La povertà è un fenomeno complesso che non risparmia nessuno. I dati negativi riguardano anche il nostro territorio (vedi il recente rapporto Caritas), caratterizzato dalla presenza di molte famiglie monoreddito, con un alto numero di componenti a carico, con scarse relazioni sociali ed elevati tassi di disoccupazione. Questa situazione è favorita dalla bassa crescita economica e da una stagnante domanda di lavoro, che a loro volta provocano nuove povertà, accentuano il disagio sociale e sollecitano risposte non più rinviabili. La disoccupazione tocca in modo preoccupante i giovani e si riflette pesantemente sulla famiglia, cellula fondamentale della società. Non è facile individuare quali possano essere le migliori politiche del lavoro da realizzare: i candidati sindaci presentano le loro ricette ma il problema appare molto più grande dei migliori propositi.
Certamente, però, si deve onorare il principio di “sussidiarietà” e non tralasciare la formazione professionale. I giovani non devono sentirsi condannati a una perenne precarietà che ne penalizza la crescita umana e lavorativa. La disoccupazione non è frenata o alleggerita dal lavoro sommerso, che non è certo un sano ammortizzatore sociale e sconta talune palesi ingiustizie intrinseche (assenza di obblighi contrattuali e di contribuzioni assicurative, sfruttamento, ecc.). Il problema del lavoro, soprattutto giovanile, è attraversato da una “zona grigia” che si dibatte tra il non lavoro, il “lavoro nero” e quello precario; ciò causa delusione e frustrazione e allontana ancora di più il nostro mercato del lavoro dagli standard di altre aree. Il flusso migratorio dei giovani, soprattutto fra i venti e i trentacinque anni, verso il Centro-Nord e l’estero, è la risultante di queste contraddizioni. Oggi sono anzitutto figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale categoria dei nuovi emigranti.
Anche tra noi si lamenta la fuga di cervelli, i migliori. Questo cambia i connotati della nostra società, privandola delle risorse più importanti e provocando un generale depauperamento di professionalità e competenze, soprattutto nei campi della sanità, della scuola, dell’impresa e dell’impegno politico. In una prospettiva di impegno per il cambiamento, soprattutto i giovani sono chiamati a riappropriarsi della libertà e della parola in una società democratica, ma essi sanno bene che cosa significhino favori clientelari consolidati, gruppi di pressione, territori controllati, paure diffuse, itinerari privilegiati e protetti, concorsi pilotati. Ma sanno anche che le idee, quando sono forti e vengono accompagnate da un cambiamento di mentalità e di cultura, possono vincere i fantasmi della paura e della rassegnazione e favorire una maturazione collettiva.
Essi possono contribuire ad abbattere i tanti condizionamenti presenti nella nostra realtà. Per questa ragione, la dimensione educativa deve svolgere un ruolo primario: uno sviluppo autentico e integrale ha nell’educazione le sue fondamenta più solide, perché assicura il senso di responsabilità e l’efficacia dell’agire, cioè i requisiti essenziali della passione e della capacità di iniziativa. I veri attori dello sviluppo non sono i mezzi economici, ma le persone. E le persone, come tali, vanno educate e formate: lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune.