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Il parroco di Madonna Grande, figura simbolo della lotta antinucleare in Molise, ci ha lasciato. Un uomo di fede e di impegno civile, sempre dalla parte degli ultimi.

Madonna Grande: Quando il Molise fermò il Nucleare
Madonna Grande, la presentazione del libro “Quando il Molise fermò il Nucleare”. Da sinistra: Enzi Gallo, Antonella Salvatore, Pierdonato Silvestri, Aldo Camporeale e don Nicola Pietrantonio

MADONNA GRANDE – La notizia della scomparsa di Don Nicolino Pietrantonio, storico parroco di Madonna Grande, ha suscitato profondo cordoglio in tutta la comunità molisana. Don Nicolino non è stato solo una guida spirituale, ma anche un instancabile difensore del territorio e dei suoi abitanti, un esempio di impegno civile e di fede vissuta concretamente.

La sua figura è indissolubilmente legata alla dura battaglia contro la localizzazione delle centrali nucleari in Molise, alla fine degli anni settanta. Aldo Camporeale e Enzo Gallo, autori di un libro sulla lotta antinucleare, ricordano così Don Nicolino: “Lo conoscevamo da molti anni, la nostra amicizia si era rafforzata, in modo particolare, a fine degli anni settanta, durante la dura lotta contro la localizzazione delle centrali nucleari che il governo italiano voleva costruire in Molise.”

Le centrali avrebbero dovuto sorgere nel Basso Molise, a Campomarino, proprio nel territorio della sua parrocchia, Madonna Grande Nuova Cliternia. Fin dall’inizio, Don Nicolino si schierò con fermezza contro quella scelta, intuendo i pericoli per l’ambiente e per le popolazioni residenti. Un impegno che anticipava la crescente attenzione della Chiesa verso le tematiche ambientali, culminata poi nell’enciclica Laudato Sì di Papa Francesco nel 2015.

“La tutela dell’ambiente non era solo conseguenza di profonde convinzioni personali, ma anticipava il crescente impegno della Chiesa che verrà ufficialmente ribadito, dopo molti anni, da Papa Francesco nel 2015 con l’enciclica Laudato Sì che, non a caso, ha come sottotitolo: ‘Sulla cura della casa comune’.”, sottolineano Camporeale e Gallo.

L’amore per la sua terra non si è mai spento. Nel 2021, Don Nicolino è stato tra i fondatori e presidente del “Comitato per la salvaguardia del territorio molisano”, nato per contrastare l’occupazione selvaggia dei terreni agricoli da impianti eolici e fotovoltaici.

Nel 2018, quando Camporeale e Gallo decisero di scrivere un libro per ricordare la lotta dei molisani contro le centrali nucleari, chiesero a Don Nicolino una sua testimonianza. Ne scaturì una lunga intervista, in cui il sacerdote, con passione e lucidità, non si limitò a ripercorrere gli eventi di quegli anni, ma parlò dell’impegno che lo animava a favore della sua gente, in difesa dei diritti e della dignità degli abitanti della sua parrocchia.

Un impegno senza compromessi, come testimonia un aneddoto raccontato da Camporeale e Gallo: “Una volta, pur di trovare i locali per la Scuola Elementare si era detto disposto a mettere a disposizione la chiesa, e al Vescovo che gli faceva notare che la scelta era un po’ eccesiva, rispose: ‘… io credo che Gesù Cristo vuole che i bambini vengano istruiti, quindi se non troviamo dei locali, divido la chiesa con del cartongesso e faccio delle aule scolastiche, Gesù capirà!'”.

Per ricordare e onorare la figura di Don Nicolino Pietrantonio, proponiamo ai nostri lettori la sua intervista tratta da “Quando il Molise fermò il nucleare”, rilasciata l’11 ottobre del 1978, ancora oggi di straordinaria attualità. Un documento prezioso che testimonia la forza di un uomo di fede, un pastore coraggioso, un difensore del territorio.

