Farei sicuramente torto all’intelligenza degli ammirevoli abitanti delle Isole ipotizzando una loro credula disponibilità ad assumere improbabili frottole del calibro di quelle che allo stato attuale fluttuano con reiterata insistenza nell’aria circostante. Mi parrebbe inoltre penalizzante per i legittimi diritti della comunità anteporre un interesse verso le suddette amenità al dovuto riguardo per tutto il cumulo di esigenze sociali che rimangono sistematicamente trascurate.
Al di là delle suddette contingenze permane comunque nell’animo sensibile un principio ideale la cui consistenza riconduce attraverso gli eventi a quella realtà identificabile come “Anima del Mondo“. Con detta espressione intendiamo connotare la mirabile forza primordiale che conferisce all’essenza intrinseca della natura una vitalità di respiro planetario. In virtù di tale impulso, peraltro insopprimibile, la natura stessa viene assimilata a un’autentica realtà vivente, del tutto unica nella splendida organicità. Tale principio genera una propulsione dalla quale i singoli organismi viventi traggono la comune ragione universale che li anima. Se ci sforziamo di acquisire consapevolezza di tale fenomeno, vedremo allora profilarsi con esatta definizione l’onesta fisionomia della realtà circostante – l’uomo e il suo ambiente – con il risultato sorprendente di vedere ridimensionarsi anche la qualità del più sgradevole interlocutore, forse oggetto da parte nostra d’inconfessato odio. Alla fine costui ci apparirà quindi, pur nella contrastante diversità, degno di positivo riguardo.

Ed è certamente per effetto di tale consapevolezza che, dal mio bagaglio esistenziale, l’impulso dell’animo mi spinge a visualizzare una realtà la cui energia intellettiva riconduce verso un’isola dall’altra parte del pianeta, nel cuore dell’Avana, al numero 153 di Calle Obispo, dove si trova l’albergo che fu già dimora del Premio Nobel Ernest Hemingway. Ivi lo scrittore soggiornò ripetutamente, sempre nella stanza 551. Seguendo il richiamo di un’opportunità davvero unica, negli ultimi anni ho goduto il privilegio di vivere più volte anch’io l’emozione intensa della medesima atmosfera, assaporando fra quelle quattro mura il flusso magnetico delle onde cerebrali rilasciate dallo splendido genio creativo di un romanziere straordinario.
Come nella magica bobina di un film infinito, rivedo ancora gli eventi descritti nell’opera letteraria “Il vecchio e il mare“. Protagonista grandiosa ne è, accanto alla coinvolgente figura dell’anziano pescatore Santiago, la classica “anima mundi”. E’ appunto tale forza il motore che fa vibrare la passione attraverso l’itinerario romanzesco, dove durante l’intero dipanarsi del racconto l’attempato eroe dell’epica battuta di pesca è animato da un rispetto di spessore profondo per il proprio antagonista, rappresentato a tinte drammatiche da quel nobile pesce di proporzioni enormi che lottava selvaggio contro la sua determinazione altrettanto incrollabile. Alla fine la perseveranza del vecchio prevale nella contesa che l’aveva opposto a quell’essere, vincendo quindi la sfida contro l’ammirevole avversario. Ciononostante, a conclusione dell’epica lotta, affiora nella coscienza del vincitore un vago senso di languore frammisto ad amarezza, sintomo sì di un dovuto elogio della forza e del coraggio, ma anche del rispetto per la natura e del rammarico per l’uccisione di un animale in fondo simile a lui, indomito e solitario. Questi sentimenti dovrebbero nobilitare ogni lotta dell’uomo degno, nella pratica quotidiana come nelle competizioni di qualsiasi natura. Sportiva, politica o persino militare.
Si tratta, a mio avviso, di una questione generalmente utile, ma che riflette tuttavia importanza decisiva nel raffronto con la specifica realtà quotidiana delle Isole Tremiti, segnatamente per l’inevitabile richiamo alla generica posizione intellettuale di chiusura che si presenta spesso insidiosa nel minacciare l’indole degli abitanti. Ad essi vorrei rivolgere, con il consueto trasporto affettivo, un caldo appello a non lasciarsi imprigionare da presunzioni estremamente fuorvianti, ma dare adito piuttosto a quel sentimento di portata universale, l’anima del mondo. Un’identità che trascende ogni possibile dimensione territoriale, spaziale o temporale. Fortunatamente, per uno straordinario potere della mente, la forza della verità riesce sempre ad armonizzare con la ragione dell’uomo retto, quando essa si trova sintonizzata in modo consono a captarne il flusso. E’ uno dei segreti che possono ridurre a patetiche dimensioni ogni tendenza a manipolare la realtà con manovre ad effetto, come quella di lanciare ricatti – egualmente spregevoli quand’anche gabellati per provocazioni – onde suscitare spavento e da questo trarre vantaggio.
Quello che sta verificandosi in ambedue i clan della politica locale restituisce una certa desolazione, utile solo a deviare l’interesse della cittadinanza dalle carenze concrete. Agli abitanti non interessa un sindaco che pianga, ma un’autorità coraggiosa e decisa, capace di evitare loro il pianto. Un amministratore che dimostri l’affettuosa premura del buon padre di famiglia. Ma sarebbe folle perversione sostenere un genitore che, nell’emergenza economica, amputasse al proprio figlio un organo al fine di poterne realizzare spregiudicato commercio. Chi ha guadagnato l’elezione si renda conto di non essere un padrone, ma soltanto un servitore umile di chi lo ha nominato e della Nazione di cui è membro. Il giuramento pronunciato e la fascia tricolore che indossa non sono uno scherzo.
Agli elettori di minoranza non serve un’opposizione che trascorra i cinque anni della legislatura solo e sempre a parlar male degli avversari. Essi hanno già una precisa opinione in merito, peraltro chiaramente espressa nel voto. Adesso vorrebbero veder nascere, nelle donne e negli uomini delegati a rappresentarli, nuovi progetti, attendibili idee, proposte condivise per la saggezza. Chi ha perso nella contesa elettorale si convinca pertanto di avere ricevuto a sua volta un ideale mandato che comunque imporrebbe di vigilare e contribuire, nei limiti del possibile, alla vita e al progresso della comunità.
Nessuno dimentichi che sarà chiamato a rendere conto del dovuto impegno civico.
Lo sconcerto non è del tutto fuori luogo nel rinnovato delinearsi di deprecabili sventure più volte annunciate, ma rimaste finora fortunatamente lettera morta. Perché dunque non impegnarsi ad una preventiva sostituzione dell’immotivata diffidenza con la ragionevole conoscenza consapevole delle proprie doti? Un definitivo chiarimento della questione risolverebbe anche lo stato di emergenza che tuttora minaccia di soffocare lo sviluppo delle Isole Tremiti, come una sorta di virus per la cui decisa eliminazione occorre coscienza solidale. Intendo che il nemico comune deve essere affrontato con le forze di tutti, oltre qualsiasi pregiudizievole ostacolo, senza lasciarsi distrarre da illusorie parentesi erroneamente conclusive.

