Termoli - Piazza DuomoTERMOLI _ La proposta dell’Amministrazione comunale di Termoli, come ho cercato di ribadire qualche giorno fa, non riguarda il solo dialetto ma anche la storia e la geografia. Il Progetto infatti è denominato, e non a caso, “Conoscere Termoli”. Purtroppo c’è anche chi si ostina a presentarlo come “imposizione” quando tale assolutamente non è: si tratta infatti di una proposta su cui sono chiamati a decidere, in piena autonomia, gli organi scolastici.

Due falsi, “il dialetto” e “l’imposizione”, che purtroppo fanno premio sulla verità, ai quali si aggiungono alcune considerazioni relativamente alle ore da riservare perché la proposta-progetto possa trovare attuazione nelle scuole. Da qui la necessità di fare chiarezza, così che sondaggi in atto e ventilati referendum possano trovare un ragionevole obiettivo supporto.

Innanzitutto il dialetto. L’antica lingua parlata dal popolo termolese costituisce uno dei patrimoni storici della Città, come il romanesco lo è per la Capitale a prescindere dalla presenza fortemente prevalente dei non-romani che dalla multiculturalità derivante dalla presenza di numerose etnie straniere. Questa consapevolezza ha indotto la Regione Lazio ad approvare il 20 dicembre 2004 una legge di tutela e valorizzazione dei dialetti per “non perdere la memoria”. L’art. 13 prevede che la Regione Lazio “finanzierà lo studio dei dialetti non solo a scuola, ma anche …”. È tanto sentito questo valore che, un mese prima dell’approvazione della legge, l’allora Sindaco Walter Veltroni al Convegno ‘Le lingue der monno’, organizzato in Campidoglio dal Centro Studi “Giuseppe Gioacchino Belli” ebbe a dire: “Il romanesco è un patrimonio culturale enorme, se fosse estinto sarebbe come cancellare il Colosseo.” Non ho dunque citato il Sindaco di Varese o di Bergamo.

La posizione di Veltroni si sposa perfettamente con la tesi del professor Mario Lavagetto, scrittore e docente di Teoria della Letteratura all’Università di Bologna il quale afferma: “La lingua dev’essere quella italiana, ma la ricchezza degli idiomi locali non può essere persa perché rappresentano un prezioso patrimonio legato alla cultura del territorio.” Al riguardo posso soltanto dire che il ‘termolese’ è “la parlata” della nostra Città e che, come ogni altra, per quanto sia circoscritta è tuttavia connotata da ma forte valenza comunicativa ed evocativa, espressione della fantasia delle comunità che si sono succedute nel tempo, testimonianza della storia di Termoli. Per ragioni sia antropologiche che storiche esso non va evitato, quasi fosse una maniera inferiore o negativa di parlare. Il parlare in dialetto (o meglio, in vernacolo), il ricorso alla lingua del popolo non è cosa volgare ma la cifra di una identità, espressione di un sentimento di appartenenza e un mezzo per esprimersi con assoluta originalità e vivacità. Il famoso linguista Noam Chomsky ha scritto che al dialetto, per acquisire lo statuto di lingua codificata, mancano “il passaporto” e “un esercito”, ossia “un lasciapassare che lo autorizzi a varcare i confini del proprio ambito geografico ed il potere politico che consenta la sua affermazione e la sua diffusione.” (Laneve C.-a cura di-, Viaggio nella memoria e nell’arte, La Scuola, Brescia 2000).

Il recupero, il consolidamento e la diffusione del nostro dialetto, come degli altri, costituiscono un formidabile strumento per salvaguardare le radici storico-culturali di una comunità. Nessuno può vivere senza radici, nessuno può essere educato a prescindere dal proprio contesto storico-geografico, pena il rischio di perdersi in quella cultura alienante della globalizzazione dove tutto è uguale. Fare a meno delle radici significa incrementare il disagio dato dallo spaesamento, consolidarle equivale a dare sicurezza. È con questi valori derivanti dal contesto anche umano, fatto di sentimenti e affetti rassicuranti ma anche di tradizioni, che l’adolescente riesce a guardare a un futuro e a un mondo nel quale lo strumento della comunicazione sarà sempre più l’inglese, già oggi lingua dei congressi scientifici.

Nessuno dunque mette in discussione l’importanza di questa Lingua per il futuro dei giovani, e in particolare la padronanza dell’Italiano. Ciò a cui il progetto mira è promuovere, in chi a Termoli vive dall’infanzia e soprattutto in chi vi è nato, l’acquisizione della identità e del senso di appartenenza a questa Città attraverso la tradizione che si mantiene viva proprio con il vernacolo. Il suo abbandono, o la sua dispersione, significherebbe avviare un processo di decadimento culturale che farebbe di Termoli una città anonima. È questo anonimato il rischio dal quale le giovani generazioni andrebbero protette.

*Ex Dirigente scolastico

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