Madonna Grande, 9 dicembre 1978: Don Nicola Pietrantonio
Madonna Grande, 9 dicembre 1978: Don Nicola Pietrantonio

Quando il Molise fermò il nucleare
di Aldo Camporeale e Enzo Gallo
Edizioni Solfanelli

Don Nicola Pietrantonio (Intervista 11/10/2018) pagg.75/83
Domandadon Nicolino, cosa ricordi di quel periodo?
Risposta: Negli anni Settanta cominciavamo a renderci conto che la nostra comunità aveva dei grossi problemi. Per esempio a Madonna Grande le strade erano solo brecciate, ricordo che i ragazzi, la mattina per andare a scuola a Ramitelli, si riempivano di fango.
Quindi stavamo cercando di organizzarci per affrontare queste situazioni. Proprio mentre eravamo impegnati a mettere insieme un gruppo di persone che potessero interessarsi dei nostri problemi, venne fuori la storia delle centrali nucleari.
Io venni avvicinato dall’allora direttore dell’ENEL di Campobasso che, se non ricordo male, si chiamava Di Basilico, il quale mi contattò, mi invitò più volte a pranzo a Termoli, nel ristorante dell’ Hotel Corona, per cercare di convincermi che le centrali nucleari erano una cosa normale, senza problemi, anzi, avrebbero favorito lo sviluppo del territorio. Vennero anche degli ingegneri dell’ENEL, di cui non ricordo i nomi, con i quali si tenne un incontro, una conferenza presso la sede del Comune a Campomarino.
Di Basilico ci teneva a convincermi perché aveva capito che ero un punto di riferimento su Madonna Grande e avrei potuto orientare l’opinione delle persone. Io però avevo dei dubbi e gli feci capire che, per quanto ne sapevo, il nucleare presentava dei rischi e volevo venire informato sui pericoli che avrebbe corso la popolazione. Poi c’era un altro problema, erano state da poco realizzate le opere per l’irrigazione della zona, lo Stato aveva speso dei soldi per portare le acque della diga del Liscione, i terreni erano diventati irrigui. E adesso, improvvisamente, dopo aver speso denaro pubblico per l’irrigazione, cosa succede? Non si fa più niente e s’istallano le centrali elettronucleari? Non mi sembrava un comportamento coerente.
La situazione andava approfondita, non volevamo esprimere, da subito, un no assoluto, volevamo capire quali erano i problemi che le centrali avrebbero portato. Spiegai a Di Basilico che avevo fatto il Liceo Classico e avevo avuto un bravissimo professore di scienze, un prete che insegnava al Seminario di Benevento dove studiavo. Per ascoltare le sue lezioni venivano anche studenti dell’Università di Napoli. Non solo, ma nel Seminario avevamo dei laboratori di chimica e fisica grandi quanto Madonna Grande e molto ben organizzati. Noi alunni del liceo facevamo gli esperimenti insieme agli studenti dell’Università di Napoli che venivano per ascoltare le lezioni del nostro professore che ci spiegava che l’energia nucleare era pericolosa. Avevo ricevuto questa educazione, il mio professore affrontava il problema dei pericoli e dei rischi dell’atomo, delle radiazioni, da un punto di vista fisico e chimico, allora non si parlava ancora di centrali nucleari.
Quindi dicevo a Di Basilicoparecchi anni fa (ho fatto il liceo negli anni 1956, 1957,1958) il mio professore ci insegnava queste cose. Sull’atomo so queste cose. Può darsi che ora le cose siano cambiate, allora spiegateci bene qual è la situazione e noi prenderemo le nostre decisioni.
Addirittura per rabbonirmi, il direttore mi fece portare l’allaccio dell’energia elettrica alla chiesa di Torre Ramitelli, gratis! Un lavoro che per farlo ci volevano, allora, tre milioni (in lire). E dove li potevo prendere tre milioni per portare l’allaccio della trifase fino alla chiesa? E lui lo fece gratis! Allora gli dissi: senti puoi farmi tutti i regali che vuoi, ma se non mi convinco della scelta nucleare, non posso dire ai miei parrocchiani cose di cui non sono convinto.
