziosa. Inoltre non c’è voto sprecato, perché ogni voto porta con sé una dimensione personale che va comunque rispettata, anche se fortemente minoritaria o non condivisibile.
E cosa dire degli eventuali voti venduti/comprati, dei voti di scambio? E a quale prezzo? Facciamo fatica a crederci, per la dignità degli eventuali acquirenti e venditori. C’è anche chi non andrà a votare: probabilmente avrà i suoi buoni motivi che dicono sempre delusione, sfiducia, stanchezza, rassegnazione. Anche a questi ultimi si deve rispetto perché il loro non-voto esprime, anche se in forma passiva, una scelta personale; a questi i candidati si appellano protestando di essere portatori di una novità mai sperimentata e quindi di essere credibili e degni di fiducia. Sarà difficile convincerli, ma devono provarci. Infine, ci si può dividere sul voto fino al punto da interrompere rapporti di amicizia, di lavoro, perfino legami familiari? Ne vale veramente la pena?