San Basso: la storia, la vita, l’identità. Don Marcello Paradiso risponde ad appello di Totaro.
TERMOLI – Non è affatto agevole una ricostruzione storica dell’identità di San Basso patrono di Termoli, né della sua storia come anche della presenza delle sue reliquie nella nostra Cattedrale. Altri hanno tentato di indagare e studiare a fondo per cercare risposte adeguate a certi interrogativi che, probabilmente a tutt’oggi, non sembrano totalmente chiariti. Il desiderio di acquisire una assoluta certezza storica su fatti e persone lontani da noi molti secoli può apparire presuntuoso ma un avvicinamento alla verità non ci è precluso, anzi, per quanto è possibile, va continuamente osato. Una comunità cristiana che vive una intensa devozione verso un Santo Patrono fino ad identificarsi in Lui e a trovare nella sua Persona la fonte di un’autentica religiosità popolare, terreno fertile per la vita di fede, non può non domandare al passato di vedere le proprie radici. Per la storia della fede di Termoli queste radici sono S.Basso, la traslazione delle sue reliquie, il rinvenimento di queste dopo secoli di dubbi e incertezze.
Chi raccoglie quanto è stato scritto almeno nei due secoli a noi precedenti è il vescovo, di origini termolesi, Biagio D’Agostino nella sua opera Termoli e la Diocesi pubblicato nel 1977. L’illustre prelato, storico infaticabile della nostra città e della ex Diocesi di Termoli, fa una lunga disamina di tutte le fonti a sua disposizione (e a queste non se ne è aggiunta nessun’altra), e analizza criticamente ipotesi e argomentazioni di più autori del passato sostenitori e difensori di differenti posizioni intorno al Santo e a tutto ciò che si riferisce alla sua persona. Probabilmente l’encomiabile sforzo di Mons. D’Agostino è teso a dimostrare ciò di cui egli è già fermamente convinto e che non lascerebbe mai intaccare da un pur minimo barlume di dubbio e cioè che il S. Basso venerato come patrono in Termoli è stato Vescovo di Nizza in Provenza, è vissuto nel III° secolo, è stato martirizzato intorno al 250, il suo corpo è giunto a Termoli fin dal VII° secolo, se non prima, e infine che Cupramarittima possiede una reliquia di S.Basso donata a quella città dai termolesi. In verità Cupramarittima conserva il corpo intero mummificato di San Basso, ben visibile sotto l’altare maggiore del Santuario a lui dedicato.
LA QUESTIONE DEI DOCUMENTI E DELLA STORICITÀ
Ab immemorabili, da tempo immemorabile Termoli venera S.Basso come suo patrono; almeno già dal XII° secolo, altrimenti non si spiegherebbe la statua sul portale della Cattedrale con tanto di iscrizione (foto 1). I documenti più antichi che abbiamo e che attestano questo culto plurisecolare sono le relazioni ad limina dei vescovi, (conservate presso l’Archivio Storico Vaticano), ma le prime sono solo della fine del XVI° secolo; per i secoli immediatamente precedenti fa senz’altro fede la statua sul portale e la statua lignea policroma custodita nell’Episcopio (foto 2). I Vescovi del XVI° e del XVII° secolo attestano che S.Basso è il Patrono di Termoli e della Diocesi, che il culto é celebrato ab immemorabili, che il corpo era sepolto nella Cattedrale ma se ne ignorava il luogo preciso. Mons. D’Agostino si premura di citare scrupolosamente tutti i passi delle relazioni vescovili che accennano a S.Basso e alla devozione del popolo. Quanto la memoria del santo fosse profondamente radicata nella tradizione del popolo è testimoniato anche dal seguente racconto del Padre domenicano Serafino Razzi, riportato dalla Calò-Mariani nella sua importante pubblicazione sulle due Cattedrali di Termoli e Larino: “quando il padre domenicano, nel cuore della notte invernale (alla due ore di notte del 21 febbraio 1577, mentre infuriava un temporale con forte vento che pareva rovesciare le case dalle fondamenta e la gente gridava invocando l’aiuto di Dio) svegliato dal tumulto e dalle voci degli abitanti di Termoli che si accalcavano nella piazza del Duomo, scese in chiesa, seppe ‘la causa di cotale concorso essere la luminaria di S.Basso, Vescovo e martire, sepolto nella Cattedrale, Avvocato e protettore dei Termolani: la quale -luminaria- era apparsa sopra il campanile”. Circa la denominazione nicensis, sempre secondo la ricerca di Mons. D’Agostino, essa appare per la prima volta nelle relazioni di Mons. Giuseppe Silvestri del 1735 e del 1742, dove si legge “S.Basso martire e vescovo ‘nicensis‘”. Certamente sia Mons. Silvestri, sia i suoi predecessori sono convinti che si tratti di S.Basso Vescovo di Nizza, “presso il fiume Varo” cioè in Provenza, perché il “Martirologio Romano”, la cui prima edizione risale al 1583, al giorno 5 dicembre dice: “S.Basso, vescovo di Nizza presso il fiume Varo, martirizzato sotto gli imperatori Decio e Valeriano dal prefetto Perennio…’, dopo aver subìto atroci torture. Il Cardinale Baronio che collaborò alla redazione del Martirologio, nel 1586 scrive di aver tratto notizie di S.Basso e del suo martirio da manoscritti ricevuti dalla chiesa di Nizza; il che fa pensare, argomenta Mons. D’Agostino, che a Nizza fossero conservati antichi documenti o quanto meno liste episcopali con alcune notizie. Altri studiosi, però, sia recenti che non, negano la presenza di tali documenti e, inoltre, sostengono che un Basso vescovo di Nizza in Provenza è ignoto alle fonti agiografiche e a elenchi episcopali; il Cardinale Baronio avrebbe attinto le notizie su S.Basso da altri scrittori facendo confusione e identificando S. Basso vescovo di Nizza con un S. Basso vescovo di Nicea in Bitinia (nell’Asia Minore). In effetti esiste un testo, il Martirologio del Galesino, il quale parla di un S.Basso vescovo di Nicea ma è anche vero che nelle liste episcopali della chiesa di Nicea in Bitinia non c’é traccia di un vescovo Basso.
LE RELIQUIE DI SAN BASSO A TERMOLI
Ci sono alcuni elementi certi, punti fermi per quanto riguarda le reliquie di San Basso e Termoli. Quando viene nascosto il corpo di S.Timoteo, nel 1239, per paura degli assalti dei veneziani, non sappiamo se viene nascosta anche l’urna con le reliquie di S.Basso nella famosa Grotticella. La diversità dei caratteri delle iscrizioni della lapide di S.Timoteo e di quelle che si riferiscono a S.Basso (L’iscrizione sull’urna, lapide alla parete del camerino, la tavoletta di creta e la lapide a pezzi) ci dice che sono di epoche, stili e mano diverse; le ricerche degli studiosi del CNR di Roma datano comunque le iscrizioni di San Basso intorno al 1200. Il Menna ( arciprete della Cattedrale, che scrive una breve storia sul ritrovamento di San Basso nel 1767) anticipa la data del nascondimento e fa le seguenti ipotesi: 914 anno in cui Termoli viene assalita dai saraceni (sempre secondo il Menna), 1136 anno in cui viene saccheggiata dall’imperatore Lotario (ma nelle cronache del tempo non ci sono cenni di particolari devastazioni) diretto in Puglia contro il re normanno Ruggero. Certo è che San Basso viene collocato sotto “l’antico altare con ornamento di legno” (p. 254) nel 1117 (ricordiamo i terremoti del 1108, 1117 e 1125), come rivela Mons. Giannelli che ha ritrovato l’iscrizione nel piano di questo antico altare: “qui riposa il corpo del beatissimo Basso Vescovo e Martire, anno 1117”. Caduto il principato beneventano, si era ormai sotto il dominio dei normanni e i termolesi, dice Mons. Giannelli, “non erano punto considerati”, quindi conveniva, in via precauzionale, proteggere o nascondere il sacro deposito. Ritenendo fondata, poi, l’ipotesi che il primo edificio religioso e la istituzione della Diocesi risalgano al periodo immediatamente anteriore all’anno mille, verrebbe da pensare che Termoli sia entrata in possesso delle reliquie del Santo non prima del mille; resta però l’incertezza riguardo alla modalità e alla provenienza. Ipotizzare un trasferimento delle stesse lungo le coste dell’adriatico, sarebbe ragionevole perchè in più di qualche località, da Venezia a Termoli, alcuni santi di nome Basso sono conosciuti e venerati.
