Alcune risposte nel merito al fronte del no cittadino sul referendum costituzionale.
TermoliRockTERMOLI – In un precedente articolo pubblicato su queste colonne e frutto di un incontro tenutosi tra la cittadinanza e il Prof. Alessandro Pace, noto esponente del fronte del no, vengono elencate molto sbrigativamente le principali motivazioni contrarie alla riforma costituzionale per la quale saremo chiamati a votare il 4 Dicembre. Oscillanti, a mio avviso, fra paure astratte e inesattezze tecniche, vorrei provare a rispondere punto per punto, con argomenti nel merito, alle critiche mosse.

STRUMENTI DI DEMOCRAZIA DIRETTA
Leggo nell’articolo di come la riforma sia volta ad “escludere i cittadini” attraverso la sottrazione di un’intera area riservata agli strumenti di democrazia diretta. Citando l’articolo  “[…] le procedure e i numeri necessari per presentare disegni di legge di iniziativa popolare e referendum vengono infatti complicati e ampliati enormemente. Il riferimento è al nuovo art. 71 Cost. che disciplina, tra le altre cose, anche l’iniziativa legislativa popolare e referendum propositivi. La “complicazione” sta in un aumento ragionevole del numero necessario di firme per presentare una proposta di legge che passa da 50 mila a 150 mila. Per capirne il senso bisogna fare una considerazione. L’istituto dell’iniziativa legislativa popolare ha avuto fino ad oggi una scarsa rilevanza nella dinamica costituzionale italiana, sia perché è stato uno strumento scarsamente utilizzato dal corpo elettorale, sia e soprattutto perché, i progetti di legge presentati hanno avuto seguito in Parlamento in numero limitato di casi, il loro iter, cioè, si è concluso raramente con un’approvazione definitiva.

Il nuovo art. 71 Cost. prendendo atto di ciò introduce il principio, prima assente, della garanzia dell’esame e deliberazione in tempi certi, sulle proposte di iniziativa legislativa popolare. Questa volta ci sarà l’obbligo delle Commissioni di esaminare le proposte di legge popolari entro un certo termine (stabilito nei regolamenti parlamentari) decorso il quale, se ci sarà parere favorevole, la proposta sarà iscritta nel calendario dei lavori dell’Assemblea che deciderà a sua volta in tempi certi. La logica sta nell’obbligare il Parlamento a prendere comunque sia una decisione sulla proposta popolare e a farlo in tempi determinati e prevedibili. Meglio che in passato sicuramente. La riforma inoltre introduce i referendum popolari propositivi, di indirizzo e altre forme di consultazione delle varie formazioni sociali. Il primo in particolare è uno strumento di consultazione del corpo elettorale su temi specifici col fine di proporre una nuova legge. Nel caso di superamento del quorum e della vittoria del sì, esso diventa un vincolo per il legislatore a legiferare in coerenza con la volontà popolare. Fu utilizzato ad esempio nel 2007 in Val d’Aosta e gli elettori furono chiamati ad esprimersi su temi come la creazione di un presidio ospedaliero, dichiarazione preventiva di alleanze politiche, equilibrio di rappresentanza fra generi ecc. Sempre in tema di referendum (abrogativo stavolta) il nuovo art. 75 Cost. introduce un diverso quorum per la validità del referendum pari alla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera, nel caso in cui la richiesta sia stata avanzata da 800 mila elettori.

La logica, ancora una volta, guarda alla realtà degli ultimi anni del nostro paese, che ha visto diminuire costantemente la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto (così come richiesto dall’art.75 Cost.) alle consultazioni referendarie. Agganciare le potenzialità di uno strumento come il referendum al semplice buon senso e alla praticità del momento storico (ultime elezioni alla Camera), costituisce un modo per dare un orizzonte di concretezza alla volontà popolare e trasformarla in azione politica. Ovviamente si mantiene la possibilità per 500 mila elettori, oltre che per 5 Consigli regionali, di richiedere il referendum, lasciando invariato l’attuale quorum di validità ossia la maggioranza degli aventi diritto al voto.

Dall’insieme di questi argomenti, dunque, non vedo davvero come possa desumersi un effettivo impedimento alla partecipazione dei cittadini alla vita politica del paese.

SENTENZA N. 1/2014
Il secondo punto critico riportato dall’articolo è questo: questa riforma è incostituzionale perché “formulata da un Parlamento delegittimato ad operare dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha abolito il Porcellum […] questo Parlamento non aveva dunque nessuna autorità per modificare la Costituzione.” Se la fonte di questa critica è la sentenza, onestà intellettuale imporrebbe però di leggerla tutta e non singole parti ad uso e consumo personale. Nella parte finale la Corte infatti statuisce espressamente che: “Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate incostituzionalmente illegittime, costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti. Del pari non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano consultazioni elettorali.” La stessa Corte conclude ribadendo che è “fuori di ogni ragionevole dubbio…che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari e indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare.” Dunque, è un fatto che la Corte non abbia mai travolta la legittimazione giuridica delle Camere dichiarandole incostituzionali, altrimenti, se così fosse stato si sarebbe dovuto procedere al loro scioglimento.

