
Il nuovo art. 71 Cost. prendendo atto di ciò introduce il principio, prima assente, della garanzia dell’esame e deliberazione in tempi certi, sulle proposte di iniziativa legislativa popolare. Questa volta ci sarà l’obbligo delle Commissioni di esaminare le proposte di legge popolari entro un certo termine (stabilito nei regolamenti parlamentari) decorso il quale, se ci sarà parere favorevole, la proposta sarà iscritta nel calendario dei lavori dell’Assemblea che deciderà a sua volta in tempi certi. La logica sta nell’obbligare il Parlamento a prendere comunque sia una decisione sulla proposta popolare e a farlo in tempi determinati e prevedibili. Meglio che in passato sicuramente. La riforma inoltre introduce i referendum popolari propositivi, di indirizzo e altre forme di consultazione delle varie formazioni sociali. Il primo in particolare è uno strumento di consultazione del corpo elettorale su temi specifici col fine di proporre una nuova legge. Nel caso di superamento del quorum e della vittoria del sì, esso diventa un vincolo per il legislatore a legiferare in coerenza con la volontà popolare. Fu utilizzato ad esempio nel 2007 in Val d’Aosta e gli elettori furono chiamati ad esprimersi su temi come la creazione di un presidio ospedaliero, dichiarazione preventiva di alleanze politiche, equilibrio di rappresentanza fra generi ecc. Sempre in tema di referendum (abrogativo stavolta) il nuovo art. 75 Cost. introduce un diverso quorum per la validità del referendum pari alla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera, nel caso in cui la richiesta sia stata avanzata da 800 mila elettori.
La logica, ancora una volta, guarda alla realtà degli ultimi anni del nostro paese, che ha visto diminuire costantemente la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto (così come richiesto dall’art.75 Cost.) alle consultazioni referendarie. Agganciare le potenzialità di uno strumento come il referendum al semplice buon senso e alla praticità del momento storico (ultime elezioni alla Camera), costituisce un modo per dare un orizzonte di concretezza alla volontà popolare e trasformarla in azione politica. Ovviamente si mantiene la possibilità per 500 mila elettori, oltre che per 5 Consigli regionali, di richiedere il referendum, lasciando invariato l’attuale quorum di validità ossia la maggioranza degli aventi diritto al voto.
Venendo alla critica, essa trae origine da una radicata convinzione a vedere il Senato come “organo di garanzia” per il buon andamento di un regime parlamentare. (Fusaro) Ma non è così. Il senso ultimo di un regime parlamentare tipico delle democrazie occidentali, sta semplicemente in un governo che resta in piedi nella misura in cui il Parlamento non lo manda a casa. Descrizione brutalmente sintetica di ciò che noi tutti conosciamo col nome di rapporto di fiducia. Il Senato così come lo conosciamo noi, con questo suo modo di funzionare così detto “di garanzia” fu il risultato di compromessi politici, influenzati pesantemente dai molti avvenimenti e variabili storiche legati ad un determinato periodo storico (paura della Guerra fredda, scontri e timore reciproco di forze politiche agli antipodi che, una volta preso il potere, avrebbero affossato l’altro). Questo clima spinse i partiti e le pur migliori menti di allora, a congegnare meccanismi, istituti e regole volte, più che altro, a limitare i poteri e le concrete possibilità di azioni istituzionali, di chi avesse pur legittimamente preso il potere. E il cuore della riforma sta proprio nel superamento degli effetti di questi inceppi, protrattisi per anni e anni sotto il nome di bicameralismo perfetto: due Camere che fanno esattamente la stessa cosa. Per raggiungere questo obiettivo si è scelto di riservare alla sola Camera la titolarità del rapporto di fiducia, la funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell’operato del governo; al Senato invece la rappresentanza delle istituzioni territoriali. L’esclusione di un’elezione diretta del Senato è legata a questa logica di differenziazione dei ruoli e ben espressa nella relazione di accompagnamento al disegno di legge del Governo: un’elezione diretta “inevitabilmente, potrebbe trascinare con sé il rischio che i senatori si facciano portatori di istanze legate più alle forze politiche che alle istituzioni di appartenenza, ovvero di esigenze particolari circoscritte esclusivamente al proprio territorio, e che la loro legittimazione diretta da parte dei cittadini possa, inoltre, indurli a voler incidere sulle scelte di indirizzo politico che coinvolgono il rapporto fiduciario, riservate in via esclusiva alla Camera dei deputati, in tal modo contraddicendo le linee portanti cui è ispirato il disegno di legge.” Una sterminata letteratura politologica spiega come certi meccanismi elettivi incentivino e disincentivino certi comportamenti e “attitudini”. Inoltre molti ordinamenti europei e non come Germania, Francia, Stati Uniti prevedono l’elezione indiretta della seconda Camera senza che ciò sia visto come un’offesa alla volontà popolare, “mai interpretata nel senso che tutti gli uffici pubblici debbano necessariamente essere di diretta estrazione popolare” (Fusaro).