Allora venne organizzato l’incontro, di cui parlavo prima, a Campomarino. Vennero degli ingegneri dell’ENEL che ci spiegarono tutta la bontà del nucleare, ci dissero che non c’erano rischi, che non c’erano pericoli. Gli ingeneri erano, ovviamente, tutti favorevoli al nucleare, ci spiegarono addirittura che ci sarebbe stato un aumento della popolazione, si parlava di 5.000 persone. Praticamente sostenevano che con la centrale nucleare da 2000 MW sarebbero venute tante persone ad abitare nel nostro territorio, la popolazione sarebbe cresciuta. Andare contro il nucleare significava fare un danno alla nostra comunità.
Queste argomentazioni ci mettevano in difficoltà. Sentirci dire che avremmo fatto un danno alla nostra comunità, che rinunciavamo a 5.000 nuovi posti di lavoro, queste argomentazioni ci mettevano in crisi. Perciò dopo aver sentito gli ingegneri dell’ENEL siamo tornati a Madonna Grande e abbiamo organizzato un’assemblea e ci siamo chiesti se le cose che ci erano state dette fossero vere.
5.000 abitanti in più sarebbero apparsi così, all’improvviso? Come si fa ad affermare una cosa del genere? E poi c’era il problema dell’uranio. Per far funzionare la centrale ci vuole l’uranio, vuol dire che sulle nostre strade arriveranno camion carichi di uranio. Perderemo la nostra tranquillità, perché ci saranno certamente dei pericoli dovuti al trasporto di questo materiale radioattivo. La situazione non ci convinceva, eravamo dubbiosi, non credevamo alle cose che erano state dette per tranquillizzarci.
Allora Di Basilico va all’attacco e cosa fa? Ci porta a Latina a visitare una centrale nucleare in funzione. Sarà stato il 1978, venne organizzato un pullman per cinquanta persone, quelli fra di noi più facinorosi, e siamo stati portati a Latina gratis, ci è stato offerto anche il pranzo, un buon pranzo per la verità.
A Latina ci hanno fatto visitare la centrale, ovviamente tutti quelli con cui avevamo modo di parlare erano favorevoli al nucleare, probabilmente avevano i loro vantaggi, non saprei dire. Noi, però, ci siamo posti un altro problema, ma le scorie dove le mettono? Ancora oggi non sanno dove conservare le scorie prodotte a Latina.
Tornati a Madonna Grande, ringraziamo Di Basilico per la gita che ci aveva fatto fare e per il pranzo che ci era stato offerto, e decidiamo di organizzare un’altra assemblea, molto partecipata, perché dovevamo prendere una decisione. E praticamente, tutti quanti eravamo convinti che era necessario fare un’operazione di resistenza, in ogni maniera. Le centrali non dovevano venir costruite su questo territorio!
Allora ci hanno minacciato. Ci hanno fatto sapere che se non volevamo le centrali le avrebbero costruite al confine con la Puglia, sul Saccione. Questa minaccia ci spaventò, perché se costruivano le centrali in Puglia, come potevamo fare per impedirglielo? Si trattava di un’altra regione.
Organizziamo un’altra assemblea per decidere cosa fare. Ci siamo detti: ci facciamo mettere paura, ci facciamo spaventare da queste minacce? I miei parrocchiani, tutti quanti hanno detto: no! Qua si va alla lotta. Tutte le decisioni venivano prese insieme. Organizzavamo assemblee in continuazione, spesso ci riunivamo in un locale qui vicino, di una quarantina di metri quadri, era un po’ piccolo, ma ci stringevamo. Ma qualche volta, quando mancava lo spazio, per favorire la partecipazione di tutte le persone, ci siamo riuniti in chiesa. Volevamo coinvolgere tutti, gli indifferenti dovevano essere pochi, dovevamo essere convinti per lavorare e resistere tutti insieme.
Una volta deciso che avremmo fatto di tutto per impedire la costruzione delle centrali, non ci siamo fatti condizionare da nessuno. Abbiamo organizzato anche l’occupazione della ferrovia, che passa qui sul mare. Allora c’era un casello ferroviario e abbiamo bloccato dei treni, soprattutto merci, perché i treni passeggeri andavano veloci ed era pericoloso fermarli.