IL RINVENIMENTO DI MONS. GIANNELLI
Mons. Tommaso Giannelli (vescovo dal 1753 al 1768) ebbe la fortuna di ritrovare le reliquie di S. Basso nella Cattedrale. Il prelato, nelle sue Memorie, pubblicate a S. Salvo nel 1986 dal Lions Club di Termoli e curate dal prof. Michele de Gregorio, ci ha lasciato il resoconto dettagliato del rinvenimento e le sue relazioni sulla scoperta. Nella relazione della Prima visita ad limina del 1754 Mons. Giannelli descrive la cosiddetta Grotticella di S. Basso, posta sotto l’altare del Santo: “al lato del vangelo (la sinistra del presbiterio) c’è un piccolo altare al quale si accede per alcuni gradini. Il popolo crede, per antica tradizione, che qui sia sepolto il Corpo di S.Basso ‘Episcopi Niceae’ e martire, ma sulla cui attendibilità non risulta che nessuno dei vescovi miei predecessori abbia voluto esprimersi”. (nostra libera traduzione dal latino). Mons. Giannelli aggiunge che viene venerata una reliquia di S. Basso, precisamente il braccio destro conservato dentro un busto d’argento del santo, reliquia donata ai nostri avi dai cittadini di Marano (Cupramarittima) che “presumono di avere il corpo integro” di S.Basso. Del Santo -continua Mons. Giannelli- Patrono principale della città vengono celebrate due feste: una il 4 di agosto detta della traslazione, l’altra il 5 dicembre giorno del suo martirio, come risulta dal Martirologio Romano (lo stesso giorno celebra la festa anche Lucera, dice Giannelli).
Durante i lavori per collocare il nuovo altare maggiore, consistenti nell’abbassamento del livello del presbiterio e conseguente demolizione della volta della Grotticella e del camerino, piccolo locale dietro la Grotticella separata da questa da una finestrella con griglia, si scoprì una lapide di marmo sulla parete del camerino con una iscrizione di quattro righe (che dice semplicemente che in quella tomba c’é S. Basso, vescovo e martire), e una lapide a pezzi sul piano del camerino con alcune lettere che raccolte formavano la seguente scritta: “Qui riposa il corpo del Beato Basso vescovo e martire”. Questo accadde la sera del 31 dicembre 1760. Mons. Giannelli pensa bene di far sospendere lo scavo per evitare clamori e disordini e di riprenderlo di notte. La sera del 1 gennaio 1761 a porte chiuse si procedette alla demolizione del piccolo pavimento del camerino, sotto la lapide a pezzi. Alla presenza dell’arcidiacono Nicola Cardone e del primicerio Giovanni D’Alessandro (dignità del Capitolo della Cattedrale) fu rimosso un piano di mattoni al di sotto del quale apparve un’urna di marmo bianco (foto 5). Chiamato allora l’intero Capitolo l’urna fu prelevata e deposta sugli scalini della navata centrale. Apertala, ai piedi dello scheletro fu notata una tavoletta di gesso, conservata oggi in Cattedrale, con l’iscrizione: “Qui riposa il corpo di S.Basso vescovo e martire” (foto 4). Sul dorso dell’urna c’è un’iscrizione in versi latini composti da un certo che si firma Sabilus (il testo indica il nome del santo, il suo martirio, il premio celeste). Su di un lato dell’urna c’é il nome dello scultore: “Dominicus Lauretanus hoc opus fecit“(foto 6). Attualmente l’urna è custodita nella cosiddetta cripta della Cattedrale in un punto che potrebbe corrispondere al luogo in cui è stata nascosta per tanto tempo. Il giorno seguente ci si accorse che l’urna era appoggiata su tavole che coprivano un altro nascondiglio, il luogo forse del primo sarcofago di marmo grezzo delle reliquie del santo. Così nascosto era certamente difficile da trovare e facile da dimenticare.
