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TERMOLI – Un vescovo vive tra la gente, ascolta e incontra quotidianamente tante persone che gli chiedono un colloquio; la maggior parte delle volte si tratta di richieste di lavoro da parte di giovani, e di non giovani disoccupati con famiglie da mantenere. Ma il vescovo non ha la bacchetta magica né poteri che erroneamente gli vengono attribuiti; le raccomandazioni personali non sono moralmente accettabili perché ogni volta si offende e si fa un torto a un escluso.
Si sperimenta però un senso di impotenza e di frustrazione per non poter rispondere alle appassionate richieste di aiuto, ma anche di forte critica e contestazione di un sistema ancora inquinato da miopie, discriminazioni, inefficienze, soprusi, autoritarismi, particolarismi campanilistici e clientelari. La Diocesi negli ultimi anni ha affrontato il problema del lavoro (soprattutto giovanile) promuovendo alcune esperienze (servizi Caritas, Policoro, Un Paese per giovani e altre sono in progetto) che in qualche modo possono essere occasione per alcuni di uscir fuori dal tunnel della disperazione, ma è una goccia nel mare magnum dei bisogni e delle urgenze.
Nel nostro territorio la disoccupazione giovanile raggiunge percentuali abbastanza preoccupanti; sono molti i giovani, che pur in possesso di diplomi e lauree e titoli professionali importanti, sono costretti ad emigrare, non solo in altre città italiane ma anche all’estero. In questo panorama triste e deludente persiste la convinzione che per accedere al mondo del lavoro sia necessario ricorrere al vecchio metodo della raccomandazione, al sistema collaudato del clientelismo politico, di amicizie importanti in certi ambienti. Tocchiamo purtroppo quasi quotidianamente che questo, che è un vero e proprio tarlo del mondo del lavoro, inquina le coscienze, distrugge le speranze di tanti giovani. Non di rado questo sistema mostra l’aspetto crudele e vergognoso della corruzione: bisogna “pagare pedaggio” per ottenere ciò che spetterebbe di diritto o che si potrebbe ottenere attraverso percorsi onesti di selezione, regole chiare di assunzione, trasparenza di metodi e richieste di professionalità. Tanti giovani non sono trattati con dignità, le loro richieste trovano muri e opposizioni, i loro curricula sono carta straccia se non si ha un protettore.
E la politica sembra non aiutare, anzi, alimentare un sistema che sembrava prerogativa di altri tempi, quando nel nostro territorio tutto era deciso da pochissimi, ogni nomina, ogni incarico, dal più semplice fino all’alto dirigente. La svolta non c’è stata, la rivoluzione culturale è stata una illusione; il consenso è generato dai voti, questi vengono da favori personali, soprattutto promesse di lavoro (che tra l’altro spesso non vengono mantenute e quindi si rivelano inganni). Accanto alla politica, gli altri settori delle istituzioni e della realtà pubblica non sono esenti da questi retaggi che di fatto umiliano e calpestano la dignità delle persone.
Papa Francesco incontrando sabato 27 febbraio la Confindustria in Vaticano ha avuto parole chiare:
“E che dire poi di tutti quei potenziali lavoratori, specialmente dei giovani, che, prigionieri della precarietà o di lunghi periodi di disoccupazione, non vengono interpellati da una richiesta di lavoro che dia loro, oltre a un onesto salario, anche quella dignità di cui a volte si sentono privati? … Dinanzi a tante barriere di ingiustizia, di solitudine, di sfiducia e di sospetto che vengono ancora erette ai nostri giorni, il mondo del lavoro, di cui voi siete attori di primo piano, è chiamato a fare passi coraggiosi… La vostra via maestra sia sempre la giustizia, che rifiuta le scorciatoie delle raccomandazioni e dei favoritismi, e le deviazioni pericolose della disonestà e dei facili compromessi”.
Gianfranco De Luca