GUARDIALFIERA _ Si richiamavano i merli fra i rami nei giorni scorsi sotto i comignoli fumanti di Guardialfiera, mentre volteggiavano ad inchiostro i passeri lungo le spalliere della provinciale che mi portava in paese. Più m’arrampicavo, più la neve era fresca e il tergicristallo in difficoltà, arginava il sovrapporsi dei fiocchi. Un mutevole e rapido alternarsi di rannuvolamenti e sprazzi di luce, col termometro a meno due. Una nevicata prenatalizia quasi a purificazione di un mondo sporco che ci piace sempre meno. E rifletto fra me e me e guardo il cielo. Son tanti secoli che, giorno dopo giorno, una grande turba guarda il cielo. Gli umili, gli sfiduciati, quelli che non hanno niente da perdere, guardano in alto.

Aspettano, perché sperano e credono che lassù c’è qualcuno che s’interessa di loro. Penso al Presepe vivente di “Piedicastello “. E mi vien voglia di raccogliere – con la stanchezza dell ‘anima che nasce forse dal troppo oziare o … dal troppo fare – di raccogliere per la 241\ edizione, un pensiero quest ‘anno proprio sulla Speranza, la seconda virtù teologale. Sulla speranza che, probabilmente, abbiamo perduta. Perché noi, uomini del quotidiano, abbiamo perduta la caratteristica di credenti. Tendiamo a paradisi che le potenze e gli uomini autorevoli e cialtroni, cercano anc.ora di costruire, trionfando sulla fame, sull’intrallazzo, sulla schiavitù del lavoro, sulle mazzette. Non abbiamo più la capacità di guardare il cielo, nella prova, nello sconforto, nella sconfitta.

Persino nel peccato. Non sappiamo più uscire dalla nostra opinione, dalla nostra delusione, dalle nostre paure per intravedere quel filo si speranza attraverso il quale percepire che nel Presepe “Dio viene a salvarci “. Isaia, il profeta dell’avvento e del natale, rassicura che “la speranza dà forza allo stanco e moltiplica il vigore del volenteroso “. Irrompe il Natale e, intorno a noi, esplode tutto l’arsenale commerciale; la grande fiera di spreco e di superfluo che sembra asfissiare lo spirito profondo della “Capanna “. Ma la speranza tuttavia, affiora nella magìa della cripta, con provocazioni interiori. Assimilando nel Presepe, in quello voluto ed allestito da Angelo, da Tiziana, da Antonio;da tutta la équipe “prolocale “, assimilandolo, avvertiamo disgusto ali ‘impasto quotidiano di cronaca, al vocabolario del mondo, ai meccanismi perversi che generano indignazione, alle cause di situazioni disumane che non sono più fatalità. E s’intrecciano, seppur con formalità, come ogni anno, sull ‘itinerario del Presepio, auguri e annunci silenziosi di liberazione. Lì si riorganizza la speranza Come a dare carne e sangue agli aneliti di tribolati, disoccupati, licenziati, precari, cassintegrati, di studenti adirati e di ricercatori frustrati; di quanti, insomma, anche nel Molise, potremmo chiamare per nome e cognome.

La speranza, come quella disegnata, sognata e vissuta da Tonino Bello, il vescovo dei disperati, è l’unica in grado di dissetare la sete di giustizia e soddisfare quel bisogno di felicità sepolto nel nostro cuore inquieto di uomini. Quella speranza che, nella contemplazione del Bimbo che dorme sulla paglia, ci provoca il brivido, ci toglie il sonno e ci fa sentire il guanciale del nostro letto, duro come un macigno, finché non avremo assicurato un sonno tranquillo ed un futuro sereno ai nostri figli e ai discendenti nostri. Dio che diventa uomo, ci fa sentire vermi ogni volta che la carriera rappresenta l’idolo della vita ed ogni volta che il sorpasso è compiuto sulla schiena del prossimo. L’incanto nuovo delle scene, il fascino rafforzato dei piazzoli, delle casupole di calcina, lo stupore dei gradini bianchi corrosi dai passi, la fragilità dei pastori, ci ispiri a Guardialfiera la speranza e il desiderio profondo di guardare in alto e di “vivere poveri “, come in quella misera famiglia di Betlemme, dalla quale, paradossalmente, è scaturita la ricchezza più grande e più profonda della storia.

Vincenzo di Sabato

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