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Per le Università statali il gettito complessivo della contribuzione a livello nazionale nel periodo preso in considerazione è passato da circa 1 miliardo e 200 milioni a 1 miliardo e 600 milioni: 400 milioni in più. Se visti in dettaglio questi dati colpiscono per la loro evidenza: nel 2006 la tassa media a livello nazionale era di 775 euro, dieci anni dopo lo studente paga circa 1.250. Al Sud alcuni picchi sono davvero impressionanti: Lecce +207,5%, Bari +172%, Benevento +180%, Napoli (seconda Università) +176%, Reggio Calabria +150%.
Per il Molise si è avuto, nel decennio, un aumento dell’88,18% arrivando a € 1.143,27.
La logica è la stessa dell’austerità europea applicata all’università: una parte dei fondi sottratti dal governo centrale sono stati presi alle famiglie. Si spiega così anche il taglio delle borse di studio. Secondo il rapporto Euridice 2017, pubblicato dalla Commissione Ue, in Italia le ricevono meno del 10% degli iscritti all’università, mentre in Spagna i borsisti sono aumentati del 55%, in Francia del 36%. In Europa siamo ai primi posti per tasse universitarie pagate. Mentre le fonti OCSE confermano che nel 2016 tra i 25-34enni il 26%degli italiani aveva una laurea. La media europea è del 40%. Gli atenei vanno rifinanziati per potersi rendersi autonomi dalle tasse. L’obiettivo deve essere una drastica riduzione dei costi per gli studenti, questo porterebbe un sicuro beneficio all’intero Paese.
Per il Molise tutto ciò è ancora più urgente: rivedere le regole per il diritto allo studio, ampliare e potenziare le risorse per i servizi agli studenti, programmare un’offerta formativa in grado di attrarre le iscrizioni, sviluppare il dialogo tra istituzioni, attuare un serio orientamento tra scuola ed università. Insomma, investire sulla formazione di qualità, perché ciò significa investire sul futuro. Intanto venerdì 17 novembre, in occasione di una giornata internazionale a loro dedicata, gli studenti torneranno in piazza per protestare.
Sergio Sorella