Abbiamo coinvolto anche i politici, che in un primo momento si erano mostrati indifferenti. Poi quando hanno visto che il nostro movimento stava diventando serio hanno cominciato a telefonarci, chiedendoci di poter partecipare alle nostre iniziative. Non ricordo i nomi di tutti i politici che vennero in quel periodo. Ricordo che organizzammo un’assemblea all’aperto con i politici che vennero da Termoli e Campobasso, certamente c’era Florindo D’Aimmo (il Presidente della Regione Molise).
Con Florindo D’Aimmo abbiamo avuto un rapporto molto confidenziale e di grande collaborazione, già da prima del problema della centrale nucleare. Ho insegnato ai miei parrocchiani che quando c’è un problema da affrontare non bisogna aspettare che vengano gli altri, da fuori, a proporci le soluzioni, dobbiamo essere noi propositivi. Perciò, come gruppo di Madonna Grande, quando avevamo un problema, eravamo noi a muoverci chiedendo quello di cui avevamo bisogno. E D’Aimmo, quando abbiamo chiesto un incontro, si è sempre mostrato molto disponibile, al contrario di La Penna, che era circondato da un gruppo un po’ chiuso. D’Aimmo, invece, si mostrava sempre molto aperto.
Non potrò mai dimenticare la telefonata che mi ha fatto la notte del 30 dicembre 1980. Mi ha detto: don Nicolino stai dormendo?
Gli ho risposto: quasi (era mezzanotte).
Ha detto: ti do una bella notizia, abbiamo dato l’autorizzazione per aprire la farmacia rurale a Madonna Grande. Me l’ha detto di notte!
Era veramente una bella notizia, la gente per comprare una pillola doveva andare fino a Campomarino. Era il colmo!
Ora non ricordo bene quando, ma con i politici abbiamo organizzato un’assemblea all’aperto, come palco abbiamo usato il rimorchio di un camion. Ho chiamato un mio parrocchiano, Salvatore Fuschino, che aveva parcheggiato un rimorchio qua vicino e gli ho chiesto di portarlo in piazza per poterlo usare come palco. Così abbiamo parlato stando là sopra. Oltre a D’Aimmo ricordo che c’era anche Lello Vitiello del Partito Comunista che era venuto da Larino. Con Vitiello ero in confidenza, prima del comizio gli ho detto: attento a quello che dici! Dopo questo comizio abbiamo dato inizio alle azioni di protesta: l’occupazione della ferrovia, la manifestazione di Termoli dove abbiamo partecipato con i trattori.
E devo dire che le manifestazioni avevano successo, si andava creando una certa sensibilità contro il nucleare. La nostra volontà veniva espressa con forza e con chiarezza. In un primo tempo l’amministrazione di Campomarino era un po’ indifferente, titubante. Poi hanno visto che noi eravamo decisamente contrari alle centrali e si sono adeguati. Gli abbiamo fatto capire che se pensavano di arricchirsi alla nostre spalle, permettendo la costruzione delle centrali, avevano sbagliato strada. Il Sindaco era Stefanino Di Labbio, alla fine tutta l’amministrazione comunale era convinta che bisognasse lottare contro il nucleare.
Per noi era importante coinvolgere quante più persone possibile. Lo sviluppo di un territorio necessita di partecipazione. Per tutto quel periodo abbiamo lavorato organizzati in comitato e in assemblea, abbiamo condiviso tutte le scelte. La popolazione è stata meravigliosa, non solo per il nucleare ma anche per risolvere altri problemi. Io mi sono preso la responsabilità di orientare, guidare, anche perché da prete, per quanto puoi buscarle, non possono farti male più di tanto e comunque possono colpirti solo sul piano personale. Non hai moglie, non hai figli. Quando hai famiglia è diverso, sei più esposto, più ricattabile.
DomandaCom’era il rapporto con il Vescovo.
