TERMOLI _ Dice Karl Jaspers che la crisi della post-modernità è segnata da quelle che lui definisce le “passioni fredde” e questo clima di passioni fredde si materializza ogni giorno di più nello scenario politico italiano. Il declino della cultura politica, la tendenza chiassosa allo sloganismo, la fragilità dell’impegno civile dei partiti, inquadrate in un contesto complessivo in cui domina la preoccupazione per le prospettive future, rischiano di allargare le tensioni sociali e caricare il quadro politico di emotività, circostanza che di certo non aiuta il processo di costruzione di una nuova, moderna forza politica.
La “passione fredda” si è già trasformata in “fusione fredda” nell’esperienza del PD che pure nasceva da un disegno strategico, coraggioso e carico di speranza. Si ha l’impressione che la stessa “passione fredda” stia paralizzando la nascita ed i primi passi del PDL che, almeno allo stato, pare abbia scelto un percorso verticistico, poco partecipato, sostanzialmente asfittico; quasi una fusione a freddo di apparati e non l’amalgama delle diverse identità, storie e percorsi politici: dalla tradizione cattolico-liberale a quella laico-repubblicana.

Dobbiamo constatare con amarezza che a poco più di un mese dal Congresso fondativo del PDL si avverte un calo della tensione culturale, quasi vi fosse la certezza di un esito elettorale che prescinde e che va al di là dell’impegno, della mobilitazione, della partecipazione. La stessa campagna elettorale europea si va esaurendo in questo grigiore generale, sostanzialmente oscurata dai media, priva di un dibattito alto e quasi inesistente sul piano della volontà di partecipazione popolare. Eppure da quando il 2 dicembre 2006 si diede vita a quella grande manifestazione di popolo che ha segnato idealmente la nascita del PDL, gli elettori moderati chiedono di costruire un partito vero, aperto, ricco di partecipazione e di cultura politica, di formazione, di militanza.

Che offra occasioni di confronto e che sappia mantenere e rafforzare il vincolo con gli elettori

, evitando la deriva verso processi di burocratizzazione e di centralizzazione. Un grande partito invero, non può prescindere da una sua nitida, forte, solida, polarizzante identità. Deve sapersi radicare sul territorio, trasmettere il senso di appartenenza ai militanti e cioè la coscienza di essere soggetti attivi e non strumenti della costruzione di un futuro di valori, di ideali, di programmi. Un partito vero deve costituire il mezzo per selezionare classe dirigente, idee e cultura politica, nell’ambito di un disegno riformatore che tenda alla modernizzazione del paese ed alla costruzione di un modello vero di democrazia rappresentativa, nel solco segnato dai principi fondamentali che hanno ispirato la nostra Carta Costituzionale.

Non ho personale conoscenza di ciò che accade nelle altre realtà , ma registro che qui da noi il nuovo partito sta percorrendo contromano un’autostrada ed in queste condizioni di guida è facilmente prevedibile che non riuscirà a raggiungere la meta. Non c’è dibattito, non c’è partecipazione, non c’è cultura. O invertiamo subito la rotta o, prima di finire la corsa contro un autoarticolato, discutiamo, se necessario , anche la capacita’ di guida del conducente. E’ la democrazia, prima ancora che il futuro del PDL, che ce lo impone.

                                                                                                       avv.Oreste Campopiano
                                                                                             Segretario Reg.le Molise N.PSI – PDL

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2 Commenti

  1. pasioni fredde
    Caro oreste, parole sante. Ritengo che il bipartitismo abbia prodotto un bi-intruppatismo dove già sempre essere scritto tutto senza che sia scritto niente e soprattutto dove, invece di favorire maggiore dialettica anche interna, si recita una regnanza assolutistica a tutti i livelli. n.b. spero di essere riuscito a spiegare qualcosa anche a “vota antonio”. Se non ha capito…. non è colpa sua stia tranquillo.