Questo perché il nuovo Senato non dovrà essere più concepito come un organo riunito in permanenza come le Camere attuali ma a rinnovo parziale e non sottoposto a scioglimento (la sua durata è…perenne), dato che la durata del mandato dei nuovi senatori coinciderà con quella dell’organo dell’istituzione territoriale da cui sono stati eletti, ossia con la durata dei consigli regionali. Ai nuovi regolamenti parlamentari poi il compito di disciplinare il coordinamento degli incarichi, evitando incompatibilità fra i diversi calendari di impegni istituzionali.
Innanzitutto diciamo che la legge elettorale non è materia di riforma costituzionale, in effetti non è proprio materia costituzionale, tant’è che il Costituente le diede il rango di legge ordinaria, quindi potrà sempre essere modificata all’occorrenza, senza il procedimento e le maggioranze previste dall’art. 138 Cost., e sottoposta a giudizio di costituzionalità. La riforma introduce infatti un importantissimo strumento di garanzia: il giudizio preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali. Questo vuol dire che le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato (compreso l’italicum su cui la Corte si pronuncerà!), potranno essere sottoposte, prima della promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale della Corte Costituzionale, su ricorso motivato presentato, entro dieci giorni dall’entrata in vigore della riforma, da almeno ¼ dei deputati o da ⅓ dei senatori. La Corte Costituzionale si pronuncerà entro il termine di trenta giorni (nuovo art.134 Cost.). Valvola di sicurezza che smentisce la teoria della “deriva autoritaria”. Facendo poi un rapido calcolo numerico non si vede davvero come possa esserci un “controllo assoluto” di…tutto praticamente! L’italicum prevede infatti che la lista che ottiene al primo turno una maggioranza relativa del 40%, o vince il ballottaggio tra le prime due (sono vietati apparentamenti), dunque ottiene la secondo turno la maggioranza assoluta dei voti, abbia alla Camera un limitato premio di governabilità costituito al massimo da 340 seggi (54%) su 630. Ora, dei 340 deputati di maggioranza, almeno 240 saranno eletti direttamente con le preferenze, mentre al massimo 100 saranno eletti con un sistema uninominale. Con la nuova riforma per eleggere il Presidente della Repubblica e i membri del Consiglio superiore della magistratura sarà prescritta almeno la maggioranza dei ⅗ (60%) dei votanti; per eleggere i giudici della Corte Costituzionale servono al Parlamento di seduta comune la maggioranza dei ⅔ dei componenti fino al terzo scrutinio; maggioranza dei ⅗ dei componenti dal quarto scrutinio (sempre attorno al 60% in su). L’italicum assicura il 54% circa, dunque non basterebbe in alcun caso in assenza di opposizione e minoranze. Tutto il resto rimane invariato, non cambiano i poteri del presidente del Consiglio, non viene abolito nessun contrappeso e come dimostrato prima i quorum per eleggere Presidente della Repubblica e gli organi di garanzia restano matematicamente irraggiungibili per la sola maggioranza di governo.
Luca Fabrizio