Simone Coscia
TERMOLI _ Dopo aver letto con interesse i diversi articoli che commentavano la recente Sentenza della Corte Europea del 28/08/2012 n. 54270, nonché da ultimo una chiara presa di posizione da parte di esponenti religiosi locali, vorrei esporre serenamente qualche breve riflessione sull’argomento. La vicenda tratta delle vicissitudini di una coppia coniugata che aveva già generato un figlio affetto da una grave patologia genetica, la fibrosi cistica, scoprendo così al momento della nascita del loro primogenito di essere entrambi portatori sani della malattia. Successivamente la donna rimasta incinta nel 2010 si sottoponeva alla diagnosi prenatale ed il feto risultava positivo per cui sceglieva di abortire. Volendo pianificare una nuova gravidanza, evitando che il nascituro presentasse la stessa patologia, i genitori chiesero di sottoporre gli embrioni ottenuti per la fecondazione assistita allo screening preimpianto. 

tal proposito la nostra legislazione interna L. n.40/2004, consente l’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale solo alle coppie eterossessuali coniugate o conviventi che siano infertili o sterili, mentre proibisce a tutti gli altri aspiranti genitori ( e quindi anche alle coppie fertili portatori di malattie gravissime, come nel nostro caso) la possibilità di accedere alle tecniche diagnostiche preimpianto sugli embrioni. Per essere più precisi, con il D.M. 11/04/2008 si era aperta una piccola breccia in questo duro muro dogmatico, consentendo l’accesso alla tecnica diagnostica a quelle coppie ove l’aspirante padre fosse affetto da malattie trasmissibili sessualmente come l’HIV ovvero l’epatite B e C (non contemplando però la fibrosi cistica).

Parallelamente un’altra legge dello Stato Italiano L. 194/78 (legge sull’aborto), permette però alla coppia di accedere ad aborto terapeutico in caso che il feto venga trovato affetto da gravi malformazioni (come es. la fibrosi cistica), e che le stesse rechino grave nocumento fisico o psicologico alla madre . Ebbene, la Corte di Strasburgo nel caso in esame ha ritenuto all’unanimità, dopo una attenta ricostruzione comparata della materia, che la normativa italiana (L. 40/2004) violasse l’art. 14 e più specificatamente l’art 8 CEDU, il quale stabilisce: “che non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio del diritto al rispetto alla vita privata e familiare se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati,la protezione della salute o della morale,o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”. La Corte, pertanto, richiamando anche la sua costante Giurisprudenza, ha ribadito il diritto all’autodeterminazione dell’individuo, il diritto di diventare “genitori” e nello specifico “genitori genetici”, acconsentendo alla diagnosi embrionale pre-impianto (con il limite di selezioni eugenetiche), al fine di garantire appunto il rispetto della vita privata e familiare evitando ingerenze di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale dirtto. Inoltre, è significativo il giudizio con cui la Corte taccia di incoerenza intrinseca la normativa italiana in materia di procreazione assistita ( L. 40/2004) rispetto a quella sull’aborto ( L. 194/78); infatti mentre la prima proibisce la diagnosi preimpianto sull’embrione di una certa malattia, la seconda ne consente l’aborto terapeutico qualora il feto soffrisse di quella stessa patologia.

Queste sono in sintesi le situazioni di fatto e di diritto emerse dall’esame operato della Corte Europea, che naturalmente hanno prodotto forse un eccessivo turbamento fra i “pensatori confessionali” ed un esagerato entusiasmo tra i “pensatori laici”. Senza addentrarci in cavillose e noiose questioni giuridiche, rimanendo invece nel campo della Bioetica si può notare che questa sentenza non ha nulla di “rivoluzionario” e che si inserisce in quel filone di pensiero “antidogmatico” definito anche come “etica della situazione”, contrario sia ad una idea “confessionale-universale”, che ad un pensiero “ tecnocratico-libertario”. Difatti, dal dispositivo in esame non traspare minimamente alcun elemento che spalanchi le porte ad una idea eugenetica selettiva, che si avrebbe permettendo la modificazione diretta del patrimonio genetico di un individuo, ma semplicemente riconosce nel “particolare” il diritto ad essere genitore di un figlio sano privo di gravi patologie invalidanti. Ebbene, in questa materia, così delicata e priva di precisi ed indiscutibili “criteri guida”, non è auspicabile un approccio manicheo-fondamentalista ( di natura religiosa o tecnocratica), ma forse è bene una maggiore accettazione di un pluralismo cultulare, dove le istituzioni fondate su un principio di necessaria laicità, nel regolare tali fenomeni debbano lasciare ampio spazio alla autodeterminazione, alla personale coscienza e alla libertà dell’individuo. Di contro rischieremmo di avere o uno Stato teocratico o peggio ancora uno Stato Etico.

Simone Coscia

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