A ricorrere ai giudici capitolini è stato un funzionario dell’ente che, nel 2006, a seguito di reati contestatigli nell’esercizio delle sue funzioni ed all’epoca ancora in corso di accertamento da parte della Procura competente, subì una perquisizione sul posto di lavoro fatta a porte chiuse proprio per rispettare la segretezza delle indagini e della privacy dell’indagato. Pochi giorni dopo, il suo datore di lavoro, il direttore regionale di Ancona, gli comunicava sia l’avvio di un procedimento disciplinare, sospeso in attesa della sentenza definitiva, sia il trasferimento presso altro ufficio di Campobasso e, successivamente, a Pescara. L’ordine di servizio predisposto dalla direzione riportava ben chiaro il merito della vicenda giudiziaria del dipendente e riportava l’intera l’indagine della Procura della Repubblica, sottolineando come i reati a lui ascritti erano: “di particolare gravità” e “riconducibili all’attività lavorativa”. Il provvedimento, oltre che al diretto interessato, era stato inviato ad altri 5 dirigenti aziendali via fax. Ma proprio tale trasmissione dei documenti è finita nella “bufera”.
Per il Tribunale di Roma, tale invio ha concretizzato l’illecito. I dati riservati e sensibili del funzionario, difatti, hanno fatto il giro delle sedi dell’Agenzia delle dogane divenendo noto a tutti i colleghi che hanno appreso le sue vicende giudiziarie personali per poi commentare la situazione. Nelle more del processo penale ancora in corso, il Tribunale del lavoro ha dato ragione al funzionario dichiarando illegittimo sia il procedimento disciplinare avviato, sia il trasferimento ad altra sede. “Va aggiunto che i giudici penali hanno assolto il funzionario per non aver commesso i fatti oggetto delle gravissime accuse” ha spiegato l’avvocato Vincenzo Iacovino di Campobasso, legale dell’impiegato delle Dogane. In prima istanza il dipendente aveva proposto ricorso al Garante della Privacy che però ha dichiarato infondata la sua richiesta. A.R., però, non si è dato per vinto ed ha proposto opposizione presso il Tribunale di Roma. Il giudice gli ha dato ragione.
“Le comunicazioni via fax sono consentite dalla legge, ma nel rispetto del diritto alla protezione dei dati personali degli interessati – ha proseguito il legale Iacovino -. L’agenzia delle Dogane, dunque, inviando il fax senza indicare il nome del titolare del trattamento dei dati personali “ha dato in pasto a terzi e alla loro curiosità fatti assai gravi e riservati dell’impiegato, la cui conoscenza doveva essere consentita esclusivamente ai titolari del trattamento dei diversi uffici presso cui è stato inviato il fax”.