TERMOLI _ Cosa significa “Termolesità”? Esistono davvero dei tratti distintivi così possenti tali da farci definire, noi termolesi, appartenenti a una certa “termolesità”? Cosa dovrebbe insegnare, quindi, la scuola a proposito di termolesità?
Immaginate un bimbo cinese, o anche marchigiano, alle prese con le lezioni di Termolesità: è questa l’integrazione immaginata e voluta dai ben più lungimiranti programmi educativi dell’Unione Europea? Non credo. Ancor più per paradosso, pensiamo un po’ a cosa potrebbe accadere se l’esempio di Di Brino, Cocomazzi e dell’Intellighenzia politica locale venisse seguito altrove.
A Vasto, innanzitutto, si porrebbe un problema linguistico, e quindi squisitamente cultural-dialettale. Il Sindaco non potrebbe introdurre la “Vastità” nei programmi scolastici, anche perché la risposta sarebbe che sono già molto “vasti” di per sé. Forse si opterebbe per una più simpatica “Vastaggine”. E così anche i Vastesi avrebbero orgoglio di tornare alla propria gloriosa Vastaggine, salutandosi in Vastese (che secondo la Termolesità diventerebbe “vastarulo”), riscoprendo le amene storie d’amore che nascevano nel tratto vastese del tratturo adriatico, reinventando la storia degli Avalos che diventerebbero i Vastalos.
A Campobasso, la Campobassanità avrebbe un’impennata se solo il suo verace Sindaco si mettesse in testa di introdurre nei programmi musicali del Conservatorio “Perosi” lo studio dei due strumenti molisani per eccellenza: la zampogna e le campane. Duetti di campane e zampogne accompagnerebbero amabilmente l serate dei giovani e meno giovani, ma nascerebbe subito un conflitto con la neo-ritrovata “Scapolosità” degli abitanti di Scapoli, il paese della zampogna, e con la mai sopita “Agnonesità” del paese delle campane.
Nascerebbero simposi riparatori all’ombra del Mario Pagano, al quale sarebbero invitati i più illustri studiosi sanniti. Per poi addivenire alla soluzione di individuare, per tutta l’area in questione, una comune matrice culturale di “Sannità”.
E lì tutti giù a riparlar male della famigerata Sannità Molisana. “Ma come? Ancora con ‘sta Sannità? Ma Iorio non aveva ripianato i debiti col Governo?”
Una enorme confusione socio-glottologica pervaderebbe le nostre terre e i nostri paesi, ciascuno sempre più in gara con se stesso e con gli altri per affermare le proprie primazie storiche-culturali. Ma per allentare le tensioni si organizzerebbero rievocazioni in stile medievale un po’ ovunque. E così i negozi di noleggio di costumi teatrali farebbero fortuna in Molise, con l’inedita rievocazione della sconfitta lessicale di Cercepiccola contro Cercemaggiore, la riscoperta della dimenticata battaglia della pezzata medievale di Capracotta, la straordinaria rielaborazione della leggenda del Drago di Roccapipirozzi che seminava il panico tra i contadini di Pozzilli.
In più, pensiamo a cosa accadrebbe se Roma introducesse nei programmi scolastici la “Romanità”, o Milano la “Milanesità”.
La Romanità: “Saluto al Prof!” “Ave, Prof!”.
La Milanesità: “La ricreazione è abolita. Sarà recuperata a casa tra le 15:30 e le 15:45”.
Lasciamo confinate queste cose al folklore, che è di per sé un ambito nobilissimo e già sufficiente. E ve lo dice un culture del folklore, il “folk”, che sia nostrano o straniero. Perché è nel “folk”, in quanto genere ma anche come linea di produzione di senso collettivo, che si afferma il ricordo. Ma anche il “folk”, non a caso, va avanti, si reinventa, si rielabora.
Nelle ballate di Bob Dylan c’è tutta la Beat Generation e oltre, ma sempre partendo dalla tradizione folk americana, come aveva già fatto prima di lui Woody Guthrie, e come già avevano fatto prima innumerevoli altri cantastorie. Nelle ballate irlandesi suonate negli straordinari pub di Dublino come dei piccoli paesi di Doolin e Dingle, nel selvaggio ovest atlantico, la gente canta e ricanta canzoni vecchie di centinaia d’anni, ma le rielabora, le reinventa, le restituisce nuova linfa con rispetto al passato ma soprattutto con grande fiducia e ottimismo nel FUTURO.
Del resto nulla resta mai intatto, ma “panta rei”, tutto scorre. La storia del mondo è un’ibridazione continua. Grazie alla mescolanza di racconti, culture, stili di vita, l’umanità è scesa dagli alberi, si è messa attorno a un fuoco, ha viaggiato, ha progredito. È proprio questo lo straordinario compito della scuola, da che mondo è mondo: fornire chiavi di lettura per la conoscenza della realtà in perenne mutamento per alimentare lo sviluppo culturale e il progresso civile. È nella conoscenza delle mille forme della diversità che si arricchisce un popolo, e non nella becera chiusura in steccati indefiniti di appartenenza pseudo-linguistica o storica che sembra si vogliano impiantare, alla maniera leghista di Adro – lassù i simboli grafici, quaggiù i programmi scolastici – anche nelle scuole di Termoli.
Intravedo nell’operazione “termolesità” un brutto revanscismo regional-populista che fa leva su semplici istinti e che purtroppo non lascia spazio a più lungimiranti iniziative. Nell’Anno di Grazia 2010, magari, sarebbe più bello e utile pensare a introdurre, nei corsi scolastici, lezioni di multiculturalismo, ambiente ed ecologia, e forse anche Storia della Cina, così facciamo un favore alle nostre giovani generazioni.
Certo, anche il recupero di un’identità fa parte della storia dell’umanità. Ma questo recupero dovrebbe partire più genuinamente dalla consapevolezza della propria identità, come dimostrato per esempio dagli interessanti eventi che hanno avuto luogo durante quest’ultima estate, e non da un’artefatta imposizione di nuove materie scolastiche vernacolari.
Infine, voler bene alla propria città significa innanzitutto essere consapevoli delle regole che amministrano la comunità in cui si vive. Significa, in sostanza, voler bene all’idea di condividere le risorse della propria comunità, siano esse il dialetto, la storia, il folklore, ma anche e soprattutto l’idea di progresso civile che ci permette di portare avanti le nostre attività quotidiane senza correre il rischio di arrivare a sfidarci a duello ogniqualvolta attraversiamo una strada.
Gianmarco Guazzo
secondo me è un bene far conoscere le proprie origini o anche il posto dove si vive
ci abbiamo messo 150 anni per avere una lingua ed una cultura comune e adessso…
io la vedo come una cosa positiva…ma a questo andrebbe aggiunta una buona dose di educazione civica ai nostri giovani