TERMOLI _ Il nuovo modello di fabbrica è un modello che rispetto ai modelli tradizionali è rivoluzionario, i nuovi bacini di acquisizione di manodopera non sono contaminati da culture fordiste. Il nuovo modello di fabbrica non deve conoscere la parola conflitto, non deve conoscere la parola identità. Il linguaggio della Vecchia fabbrica non serve, la stessa struttura risulta essere più snella, quasi mimetica rispetto all’invasività ambientale che aveva cementato il conflitto nell’epoca precedente.

Le parole d’ordine sono struttura reticolare, virtuale, liquidità, domina molto la comunicazione simbolica. Il paradigma che la Nuova fabbrica genera è la fine del primato della produzione anche come dinamica sociale aggregante. La fabbrica tradizionale aveva bisogno delle economie di scala per soddisfare un consumo in continua espansione, con un dispotismo progettuale anche sull’ ambiente circostante. La nuova fabbrica ribalta la prospettiva, il verbo della produzione è subordinato al mercato, un mercato grande, largo e bizzaro, dominato evidentemente da dinamiche non solo di economia reale ma anche di molta economia finanziaria.

Questa irregolarità entra e colpisce il cuore del processo lavorativo, destruttura le pianificazioni, scardina la serializzazione della produzione e la logica delle economie di scala. Sui lavoratori la destrutturazione è stata violenta nel senso che la loro soggettività che precedentemente li vedeva come blocco unico nel regno della produzione ora li vede piegati alla logica pervasiva del mercato e dei cali di domanda, “il cliente prima di tutto”.

Queste modificazioni rendono la nuova fabbrica un vero e proprio organismo, qualcosa di molto diverso dalla fissità, dalla rigidità dei bei tempi, la capacità di reazione ai sincronismi del mercato è istantanea, ciò, evidentemente spezza i tempi morti e quella soggettività operaia, il partito nella fabbrica. L’egemonia si ribalta completamente, si assiste ad un costante, cinico snellimento degli organici, lo logica della minimizzazione dei costi erode violentemente l’apparato produttivo, tutto il surplus viene inevitabilmente espulso. Il lavoro è soggettivizzato, viene riconosciuto come qualificante ma destrutturato, questo avviene nel momento in cui la centralità del lavoro si annulla. L’avversario storico della fabbrica, il sindacato, viene minimizzato e incorporato talvolta, in taluni casi espulso in nome di questa soggettività, l’ imperativo categorico è rincorrere il mercato ma come diceva Joseph Roth questa è una “Fuga senza fine”.

Il paradigma della liberazione del lavoro con il lavoro, l’idea che il “mondo della produzione” potesse “produrre la società” viene annichilita, l’idea che la tecnica possa essere piegata ad esigenze di emancipazione, che il dilemma Capitale/Operaio all’interno del processo produttivo possa generare libertà viene ribaltata in nome di una nuova religione e di un nuovo Dio: il Mercato. Il mercato che vede il lavoro come merce o che lo interpreta nella dimensione gretta ma necessaria del denaro. La solitudine dell’operaio sta nel suo riconoscimento di soggetto produttivo. La politica come cultura non ha più interesse a discutere di queste dinamiche, tali discussioni restano recluse nei recinti specialistici dei convegni universitari, nelle strategie aziendali. Gli intellettuali e i giornali, se esistono ancora sono troppo impegnati a discutere del Re Nano o dei vari conflitti di interesse irrisolti, l’orizzonte dei media non ha tempo . Dobbiamo RESISTERE.

Michele Di Giglio, commerciante, insegnante precario, iscritto al PD Molise

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6 Commenti

  1. campagna elettorale
    ci voleva proprio, in senso ironco naturalmente, un altro pseudo giornalista che è pure commerciante, insegnante e per quanto riguarda l’iscrizione al pd avrei dei dubbi visto chi ha sponsorizzato ed appoggiato alle amministrative del suo paese. uno che parla bene e razzola male, visto che ha votato e fatto votare un sindaco di DESTRA.non puoi farti pubblicità per avere una candidatura alle provinciali, promessa dal tuo capo ma forse dovremmo dire capa visto che nei hai più di uno,scrivendo quello che scrivi e sfruttando il grande e grave problema del lavoro in fabbrica. poi sei anche fuori tempo con la tua falce e martello, a cui va tutto il rispetto opinionistico e politico, e con i richiami a cose, fatti e personaggi di 50 anni fa. impara ad essere coerente prima di tutto con te stesso e poi vieni da noi comuni mortali a farci la paternale.

  2. senza parole
    resto senza parole quando vedo la ricerca spasmodica di pubblicità a tutti i costi. conosco l’autore dell’articolo e mi domando quando la smetterà di fare il filosofo, e si, oltrei alle tre identificazioni già da lui indicate deve metterci anche questa. peccato che non essendo ancora cresciuto debba decidere cosa fare da grande. i suoi seguaci, pochi per fortuna, ancora no hanno capito il gioco che lui sta mettendo in atto e quando si sveglieranno sarà troppo tardi per loro. già l’anno passato li ha convinti a votare un tizio che oggi è quel che è con tutta la sua arroganza. svegliatevi, altro che resistere

  3. pasolini coerente
    la solitudine dell’operaio beh perche’ l’estensore dell’articolo il prof.comm. precario pd ecc non provi a chiedere ad un ragazzo che fece una vertenza sindacale? quando faceva l’operaio barista in un bar di Campomarino?probabilmente conosce il bar il paese e’ piccolo!!

  4. ….
    io chiederei anche all’autore dell’articolo se vive da comunista o se invece si è adattato al nuovo mondo. la sua furia, il suo desiderio di arrivare, le sgomitate per un posto al sole, i tradimenti fatti alle persone che credevano in lui sono tutte situazioni evidenti e risapute. che credibiltà pensi di avere? nessuna! solo in qualche piccolo comune molisano…puoi ancora parlare e fare il rivoluzionario…

  5. chiederei
    Chiederei anche un altra cosa quali sono le sue dichiarazioni sulla situazione della societa’ mista del porto alla luce dello scioglimento della societa’ il precario professore commerciante dovrebbe far parte della societa’….cosa dice al riguardo?

  6. Il coraggio di dire la propria senza nascondersi
    Non mi sento di giudicare chi commenta questo articolo,non mi sento di dire se è vero o sbagliato cio’ che si dice sull’autore, ma mi sento di dire che come al solito l’Italia ma piu’ nello specifico in Molise e anche a Campomarino non si smentiscono mai sul non esporsi in prima persona…io ci metto il mio nome come sempre ho fatto, quindi leggere commenti non firmati e come scrivere un libro senza titolo, gradirei che la gente nel dire certe cose sulle persone si esponesse con nome e cognome,o per lo meno và li’ dove sà di trovare l’autore dell’articolo e si confronta civilmente, sempre se ne siete capaci, perchè poi reggere un confronto su tematiche serie come quelle del lavoro non si puo’ limitare a dire tu “predichi bene e razzoli male”…Michè lascia perde,il tuo non rispondere è segno di grande maturità, perdonami ma io certe cose non le reggo, invito tutti questi intellettuali campomarinesi cosi’ attenti a certe dinamiche lavorative a farsi avanti e discuterne da persone civili e non da slogan da mercato..Menomale che a Campomarino c’è gente che pensa ed è la maggioranza