Risposta: Il rapporto col Vescovo è stato ottimo. In quel periodo era Vescovo di Termoli Monsignor Pietro Santoro, il quale mi ha sempre trattato come un figlio. Era stato rettore del Seminario di Benevento, dove ho studiato per otto anni e già allora mi trattava con affetto, mi considerava un bravo ragazzo. Quando è venuto a Termoli a fare il Vescovo, sono andato a spiegargli la situazione. Anche perché il Commissario della Polizia di Termoli, Dottor Matteo Cinque, mi voleva mettere in difficoltà, mi considerava un rivoluzionario, uno degli animatori della protesta contro il nucleare e aveva minacciato di farmi una nota di diffida. Io parlai di queste cose col Vescovo che mi conosceva bene, sapevo che ero una “capa così e così”, e lui mi disse di non preoccuparmi. Se ero convinto delle mie posizioni, non dovevo preoccuparmi e andare avanti con tranquillità.
Monsignor Santoro aveva una certa delicatezza e prudenza nel muoversi, faceva fatica a manifestarsi, cercava di non apparire, però con noi alunni, al Seminario, ci incoraggiava sempre a mantenere le nostre posizioni. Ci diceva di valutare bene i rischi, ma rispettava sempre la nostra autonomia, la nostra libertà di scelta.
DomandaQual era la situazione dello sviluppo agricolo di questa zona in quel periodo?
Risposta: Lo sviluppo della zona di Madonna Grande è avvenuto per tappe. Negli anni Settanta c’è stato il cambio delle colture, venne abbandonata la coltivazione della barbabietola, dei cereali e via dicendo e si iniziarono a mettere le vigne. In quel periodo erano venute alcune famiglie di agricoltori provenienti dall’Abruzzo dove i vigneti erano già molto diffusi. Questi abruzzesi hanno portato la loro esperienza nella coltivazione delle vigne a capanneto e anche gli altri agricoltori della zona hanno capito che si trattava di una cosa interessante. Allora, cogliendo le opportunità offerte dalla riforma fondiaria, abbiamo pensato di costituire una cooperativa. Cosi, in quel periodo, è nata la cooperativa del vino, la “Cantina Cliternia”. E in tutta la zona si è sviluppato interesse per la produzione del vino, poiché oltre alla cooperativa, sono nate le cantine di Di Giulio e di Di Maio.
Purtroppo costituita la cooperativa, non siamo riusciti a istituire anche il credito cooperativo, questa è una mia delusione. La cooperativa per dare gli anticipi ai soci era costretta a chiedere i soldi alle banche e quindi doveva pagare degli interessi. Avevo proposto allora di istituire una “Banca di Credito Cooperativo”, molto prima di San Martino, che ci avrebbe permesso di risparmiare interessi con vantaggio di tutti i soci. Però questa idea non è andata avanti. In quella circostanza anche la politica ci ha ostacolato, perché c’era la Cassa di Risparmio Molisana e una banca di credito cooperativo a Madonna Grande gli avrebbe sicuramente tolto lavoro. Questa battaglia è andata persa, gli stessi miei parrocchiani non hanno capito subito l’importanza di organizzarsi anche da un punto di vista economico.
Comunque verso la fine degli anni Settanta inizio anni Ottanta la nostra comunità ha ottenuto molti risultati importanti, c’è stata l’apertura della farmacia, Ramitelli venne collegata alla rete telefonica e abbiamo avuto, anche, l’apertura dell’ufficio postale. Ma la cosa più importante è stata l’istituzione del decentramento comunale. In quel periodo era stata approvata la legge che permetteva ai comuni di decentrare i servizi e siccome noi eravamo distanti dal centro abbiamo sollecitato il comune a fare questo decentramento. Ma a Campomarino non ne volevano sapere, me ne dissero di tutti i colori, mi accusarono di essere un separatista. Ma io non ero un “separatista”, volevo semplicemente che i miei parrocchiani potessero avere gli stessi servizi di tutti gli altri cittadini, niente di più. Alla fine non si riusciva a fare questo decentramento perché nessuno sapeva qual era la procedura da seguire, nemmeno in Prefettura a Campobasso sapevano come fare. Alla fine scoprimmo che la competenza era del Ministero della Giustizia.
DomandaSecondo te la lotta contro le centrali nucleari ha lasciato qualcosa? Ha contribuito a favorire fra gli agricoltori della zona un impegno a favore della difesa dell’ambiente, del territorio?