Dello storico rinvenimento esistono cinque documenti di mons. Giannelli ( due dell’8 gennaio 1761, il verbale canonico del 7 luglio 1761 e due omelie, 4 agosto 61 e 62)
La relazione di Mons. Giannelli datata 8 gennaio 1761 (prima stesura riportata nel Registro del Capitolo), è scritta qualche giorno dopo; il verbale canonico in latino del 7 luglio 1761 è firmato dal Vescovo, dal Capitolo della Cattedrale (c’è un Brigida, Cardone, Tomasone, d’Alessandro, un Cannarsa, D’Onofrio, e dai due medici, Ricciuti e Salomone che eseguirono la ricognizione delle ossa. Il verbale attesta semplicemente il ritrovamento, la ricognizione delle ossa e la decorosa sistemazione delle reliquie per la venerazione dei fedeli, mentre la relazione (probabilmente per la Santa Sede) non solo si dilunga in una minuziosa cronaca di tutto l’accaduto che portò alla felice scoperta ma, dopo aver descritta l’ipotesi del martirio del santo, dibatte anche il problema di come quando e perché le ossa di S.Basso da Nizza giunsero a Termoli. Ci sembra interessante il seguente passo, che citiamo, perché rivela la grande onestà intellettuale di Mons. Giannelli e la sua cautela su quanto non ha certezze: “La detta città (Nizza) più non vanta avere il Sagro deposito, ed i Cittadini deplorano la perdita: ma non sanno riferire come o quando avvenuta. Se si amasse narrare, o scrivere favole, o si potrebbe adesso dar fuori qualche bello monumento, in cui o si raccontasse qualche notturna visione ch’el deposito del S. Vescovo, e Martire dalli Normanni, o altra barbara gente buttato nell’acque del mare fosse a questo lido approdato, ed accolto con pietoso giubilo dalli cittadini, per rivelazione essere quelle le osse del santo Vescovo, il quale bramava che avessero qui il loro riposo: o si riferisse la navigazione di qualche illustre cittadino verso l’occidente, e che approdato in quella spiaggia avesse o con danaro, o con frode, o con violenza procurato avere il Sagro Deposito. Ma in ossequio della verità si confessa ingenuamente, che non si sa come, e quando si sia fatto acquisto di tale gratissimo e ricchissimo tesoro. Si dice però e con raggione che non essendo in Nizza il Corpo del S. Vescovo e martire, sia questo, che qui si è trovato ed elevato”.
Mons. Giannelli prosegue giustificando le feste del 5 dicembre, giorno del martirio, e del 4 agosto, giorno della traslazione, celebrate da tempo immemorabile; afferma che sarebbe stato illecito celebrare queste feste “se non si avesse goduta la sorte di possedere le di lui reliquie” e “se il Vescovo di quel tempo (riferendosi alla traslazione del 4 agosto) non avesse avute chiare, ed irrefragabili testimonianze ch’el Corpo qui trasportato era del santo Vescovo e Martire S. Basso. Non potendosi veruno immaginare, che governasse allora questa Chiesa Vescovo tanto semplice e credulo, che senza le necessarie cautele, e messe in non cale le regole tutte dell’Ecclesiastica Dottrina, avesse voluto accogliere quale Corpo di santo martire lo scheletro di un cadavere ritrovato a caso, e farne celebrare la solenne traslazione”. Alla fine Mons. Giannelli polemizza abbastanza ironicamente con i cittadini di Marano (Cupramarittima) i quali “inventarono novella” sul fatto che a Termoli, che possedeva l’avambraccio destro del Santo, si festeggiasse la festa della Traslazione; detta reliquia sarebbe stata donata da loro stessi ai termolesi, da qui dunque la venerazione nella nostra città.
Mons. Giannelli, però, ci disorienta non poco con la relazione riveduta sul ritrovamento uguale (eccetto nel passo in cui dice che è vescovo di Lucera) a quella dell’8 gennaio 1761(presente nelle “Memorie” esistente a Vasto) e con l’omelia del 4 agosto del 1762: in questi documenti, con un capovolgimento apparentemente rocambolesco, afferma che le reliquie rinvenute appartengono a S.Basso martire e vescovo di Lucera. Nella stessa omelia del 4 agosto del 1761 non nomina mai S.Basso come vescovo di Nizza, come non fa nel verbale datato 7 luglio 1761. Cosa era intervenuto perché venisse scalfita l’iniziale certezza di Mons. Giannelli? Probabilmente il vescovo si attivò fin dai primi giorni del mese di gennaio per trovare conferme a quanto affermava il martirologio romano ma i suoi tentativi non ebbero esito positivo se i suoi dubbi non furono mai dissipati. Nella relazione riveduta (8 gennaio 61) Mons. Giannelli afferma: “…si può avere per certo che siano (le Reliquie) non già del Martire S.Basso Vescovo di Nizza della Provenza, dove nella persecuzione di Decio verso la metà del terzo secolo soffrì il martirio, ed il cui corpo riposa in Marano; ben vero di S.Basso, che fu Vescovo di Lucera e morì martire nell’ultimo anno di Traiano che fu l’anno 118 secondo la cronologia del Baronio. Presso li lucerini due memorie si sono conservate ed oggi ancora si conservano. La prima, essere stato colà Vescovo S.Basso sul fine del primo, e nel principio del secondo secolo della Chiesa. E la seconda, ch’il deposito sia stato da quella città qui trasportato”. Mons. Giannelli cita anche una fonte antica (la Cronologia dei vescovi sipontini del Vescovo Sarnelli) secondo la quale Lucera ebbe come primo vescovo S.Basso morto martire e ipotizza un furto delle reliquie da parte dei termolesi verso il nono secolo, nel periodo in cui i larinesi, nella stessa città ormai distrutta, rubarono il corpo di S. Pardo, successore di S.Basso sulla cattedra episcopale di Lucera. Che Lucera avesse avuto come primi vescovi due santi chiamati Basso e Pardo è confermato solo da una fonte medioevale molto tarda; non è possibile quindi avvalorare le affermazioni di Mons. Giannelli. E’ singolare poi che il nostro vescovo dica che anche i lucerini festeggiano S.Basso Vescovo il 5 dicembre giorno del martirio.