INIZIATIVA LEGISLATIVA
Leggo nell’articolo: “Altra grave anomalia è il fatto che la legge sia stata proposta dal Governo e non dal Parlamento.” E dove sarebbe l’anomalia? La fonte di questa “teoria” è sconosciuta. L’iniziativa legislativa è riservata ad alcuni soggetti tassativamente elencati dalla Costituzione e tra i quali rientra il Governo. Anzi quest’ultimo è l’unico soggetto che ha il potere di iniziativa su tutte le materie. Cito l’art. 71 Cost.: “L’iniziativa legislativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale.” Non solo ma, il disegno di legge presentato dal Governo è stato sottoposto al più rigido controllo parlamentare, attraverso le classiche letture ed emendamenti presentati dalle Camere, con un procedimento legislativo durato due anni e compiuto nel pieno rispetto delle maggioranze richieste dall’art.138 Cost. È tutto scritto negli atti parlamentari.

IL SENATO
“La legge Renzi Boschi è  […] anticostituzionale in quanto viola gli artt. 1 e 3 della Costituzione, (il Senato non è più elettivo e prevede doppie funzioni di senatore e consigliere regionale o sindaco per i 100 componenti, con limiti temporali strettissimi per intervenire sui disegni di legge approvati dalle Camere) Innanzitutto i componenti consiglieri/sindaci non sono 100 ma 95 (74 consiglieri regionali più 21 sindaci) essendo i rimanenti  5 senatori di nomina presidenziale.

Venendo alla critica, essa trae origine da una radicata convinzione a vedere il Senato come “organo di garanzia” per il buon andamento di un regime parlamentare. (Fusaro) Ma non è così. Il senso ultimo di un regime parlamentare tipico delle democrazie occidentali, sta semplicemente in un governo che resta in piedi nella misura in cui il Parlamento non lo manda a casa. Descrizione brutalmente sintetica di ciò che noi tutti conosciamo col nome di rapporto di fiducia. Il Senato così come lo conosciamo noi, con questo suo modo di funzionare così detto “di garanzia” fu il risultato di compromessi politici, influenzati pesantemente dai molti avvenimenti e variabili storiche legati ad un determinato periodo storico (paura della Guerra fredda, scontri e timore reciproco di forze politiche agli antipodi che, una volta preso il potere, avrebbero affossato l’altro). Questo clima spinse i partiti e le pur migliori menti di allora, a congegnare meccanismi, istituti e regole volte, più che altro, a limitare i poteri e le concrete possibilità di azioni istituzionali, di chi avesse pur legittimamente preso il potere. E il cuore della riforma sta proprio nel superamento degli effetti di questi inceppi, protrattisi per anni e anni sotto il nome di bicameralismo perfetto: due Camere che fanno esattamente la stessa cosa. Per raggiungere questo obiettivo si è scelto di riservare alla sola Camera la titolarità del rapporto di fiducia, la funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell’operato del governo; al Senato invece la rappresentanza delle istituzioni territoriali. L’esclusione di un’elezione diretta del Senato è legata a questa logica di differenziazione dei ruoli e ben espressa nella relazione di accompagnamento al disegno di legge del Governo: un’elezione diretta “inevitabilmente, potrebbe trascinare con sé il rischio che i senatori si facciano portatori di istanze legate più alle forze politiche che alle istituzioni di appartenenza, ovvero di esigenze particolari circoscritte esclusivamente al proprio territorio, e che la loro legittimazione diretta da parte dei cittadini possa, inoltre, indurli a voler incidere sulle scelte di indirizzo politico che coinvolgono il rapporto fiduciario, riservate in via esclusiva alla Camera dei deputati, in tal modo contraddicendo le linee portanti cui è ispirato il disegno di legge.” Una sterminata letteratura politologica spiega come certi meccanismi elettivi incentivino e disincentivino certi comportamenti e “attitudini”. Inoltre molti ordinamenti europei e non come Germania, Francia, Stati Uniti prevedono l’elezione indiretta della seconda Camera senza che ciò sia visto come un’offesa alla volontà popolare, “mai interpretata nel senso che tutti gli uffici pubblici debbano necessariamente essere di diretta estrazione popolare” (Fusaro).