Anche nella storia narrata da Hemingway, come spesso accade nelle vicende più traumatiche, dopo una pur vittoriosa battaglia la conclusione del travaglio non si presenta del tutto definita. Santiago, il protagonista del romanzo, nella rotta di rientro dalla battuta di pesca deve confrontarsi questa volta con feroci squali che, richiamati dal flusso di sangue nell’acqua marina, attaccano di continuo la barca per ghermire la preda. A tratti riescono anche ad addentare le carni del pescespada e a strapparne brandelli. Al vecchio riesce finalmente di affermare il proprio valore anche sui famelici abitanti dei flutti, ma quando perviene all’approdo nella cala del porto, il gigantesco pesce catturato appare ormai ridotto alla sola parte ossea, oltre alla testa.
Il relitto animale appare quasi un simbolo di tutta l’avventura che Santiago ha dovuto inseguire. Ma ben lungi da una vanificazione delle grandi speranze e di tutti gli sforzi, la carcassa del pescespada rappresenta un tributo al coraggio, alla forza e alla determinazione dell’indomito combattente. 

Personalmente sono del parere che, se il popolo isolano – meraviglioso come tutte le comunità marinare – riuscisse a immedesimarsi in uno spirito analogo, ne trarrebbe alla fine insospettati benefici, prima fra tutti la scomparsa di ostacoli apparentemente insormontabili con il reperimento di una via d’uscita attraverso la ritrovata fiducia in se stessi e un dignitoso rispetto dell’eventuale avversario. In fondo – lo sappiamo bene – le intolleranze che coviamo nei confronti altrui rispecchiano sempre l’esistenza di conflitti già presenti nella nostra stessa anima. La via d’uscita consiste quindi nella personale cura di ciascuno che dovrebbe risultare tesa verso un prioritario recupero del rispetto umano, attraverso cui presentare al mondo la propria immagine d’individuo profondamente rinnovato. Anche la qualità di un nemico degno contribuisce ad innalzare il profilo etico della nostra lotta e delle necessità ideali che ne motivano l’attuazione. Ogni battaglia schiera sul campo, da ambo le parti, i combattenti che merita.

Possiamo pertanto concludere che, se alla base di ogni esperienza permane la consapevolezza certa dell’umana dignità – accanto alla percezione di un’anima universale -, non potranno mancare neppure i fondamenti spirituali più consistenti della concezione morale, come il rispetto della verità, dei diritti, della solidarietà. In ultima analisi, una somma dei valori atti a determinare la sovranità dell’esistenza.

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3 Commenti

  1. Isole Tremiti
    Non conosco le frottole menzionate all’inizio dell’articolo, scritto sicuramente da persona molto colta e che sa ben usare cervello e penna (pardon, computer). Ho letto con attenzione e piacere l’intero articolo, avrei però gradito un po’ di concretezza in riferimento ai tanti problemi che qui davvero non mancano e che sono, molti, di difficilissima soluzione.