Risposta: La mia impressione è che la lotta contro il nucleare fu animata soprattutto da ragioni economiche, non c’era fra gli agricoltori una grande sensibilità verso la natura. E questo per una ragione molto semplice, si trattava di gente che veniva dalla povertà, volevano guadagnare per migliorare le proprie condizioni economiche, non c’era un grande rispetto per la terra, per l’ambiente. Ancora oggi abbiamo questo problema, anzi, forse, la situazione è peggiorata. Oggi avremmo bisogno di cambiare nuovamente il modello della nostra agricoltura sia per quanto riguarda la produzione che la commercializzazione dei prodotti. Ma si fa fatica a far passare questa idea, se i contadini continuano a fare i contadini come una volta, come cento anni fa, sono finiti. Tanto è vero che nella
nostra zona accade una cosa strana: sta tornando il latifondo!
A Madonna Grande c’è anche la presenza della malavita nella commercializzazione dei prodotti. Finocchi, pomodori sono in mano alla malavita salernitana. E i miei parrocchiani non vogliono rendersene conto.
Io ne parlo la domenica a messa con molta libertà e non mi sembra di tradire il Vangelo. Anche se i miei parrocchiani mi dicono di lasciar perdere questi ragionamenti e di limitarmi a spiegare il Vangelo. Ma questo è il Vangelo! Perché se tu non vivi con dignità e non fai vivere con dignità, non metti in pratica gli insegnamenti del Vangelo! Se ci limitiamo a pregare, ma poi nella vita non ci comportiamo di conseguenza, la preghiera diventa sterile.
Tornando all’ambiente, nella nostra zona si consumano ancora troppi prodotti chimici, che sono comunque un veleno, ma si fa fatica a cambiare queste abitudini. Se è necessario, pur di salvare la produzione, si buttano anticrittogamici senza problemi.
Bisogna cambiare questa mentalità, spesso i contadini non hanno la capacità di guardare lontano, guardano al tornaconto immediato. Per questo, dicevo, che si sta tornando al latifondo. Ormai ci sono appezzamenti di terra di 200 ettari tutti in mano a un solo proprietario. Ci sono appezzamenti di 50, 70, 100 ettari, questo significa che il latifondo è tornato, che la riforma non è servita a niente.
DomandaCome vedi il futuro di questa zona? Quale modello di sviluppo vorresti vedere realizzato?
Risposta: Occorre lavorare per creare una nuova cultura, ma è difficile affrontare questi argomenti con la gente. Bisognerebbe far capire agli agricoltori che hanno piccoli appezzamenti di 7 ettari, che per essere competitivi devono associarsi. Se devi avere un medico, se devi dotarti di un bagno chimico, se devi organizzare le assunzioni, con solo 7 ettari non puoi farcela, ma se ti associ con altri agricoltori, tanti piccoli appezzamenti diventano una proprietà di un certo valore economico che ti permette di organizzare la produzione e la commercializzazione in modo redditizio. Ma far passare queste idee è una cosa difficilissima.
A Pasqua ho fatto una riflessione sul neocapitalismo, sono un prete strano!
A Pasqua ho parlato ai miei parrocchiani del neocapitalismo, gli ho detto: “noi ammiriamo questo grande miracolo della storia che è la resurrezione di Gesù, ma ci domandiamo perché Gesù Cristo è risorto? Perché è morto? È morto per dare a noi e a tutti la dignità! Ma noi viviamo con dignità e facciamo vivere gli altri con dignità? Siamo capaci di guardare in faccia i grandi fenomeni della storia? Oggi parliamo di globalizzazione, ma sappiamo cosa significa? Significa che le “multinazionali” verranno annientate, e noi che siamo molto più piccoli di una “multinazionale” che fine faremo? Voi pensate di essere ricchi perché avete dei soldi in banca, ma guardate a fine anno se sui vostri libretti di risparmio c’è il capitale che avevate a gennaio?”.
Naturalmente a fine messa i miei parrocchiani mi hanno detto: don Nicolino, ma che c’entrano con la Pasqua tutte quelle cose che ci hai detto?
E avevano ragione. Che c’entrano? C’entrano se pensiamo alla dignità che Gesù Cristo ci ha dato.
