CAMPOBASSO _ Il 27 gennaio del 1944, le truppe alleate, aprendo i cancelli del campo di concentramento nazista di Auschwitz, in Polonia, annunciavano al mondo il concretizzarsi, ad un tempo, della “più grande” sconfitta e della “più grande” vittoria dell’umanità. Un’umiliante sconfitta, perché l’umanità prendeva atto che la follia ideologica, la scelleratezza razzista, il fobico odio religioso e il vile interesse economico, di un regime privo di scrupoli, come quello nazista, aveva portato allo sterminio, programmato e organizzato, di oltre sei milioni di esseri umani colpevoli solamente di essere ebrei.

Ma fu anche una grande vittoria in quanto, quella stessa umanità che non seppe fermare Hitler e i suoi seguaci, già ai tempi delle leggi razziali, era riuscita a trovare al suo interno i giusti anticorpi per estirpare il male e impedire che altri milioni di ebrei continuassero ad essere annientati. Una vittoria a cui seguì con la giusta ed opportuna autocritica storica, culturale e politica, e la capacità delle nazioni che presero parte alla seconda guerra mondiale, di rendere onore alle memoria di tutte le vittime del conflitto, e segnatamente, a quelle ebraiche.

E’ dunque dovere di ogni essere umano, di ogni cittadino di uno Stato libero e democratico, di ciascun componente di una civiltà evoluta e tollerante, avere memoria di quei tragici eventi, dell’immenso numero di vittime che determinarono e del lancinante dolore che generarono. Ma è altrettanto imperativo lavorare quotidianamente, nel piccolo e nel grande della responsabilità individuale e collettiva, per far si che i focolai dell’odio, del razzismo, dell’intolleranza e della prevaricazione, non abbiano più a divampare.

Gli ultimi mesi hanno visto, nella nostra Europa, come in altre parti del mondo, episodi di intolleranza, di negazionismo, fino ad arrivare, addirittura, alla giustificazione, più o meno velata, della follia criminale nazista di persecuzione del popolo ebraico. Questo non può essere accettato da una società moderna e con radici culturali e religiose che da sempre sono esempio di tolleranza, solidarismo e rispetto umano.

E’ quindi chiaro che dobbiamo ancora difendere le sei milioni di vittime della Shoah dal superficialismo, dalla distorsione della storia e dalla lettura faziosa e ingiusta di fatti e di circostanze che fecero dell’olocausto ebraico una delle pagine più buie e vergognose della storia dell’uomo. Siamo quindi tutti mobilitati (Istituzioni, mondo della scuola e dell’Istruzione, società civile in tutte le sfaccettature) per gridare un convinto mai più odio razziale, mai più odio religioso, mai più odio di classe, mai più odio di un popolo.

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