Quanto ai “tempi strettissimi” riservati ai nuovi senatori per intervenire sui disegni di legge approvati dalla Camera, vorrei ricordare che con la riforma solo il 5% delle leggi rimarrebbe bicamerale (cioè quelle su cui Camera e Senato decidono insieme), in particolare quelle riguardanti materie che disciplinano le regole del gioco e il funzionamento del sistema: leggi costituzionali, di attuazione della Costituzione su alcune specifiche materie, leggi riguardanti l’ordinamento degli enti locali, legge elettorale per il Senato, di ratifica dei trattati UE. Leggi che vengono per loro stessa natura trattate e discusse una tantum. Sul futuro modo di lavorare dei nuovi senatori si discute ancora molto e in quanto a tempistiche si è visto per esempio al Bundesrat tedesco (la camera dei Land) che si riunisce e vota…una volta al mese!

Questo perché il nuovo Senato non dovrà essere più concepito come un organo riunito in permanenza come le Camere attuali ma a rinnovo parziale e non sottoposto a scioglimento (la sua durata è…perenne), dato che la durata del mandato dei nuovi senatori coinciderà con quella dell’organo dell’istituzione territoriale da cui sono stati eletti, ossia con la durata dei consigli regionali. Ai nuovi regolamenti parlamentari poi il compito di disciplinare il coordinamento degli incarichi, evitando incompatibilità fra i diversi calendari di impegni istituzionali.

IL COMBINATO DISPOSTO
L’articolo riporta la critica secondo cui il combinato disposto tra riforma e legge elettorale ci porterebbe in un regime che “definire autoritario non è eccessivo”, con un controllo totale del governo su Parlamento, elezione del Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale. Una catastrofe in poche parole. Vediamo cosa si può fare.

Innanzitutto diciamo che la legge elettorale non è materia di riforma costituzionale, in effetti non è proprio materia costituzionale, tant’è che il Costituente le diede il rango di legge ordinaria, quindi potrà sempre essere modificata all’occorrenza, senza il procedimento e le maggioranze previste dall’art. 138 Cost., e sottoposta a giudizio di costituzionalità. La riforma introduce infatti un importantissimo strumento di garanzia: il giudizio preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali. Questo vuol dire che le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato (compreso l’italicum su cui la Corte si pronuncerà!), potranno essere sottoposte, prima della promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale della Corte Costituzionale, su ricorso motivato presentato, entro dieci giorni dall’entrata in vigore della riforma, da almeno ¼ dei deputati o da ⅓ dei senatori. La Corte Costituzionale si pronuncerà entro il termine di trenta giorni (nuovo art.134 Cost.). Valvola di sicurezza che smentisce la teoria della “deriva autoritaria”. Facendo poi un rapido calcolo numerico non si vede davvero come possa esserci un “controllo assoluto” di…tutto praticamente! L’italicum prevede infatti che la lista che ottiene al primo turno una maggioranza relativa del 40%, o vince il ballottaggio tra le prime due (sono vietati apparentamenti), dunque ottiene la secondo turno la maggioranza assoluta dei voti, abbia alla Camera un limitato premio di governabilità costituito al massimo da 340 seggi (54%) su 630. Ora, dei 340 deputati di maggioranza, almeno 240 saranno eletti direttamente con le preferenze, mentre al massimo 100 saranno eletti con un sistema uninominale. Con la nuova riforma per eleggere il Presidente della Repubblica e i membri del Consiglio superiore della magistratura sarà prescritta almeno la maggioranza dei ⅗ (60%) dei votanti; per eleggere i giudici della Corte Costituzionale servono al Parlamento di seduta comune la maggioranza dei ⅔ dei componenti fino al terzo scrutinio; maggioranza dei ⅗ dei componenti dal quarto scrutinio (sempre attorno al 60% in su). L’italicum assicura il 54% circa, dunque non basterebbe in alcun caso in assenza di opposizione e minoranze. Tutto il resto rimane invariato, non cambiano i poteri del presidente del Consiglio, non viene abolito nessun contrappeso e come dimostrato prima i quorum per eleggere Presidente della Repubblica e gli organi di garanzia restano matematicamente irraggiungibili per la sola maggioranza di governo.

IL VOLANTINO INQUISITO
Last but not least la polemica sul volantino recante il titolo oggetto del quesito referendario, la cui formulazione “sarebbe chiaramente ingannatrice”. Qui siamo alle barzellette. Il testo del quesito è stato deciso nel pieno rispetto della legge 352/1970, articolo 16, che impone di usare nel quesito…il titolo della riforma! Bene, sta di fatto che il titolo tanto mistificatore e osteggiato dal fronte del no avrebbe potuto essere modificato nel dibattito parlamentare durato oltre due anni (come ricordato sopra) ma evidentemente nessuno se ne era accorto…a voi le debite conclusioni.

Luca Fabrizio

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