Nell’omelia del 4 agosto del 1762 Mons. Giannelli affronta apertamente il popolo termolese e dichiara essere le reliquie rinvenute non già del Vescovo di Nizza ma di S.Basso vescovo e martire di Lucera. “Nel rinvenimento delle Sagre Reliquie, sparsasi per le vicine contrade, la grata novella, le reliquie medesime profetarono, e ci fecero intendere non appartenere a quel Santo Vescovo e martire, ben vero ad altro vescovo illustre e martire invitto, di memoria più gloriosa e veneranda, per aver governata la Chiesa e pasciuto il gregge di Gesù Cristo in tempi più difficili, e per aver nelle prime persecuzioni della Chiesa sofferto il martirio”. Espone quindi il racconto del martirio, come verosimilmente pensa che sia accaduto, e del trasferimento a Termoli delle sacre reliquie “sopra magnifico ed ornato carro tirato da bovi”, secondo una tradizione orale passata da padre a figlio e raccolta dai vescovi. Aggiunge ancora: “…se bene era pensiero di quei divoti cittadini riporre l’acquistato Tesoro nella parrocchiale chiesa di S.Pietro ch’era al primo ingresso: li bovi però guidati dalla Provvidenza divina, senza che si fosse potuto ivi arrestargli, veloci fino alla porta di questa Cattedrale proseguirono il cammino”. E’ risolto così, conclude Mons. Giannelli, il contenzioso con la città di Marano, perché questa tradizione popolare merita di essere accolta come vera in quanto “voce del popolo, voce di Dio” e soprattutto perché, dice Giannelli, è più facile pensare che le reliquie siano giunte da una terra a noi molto vicina, quale é Lucera, che non da una provincia lontana come la Provenza. Tale vicinanza poi fa supporre che il santo Vescovo Basso, dalla vicina Daunia, abbia predicato nelle nostre terre, continua Giannelli; questo è ulteriore motivo di affetto, legame profondo e intensa devozione verso il santo protettore. Insomma Mons. Giannelli le tenta tutte perché il popolo termolese si convinca che il santo protettore viene da Lucera e non da Nizza e che ciò é motivo di maggior vanto e più sicura protezione celeste.
Mons. D’Agostino, fermamente convinto che si tratti di S. Basso di Nizza, trafugato dai marinai termolesi a Marano dopo il X° secolo e giunto a Termoli per via mare, non riferisce di questi documenti del Giannelli né della tradizione della traslazione col carro trainato dai buoi. In verità questa seconda tradizione non trova nessun riscontro in altre fonti né presso racconti popolari. Si sa che il confine tra certezza storica e tradizione popolare è molto labile come oscuro è il rapporto, spesso, tra le due. Purtroppo Mons. Giannelli non ha altri argomenti che una voce tramandata da generazione a generazione; nessun’altro vescovo, né prima né dopo di lui, ne fa un ben che minimo cenno. L’arciprete Menna nel 1767 la ignora totalmente come anche non la conosce il prof. Ragni. La forte somiglianza con la tradizione larinese su S.Pardo desta notevoli sospetti. Mons. Giannelli conosce la relazione di Mons. Andrea Tria vescovo di Larino sulla storia di S.Pardo; ne cita le memorie storiche nel suo lavoro. Probabilmente gli sembrava più verosimile quella ipotesi, avvalorata forse da alcune voci e comunque liberatoria nei confronti della questione maranese. Nel momento in cui scopre un S.Basso primo vescovo di Lucera sembra accogliere questa soluzione con forza ma senza alcun seguito o riscontri oggettivi e plausibili.