Per non parlare poi del problema degli extracomunitari che ci sono anche nella nostra zona. In chiesa ho detto ai miei parrocchiani che dobbiamo educarci ad avere un grande rispetto per gli stranieri, dobbiamo amarli e accoglierli. Certamente creano dei problemi, ma anche noi creiamo problemi agli altri. Perché non dargli qualche piccolo pezzo di pane, che loro non hanno, e noi spesso buttiamo?
Fra gli stranieri ci sono dei delinquenti? Ma quanti italiani sono delinquenti? Quanta gente italiana ruba, o rubano solo gli stranieri? Dobbiamo superare questo atteggiamento di diffidenza, dobbiamo creare le condizioni per favorire l’integrazione culturale con queste persone. Dobbiamo aprire le nostre menti, non possiamo continuare in questa maniera. È un errore questa chiusura che abbiamo nei confronti delle altre nazioni. Spesso si tratta di persone che vengono da paesi in guerra, da condizioni di povertà estrema.
Questa è anche la nostra storia, dobbiamo conoscerla, quanti italiani sono andati all’estero? La mia famiglia si è divisa fra l’Argentina, il Canada e l’Alta Italia. Praticamente la mia famiglia si è distrutta. Ricordo i racconti che mi facevano i miei zii, le mie zie, quando qualche volta tornavano in Italia e parlavano delle difficoltà che avevano dovuto affrontare. Non possiamo far finta di niente, limitandoci a dire che gli stranieri creano solo fastidio.
Attualmente, abbiamo il problema che mancano i locali per la Scuola Elementare. Abbiamo fatto un condominio con la Scuola Materna, come parrocchia abbiamo offerto degli ambienti per ospitare la Scuola Elementare. Praticamente come parrocchia, pur essendo dei privati, abbiamo dato i locali per la Scuola Elementare che è statale. C’era una situazione di emergenza e noi non ci siamo tirati indietro. Anzi, ho detto al mio Vescovo: guarda che se non troviamo i locali per la Scuola Elementare, io sono pronto a dividere la chiesa. Il Vescovo mi ha risposto che, anche se io sono un “dissacratore”, dividere la chiesa gli sembra un po’ eccessivo! Ma io credo che Gesù Cristo vuole che i bambini vengano istruiti, quindi se non troviamo dei locali, divido la chiesa con del cartongesso e faccio delle aule scolastiche, Gesù capirà!
Sulla scuola mi sto impegnando molto, in campagna non possiamo accontentarci di avere una scuola dell’ottocento, senza biblioteca, senza palestra, senza piscina. Una scuola di campagna deve guardare all’avvenire, deve offrire ai ragazzi la possibilità di crescere e di conoscere. Anche perché noi abbiamo tanti bambini intelligenti, aiutiamoli a diventare persone responsabili di cui la società ha tanto bisogno. Organizziamo una scuola capace di orientare i bambini attraverso la multimedialità, la musica, lo sport, l’arte. Non dobbiamo pensare ad una scuola fatta solo per i bambini, ma ad una struttura dove possono andare anche gli adulti, i quarantenni, i cinquantenni e sessantenni che non hanno avuto la possibilità, per tante ragioni, di studiare, diamogli la possibilità di incontrare un po’ di cultura.
Diamogli la possibilità, da adulti, di assecondare questi interessi e vivere tranquilli.
Quando parlo di queste cose mi sento rispondere che si tratta di progetti avveniristici, che noi siamo una piccola realtà. Ma qui intorno non esiste una struttura del genere e quindi, Madonna Grande, potrebbe diventare un punto di riferimento a disposizione anche dei paesi vicini: Campomarino, San Martino, Serracapriola. Se vogliamo migliorare le cose dobbiamo formare meglio i nostri ragazzi, altrimenti arrivati a vent’anni, dopo aver concluso le scuole, non sapranno far niente.
Dico ai miei parrocchiani: io ho ottant’anni e ho ancora tanta voglia di costruire, di fare. E che cavolo! Voi avete vent’anni, venticinque anni, trent’anni e non volete fare niente? Ma che vita è? La vita è bella ma bisogna saperla vivere pienamente.