Galleria Fotografica dello “Sparo”
1959 Carro dei Giovanotti in paese
SAN MARTINO IN PENSILIS – Amata o odiata, orribile o magnifica: da sempre la Carrese rappresenta uno spettacolo discusso che anima le coscienze delle persone. Da anni ormai ribolle un’accesa polemica tra chi vorrebbe abolire definitivamente questa corsa e chi, invece, la difende a spada tratta. E quest’anno, per la prima volta dopo millenni, hanno vinto i dissidenti e la tradizionale corsa dei carri ha subìto uno stop: “chi non è nato e cresciuto con la Carrese nel sangue non riesce a capire cosa rappresenti per chi la vive ogni anno” dichiarano i residenti. Come ogni città che si rispetti anche il Molise ha una storia ed una tradizione che da secoli accompagna le varie generazioni. L’origine della Carrese si perde nella notte dei tempi tra storia e mito e deve la sua nascita al ritrovamento delle reliquie di San Leo, il Santo Patrono di San Martino in Pensilis, i cui festeggiamenti ricorrono il 2 maggio. Durante l’ultimo millennio la corsa si è svolta senza problemi e nemmeno la Seconda Guerra Mondiale ha impedito che i festeggiamenti avvenissero; segno che la dedizione del popolo supera ogni conflitto immaginabile. E così ogni anno, il 30 aprile, i carri vengono trainati da due buoi ciascuno (per un totale di quattro visto il cambio di metà tragitto) e fatti correre lungo il percorso di circa 8 chilometri che collega la partenza nell’agro di Campomarino all’arrivo sotto l’Arco di Porta a San Martino.

Per capire meglio questa tradizione è utile fare un breve excursus storico: l’utilizzo di animali per scopi di competizione era diffuso sia nell’antica Grecia che nel mondo romano, quando ad essere in pericolo non era solo il cavallo od il bue ma anche il cavaliere e lo spettatore che assisteva alla gara. Lo sport era talmente popolare da essere inserito nei Giochi Olimpici ed in quelli Panellenici. La corsa dei carri, così come la conosciamo ora, è addirittura antecedente ai romani: faceva parte delle feste etrusche ed erano organizzate per ricordare le persone care che venivano a mancare, assumendo un significato sacrale. Nel corso dei secoli l’impronta religiosa si è solo trasformata, passando da commemorazione per i defunti ad omaggio del Santo, come racconta la storia di San Martino in Pensilis che omaggia il suo San Leo dedicandogli la corsa.

Nonostante il divieto di svolgere la manifestazione, le città di San Martino, Portocannone ed Ururi hanno dato prova di grande impegno e solidarietà organizzando una fiaccolata in difesa della tradizione e decidendo di percorrere, a piedi, il tragitto della Carrese che si sarebbe dovuta svolgere ieri pomeriggio. Guardarla e cercare di capire che per queste popolazioni è un questione di vita, che non ci rinuncerebbero mai nemmeno sotto tortura, risulta difficile agli occhi di una persona che non la vive tutto l’anno e che la considera come “una barbaria, una tortura” di animali che, per loro natura, non sarebbero portati ad effettuare un tragitto costellato di buche ed asfalto.

Personalmente non ho mai assistito alla Carrese, ma subito dopo il comunicato che annunciava la sospensione della corsa, mi sono recata nelle masserie di San Martino in Pensilis che ospitano le stalle e gli animali posti sotto sequestro per vedere cosa succede. Il clima che si respira non è dei migliori vista la rabbia e la tristezza per la decisione del Tribunale, ma a parte questo l’accoglienza è stata calorosa: da subito sono stata accerchiata dalle persone che si dedicano ai buoi ed ai cavalli e mi hanno assicurato che sono trattati “da re”. Mi hanno spiegato che il loro è un “impegno che dura tutto l’anno” e che gli animali “sono trattati meglio delle mogli”. Dopo aver parlato con loro ed aver posto un po’ di domande sulle origini storiche di questa tradizione ho chiesto se potessi vedere gli animali. Non ho avuto neanche il tempo di terminare la domanda che ero già nelle stalle dei cavalli: in ognuna di esse, accanto ai quadrupedi, c’erano i cavalieri che se ne prendono cura, impegnati nelle faccende giornaliere di pulizia della stalla e cura di criniera e manto. I buoi, invece, si trovano all’interno di un grande recinto, liberi di correre, mangiare e guardare quello che gli accade intorno con la curiosità tipica di questa razza. In inverno e di notte anche i buoi trovano riparo all’interno di un grande edificio. Durante la visita ho toccato con mano la fatica, l’impegno e la dedizione nel curare questi animali, nel difendere le proprie radici e la cultura.

Fermo restando che la decisione spetta al Tribunale e che sarebbe forse auspicabile modificare alcune modalità di gara, nel bene o nel male è una tradizione che permette alle città nella quali si svolge di esporsi, farsi conoscere e pone l’attenzione delle persone su una Regione a molti sconosciuta quale il Molise, attraendo ogni anno migliaia di turisti.

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2 Commenti

  1. basta con questa barbarie
    Non tutte le tradizioni si possono conservare pensate ai duelli leciti fino ad un secolo fa ora scomparsi. Non tutti i giochi possono rimanere, pensate ai gladiatori al Colosseo, alle lotte con le belve, tutto superato, ovviamente, considerato incivile e barbarico. Ebbene, che male c’è se anche questa tradizione, che presenta tratti di violenza e maltrattamento degli animali, finisce fra le inciviltà della storia. Basta con la giustificazione che i buoi sono trattati bene per tutto l’anno. Quando corrono sono pungolati a sangue; correre in quel modo è contro la loro natura; e lasciamoli vivere in pace che ne guadagnamo in civiltà e in dignità. Ringrazio il Procuratore della Repubblica Vaccaro per l’ottimo lavoro svolto. E non pensiate che siamo in pochi a pensarla così. Spero che i nostri politici trogloditi non l’abbiano vinta.