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LECCE _ Da anni Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale Tutela del Consumatore di “Italia dei Valori” e fondatore dello “Sportello dei Diritti” è impegnato in un’ardua battaglia impegnandosi su due fronti: da una parte contribuire a garantire la sicurezza stradale tutelando al contempo la certezza del diritto e dall’altra tentare di proteggere gli automobilisti dagli abusi ed illegittimità degli enti accertatori delle infrazioni verificando la correttezza delle procedure e la regolarità degli atti.

Proprio per queste ragioni, in questi giorni ci siamo interrogati sull’utilizzo dell’etilometro a fiato che ritenevamo e continuiamo a ritenere imprescindibile strumento deterrente per l’abuso nel consumo di alcool da parte di alcuni incauti automobilisti, specie di giovane età, tant’è che da quando gli ultimi governi hanno deciso un vero e proprio “giro di vite” sempre più stringente sulla limitazione dell’uso di sostanze alcoliche per chiunque si mettesse alla guida di un veicolo si è verificata una drastica riduzione degli incidenti conseguenti a tali abusi.

Ciò che però ci pare opportuno mettere in evidenza è l’effettiva valenza probatoria nell’accertamento dello “stato di ebbrezza” dell’etilometro a fiato alla luce della segnalazione di numerosi casi in cui alcuni automobilisti, anche completamente astemi, a seguito dell’esame del cosiddetto “palloncino” hanno subito la contestazione del reato di cui all’articolo 186 del Codice della Strada con conseguenze pesantissime sia per ciò che riguarda la propria patente che per la propria fedina penale, anche al fine di evitare che comportamenti assolutamente non colposi comportino pene per soggetti non responsabili di alcuna violazione al Codice della Strada anche perché per chi viene sorpreso per guida “in stato di ebbrezza” la conseguenza naturale è anche un procedimento penale che porta nella gran parte dei casi ad una condanna certa.

Chi giura di aver mangiato un’insalata innaffiata da abbondante aceto, chi aveva appena finito di degustare un dolciume al liquore o peggio ancora chi colpito da una bronchite sia stato costretto ad usare uno sciroppo alcoolico senza conoscerne la composizione chimica, sono centinaia in tutto il Paese i casi che potrebbero confermare che l’alcooltest non sia così infallibile come qualcuno lo ha voluto dipingere e molti cittadini assolutamente incolpevoli siano stati costretti a pagare comunque le conseguenze.

Ciò anche alla luce della letteratura scientifica che è orientata pressoché in maniera generale a ritenere che la concentrazione di alcool contenuta nell’aria espulsa dai polmoni può variare a seconda di svariate variabili che dipendono da fattori diversificati e perciò soggettivi. Un’interessante e corposa sentenza di un Giudice di Pace di Ancona partendo da assunti di natura scientifica c’invita ed invita soprattutto il legislatore e le autorità impegnate negli accertamenti sulle Nostre strade ad una seria riflessione in merito alla necessità di un miglioramento della disciplina che appare a questo punto lacunosa in merito alla necessità di ulteriori analisi sugli automobilisti beccati con un tasso alcolemico superiore ai 0,5 grammi per litro.

Secondo Giovanni D’Agata, infatti, l’unico metodo certo e scientifico per appurare l’effettivo superamento del limite è l’analisi del sangue che potrebbe essere effettuata in loco al momento dell’accertamento attraverso postazioni mobili o presso il più vicino nosocomio.

Nella decisione cui ci riferiamo il Giudice di Pace di Ancona ha accolto il ricorso di un automobilista che sarebbe stato beccato alla guida “in stato di ebbrezza” condannando la Prefettura al pagamento delle spese processuali, partendo dall’assunto della scarsa attendibilità dello strumento che misura la presenza di alcool nel sangue con l’aria espirata e quindi per difetto di prova. Nelle sei pagine della sentenza il giudice onorario riferendosi anche ai principi della fisica e a citazioni non prettamente giuridiche ma alla bibliografia scientifica maggioritaria, conclude motivando in diritto che non “è possibile parlare di un valido risultato analisi” per l‘esame in questione.

Nella persuasiva motivazione sostiene il giudice che “in virtù della scienza umana, affinché i militi possano procedere ad esatta misurazione del tasso alcolemico presente nell’aria espirata dovrebbero conoscere con esattezza: l’orario effettivo della bevuta, se lo stomaco era vuoto, e nel caso fosse pieno la quantità di cibo ingerita, la gradazione alcolica della bevanda, il peso del soggetto e il sesso, la percentuale dell’acqua corporea, le velocità del metabolismo e lo svuotamento gastrico”. Nel verbale di accertamento sono indicate solo le generalità della persona sottoposta ad esame ma nessun riferimento a quei fattori, “imprescindibili per calcolare il tempo necessario all’organismo affinché l’alcol metabolizzato possa essere espirato tramite i polmoni”. Per questo il giudice “non ritiene la prova fornita dall’etilometro idonea a giustificare il ritiro della patente, non per difetto dell’apparecchio in sé ma per difetto di applicazione della scienza di fisiologia umana”. Il giudice ritiene che “l’etilometro, come applicato dai militi, non osservando i principi della scienza empirica è in grado di misurare solo l’aria presente all’interno del cavo orale”.