SAN BASSO TRA TERMOLI E CUPRAMARITTIMA (MARANO)
Mons. D’Agostino contesta la storicità della pia donazione della reliquia fatta da maranesi ai termolesi perché non c’è traccia di questa nelle relazioni di vescovi predecessori. Il braccio destro separato dal corpo ed esposto alla venerazione e al culto trova una ragione plausibile nella consueta abitudine di nascondere il corpo e proteggerlo da eventuali furti e saccheggi (col rischio, come è accaduto anche per S. Timoteo, di smarrire la memoria del luogo dell’occultamento). Ma su questo braccio non manca una suggestiva e colorita leggenda che complica non poco un serio tentativo di ricostruzione storica delle reliquie di S.Basso.
Mons. D’Agostino la raccoglie nel 1929 da don Emidio Lanciotti Arciprete di Cupra a cui aveva scritto per chiedere notizie del culto di S.Basso in quella città. Ad una donna di Marano, sposata ad un uomo di Termoli, fu rivelato misteriosamente che nel sotterraneo della Chiesa di un convento vicino Marano fosse sepolto il corpo di S.Basso. Avvertite le autorità, la leggenda narra che furono trovate realmente le ossa del santo nel luogo indicato dalla donna. Questa, tornata a Termoli, comunicò tale prodigioso evento ai termolesi che, spinti chissà da quale pio desiderio, di notte navigarono fino alle coste di Marano per trafugare le reliquie di S.Basso. I maranesi, avvertiti del pericolo, impedirono il….sacro trasloco e, con gesto magnanime, donarono alla pia donna l’avambraccio destro. Questa portò la sacra reliquia a Venezia, continua la leggenda, per farla rivestire d’oro e racchiuderla in un’urna d’argento. Ma l’orefice, d’accordo col Doge, sottrasse la vera reliquia e restituì alla donna un avambraccio finto, di legno di fico e rivestito d’oro. La donna, tornata a Termoli, volendo accertarsi dell’autenticità dell’avambraccio lo punzecchiò con uno spillo; dal pezzo di legno, miracolosamente, sprizzò sangue vivo. Certo tutto può accadere, anche la moltiplicazione degli avambracci! In effetti il corpo venerato a Cupramarittima (già Marano) è privo di questa parte. Il già citato don Emidio Lanciotti fa sapere a Mons. D’Agostino un altro particolare: la restante parte del braccio destro, dal gomito alla spalla, fu donata dalla città di Marano alla città di Nizza che, intorno alla metà del XV° secolo, pare avesse fatto richiesta di una reliquia del Santo.
Mons. D’Agostino cita pubblicazioni che vorrebbero dimostrare come il corpo custodito a Cupra sia S.Basso vescovo di Nizza; naturalmente le contesta con forza sostenendo che comunque gli argomenti addotti non provano assolutamente niente. Contesta anche chi afferma che il S.Basso venerato a Termoli sia stato vescovo di Lucera: difatti tale affermazione, secondo Mons. D’Agostino, non trova nessun riscontro in documenti o fonti antiche.
Conclusioni antropologiche riassuntive
Lo studio dei resti scheletrici e dentari di San Basso indica che si trattava di un uomo di statura antropologicamente definibile alta (cm.179,64), ma al limite della statura altissima; si tratta di un soggetto particolarmente robusto, dotato di apparato muscolo-scheletrico poderoso, con inserzioni muscolari e tendinee molto robuste in tutti i distretti corporei, ma specialmente a livello delle braccia. Forse si tratta di un individuo destrimano.
Lo studio dello stato di riassorbimento delle suture craniche indicano univocamente che San Basso morì ad una età compresa fra i 40 ed i 45 anni circa.
San Basso era affetto da artrosi della colonna cervicale. Altre malattie salienti sono: l’esito di una osteocondrite del carpo sinistro, l’artrosi della spalla destra, l’artrosi intervertebrale posteriore del tratto lombare della colonna vertebrale, l’ossificazione (forse post-traumatica) della membrana interossea tibio-peroneale destra …
La patologia dentaria, infine, dimostra che San Basso era affetto da carie dei denti posteriori.
Analisi di laboratorio sui resti scheletrici
Tutte le ossa di San Basso sono discontinuamente rivestite da una patina di argilla che, in taluni punti, è spessa alcuni decimi di millimetro. Quest’argilla è di colorito grigiastro. Con ogni probabilità queste incrostazioni sono il residuo del terreno nel quale la persona fu inumata primitivamente, subito dopo la morte.
Il frammento di costa dimostra la presenza di ossido di silicio (forse resti di sabbia) e di sali di magnesio e di alluminio (tipici delle argille) (figura 30); è caratteristica anche la presenza di sali di ferro e soprattutto quella di sali titanio. Proprio queste particolarità potrebbero aiutare molto a comprendere la posizione geografica della prima inumazione, in quanto i cosiddetti elementi in traccia (come è generalmente il titanio) si presentano in combinazioni e quantità peculiari e caratteristiche a seconda della località di provenienza delle argille.
Sono ben visibili, infatti, i picchi relativi alla presenza del calcio e del fosforo.
Lo studio delle macchie biancastre che incrostano alcune superfici delle ossa contenute nella cassetta ha consentito di dimostrare che queste incrostazioni sono dimostrate essere delle patine di carbonato di calcio (figura 33). E’ possibile che anche questo materiale, come l’argilla, sia giunto a contatto con l’osso durante l’inumazione primaria in quanto anche il carbonato di calcio è una componente comune di certi terreni. Anche questo particolare potrà essere di aiuto qualora studi successivi volessero indirizzarsi nella direzione dell’individuazione della località geografica nella quale avvenne l’inumazione primaria, un problema che potrebbe avere importante rilevanza storica.
Le incrostazioni rosse sono di solfuro di mercurio (cinabro)(figura 35). Resta completamente sconosciuta ed oscura l’origine dell’inquinamento da cinabro delle ossa di San Basso.
Le incrostazioni brunastre sono incrostazioni fortemente impregnate di sali di ferro, abbondanti ioni ferro, in presenza di sali di alluminio e di potassio (figura 38). Si tratterebbe di inquinamenti vegetali certamente antichi.
Datazione radiometrica
Un frammento di costa è stato prelevato e pretrattato (polverizzazione) per la conta dell’isotopo radioattivo 14C. La data calibrata ottenuta sulla base di queste complesse stime copre un intervallo di probabilità esteso e discontinuo perché interrotto in due monconi. Infatti, il reperto potrebbe avere una antichità compresa fra 260 e 290 d.C. e fra 320 e 450 d.C. Ciononostante la massima probabilità, secondo questa conta, si situa nell’intervallo compreso fra il 370 ed il 425 d.C. circa.
(Cfr il volume: SAN BASSO PATRONO DI TERMOLI, Ricognizione, analisi, studio e restauro delle Reliquie pp108. 2002, a cura di Marcello Paradiso )
grazie don marcello.in effetti apprendo che la cose non sono molto chiare dal punto di vista storico e documentale anche se ciò nulla toglie alla sincera venerazione del popolo termolese.
si è mai pensato di procedere ad una indagine comparativa del dna dell’avambraccio di s. basso di termoli con quello di cupra marittima, questa operazione già potrebbe stornare almeno il 50% dei dubbi in essere. un caro saluto
quante storie ricorrono molto di frequente in questi patroni, però se la sensibilità popolare li ha eletti a protettori io ci credo che siano santi ….anche se spesso in realtà non sappiamo chi sono. non ho bisogno di prove scientifiche per credere ma chi non le vuole fare genera dubbi anche nella fede. s.tommaso docet
per i termolesi tabula rasa. imbarazzante caro don marcello.
ho chiesto in giro in effetti i termolesi non sanno nulla del loro santo patrono,oltre la festa delle giostre l’anno prossimo bisogna organizzare qualcosa,magari promosso il dott. totaro che ha rilevato il problema,per informare i concittadini(un convegno alla presenza di don marcello, il vescovo ed altri)
Su San Basso c’è un libro scritto da Don Marcello che sviscera bene tutta la storia. Penso che i termolesi che non sono interessati non conoscono la storia del patrono ma chi lo è sicuramente ha letto il libro e ne sa di più.