Un altro artista termolese che ha lasciato opere di qualità.

TERMOLI – Era il 1962 quando mi iscrissi alla facoltà d’architettura di Napoli. Fu una scelta molto sofferta e molto appassionata. I soldi erano pochi e sarei dovuto vivere con le quarantamila al mese che mi inviavano i miei genitori, comprensive di vitto, alloggio e tutto il gravoso ma indispensabile materiale di cartoleria: fogli, matite, compassi, uscite culturali, ecc… Cercai subito i contatti con termolesi che studiavano a Napoli. C’era anche Tonino Crema che era già lì da circa dieci anni. Uno dei miei primi incontri con lui a Napoli è descritto fedelmente nel mio ultimo libro: “Termoli, Napoli, Milano… SOLO ANDATA.
“…Con 250 lire a pasto, andavo a mangiare da “don Peppino”, un piccolissimo ristorante nel vicolo proprio sul lato sinistro della facoltà. Individuai subito Tonino Crema insieme all’amico Frisini. Erano entrambi fuoricorso da almeno cinque anni. Negli ultimi tempi si erano dedicati a scrivere dispense nelle varie materie scientifiche, da Scienza delle Costruzioni a Tecnologia dei Materiali e Restauro dei Monumenti. Tonino, basso e con i capelli ondulati, brizzolati, insieme a Frisini, che di nome faceva Bartolomeo, un omaccione, alto, moro e sempre ben vestito, giacca e cravatta, ben pettinato, sembravano: la “Strana coppia”. Entrambi molto modesti e cordiali, disponibili in qualsiasi momento a discutere di arte e politica, da Wright a Le Corbusier, fino all’ultimo scandalo edilizio della città, sempre con intelligenza e dovizia di particolari. Tonino mi accolse con una tipica esclamazione termolese:
“Pe’ lu’ sanghe de San Tasche, te l’hi fatte ddu’ bagne! Si’ nire, nire ca me simbre ‘n africáne!”.
“Uhé! – gli risposi sorridendo – mo’ te si’ ‘mparáte pure a gastemâ?”.
“Ma no, ne canusce a San Tasche? ‘Hé ‘u Sante di’ peverille pecchè té’ ‘a tasche…’a sacchétte, sèmpre vacande… senza solde”.
“Allore ‘hé parènte a Santa Ninde, ‘u sante de chi ‘ne te’ ninde!”. Sorrise…”.
Ci frequentammo per un periodo. Tra le ore in facoltà e i pranzi da Don Peppino, avevamo molto tempo per parlare. I suoi discorsi erano sempre pieni di quella saggezza e preparazione culturale riguardanti ciò che avveniva a Termoli o a Napoli. Fu lui che mi aprì la mente su alcuni “mostri edilizi” che allora si verificavano nelle due città. Parlavamo di urbanistica e di edilizia, di arredamento e industrial design. Al terzo anno, dovendo fare l’esame di Scienza delle Costruzioni, mi recai a casa sua per un mese, tutti i giorni. Abitava in Via Marina, molto lontano da Via Roma, dove abitavo io. Nipote del famoso Achille Pace, conservava con orgoglio sulle pareti del soggiorno, alcuni dei primi disegni del grande critico d’arte termolese. L’esame lo preparammo insieme, sui suoi appunti, naturalmente, tratti dalle lezioni di quel Salvatore Di Pasquale, che in seguito diventerà preside della facoltà d’architettura di Firenze e pubblicherà vari articoli sulla tecnica di costruzione della Cupola di S. Maria del Fiore del Brunelleschi.
Fu in quel periodo che mi mostrò il progetto dell’attuale “Ospedale San Timoteo” che gli avevano commissionato. Rimasi meravigliato, sbalordito e al tempo stesso, incuriosito. I disegni erano attaccati su un tavolo da disegno di dimensioni enormi, 100×170: era fornito di una lunga riga parallela chiamata paralleligrafo che scorreva sul tavolo tenuta da due resistenti cordine laterali che scivolavano dentro due rotelle scanalate; le linee verticali erano tracciate su due preziose squadre in metallo della “Martini”. Inimmaginabile per me che a malapena ne avevo uno 50×70 con tecnigrafo incorporato comprato di seconda mano (sic!).
Mi spiegò che stava progettando l’Ospedale secondo il “modulo” Lecorbusiano: una maglia di pilastri a distanza costante, singola, doppia, tripla. Mi spiegò che, in questo modo, sarebbe stato molto più semplice fare i calcoli della struttura in cemento armato. Senza entrare nei particolari, quello che Tonino mi raccontava era tutto oro colato per me che ero abbastanza digiuno d’architettura. Lo guardavo con occhi interessati e le orecchie ben tese.
L’Ospedale, come tutti sanno, è stato realizzato. Insieme al fratello, ingegnere Michelangelo fecero anche i calcoli delle strutture. Il resto della parte ospedaliera, macchinari, sale operatorie, ecc… fu affidata, naturalmente, a ditte specializzate.
Io, alla fine, sostenni l’esame di Scienze delle Costruzioni. Lui no. Disse che non si sentiva preparato…

Si laureò qualche anno dopo. Con calma, diceva lui. Dopo qualche anno d’insegnamento di Scienze delle Costruzione presso l’Istituto Boccardi dei geometri di Termoli, insieme al fratello, passò alla progettazione di piccoli e grandi edifici e ristrutturazioni. Ne citeremo qualcuna. Fecero costruzioni di una certa qualità, tra cui la Facciata della Scuola Elementare Campolieti a metà del Corso Nazionale, la Chiesa del Sacro Cuore in via Argentina, il Centro Sociale Opera Serena, L’Istituto Industriale (ITIS). Oltre al restauro e il completamento del Cinema Oddo per la Chiesa di S. Timoteo, collaborò anche con l’altro architetto termolese Ughetto Trivelli per la Chiesa del Carmelo. Fedele alla dottrina razionalista, le sue architetture, risentono sempre dell’ispirazione dei maestri che hanno guidato la sua bella carriera di architetto: uso del cemento a vista, dei materiali naturali dell’edilizia, la composizione semplice ed essenziale, razionale.

In seguito, ci siamo persi di vista… il lavoro… la famiglia… i figli. Ho intravisto una volta la sua seconda figlia Daria, che lavora come architetto del Comune di Termoli (buon sangue non mente!). La prima figlia Marina, invece, è dirigente scolastica, preside dell’Istituto omnicomprensivo Schweitzer di Via America a Termoli e di quello di Ripalimosani. È lei che porta il nome della via di Napoli, dove ebbe inizio la vita amorosa di Tonino Crema con la moglie Titta. E allora, a lui e a quel periodo bohémien trascorso in via Marina, dedico questo breve sonetto.

Saverio Metere
Napele: Via Marina! (‘Nu periòde bohémièn studianne Costruzione) T’arercurde Toni’ in Via Marine? ‘U core ce arrapève tutt’i iurne ‘a mmizze a ‘llu casine e ‘lli talurne tra ‘i fòrmule, café, e ’u cappuccine. ‘U pómérigge ‘a cáse jève ‘nu furne… ‘U sòle cóce a Napele ‘a matïne sémbre che te’ i spille, che te’’i spïne. Tu îve sempre sèrïe, taciturne. E Costruzzióne jáve lèntamènte verse a fine d’a préparazióne. “Jáme, Toni’, dumáne stá l’ésáme!”. “Tu si’ preparáte, ‘hi so’ …’n infáme! Ne m’a sènde de fâ ‘n ‘âta fegure. ‘Hi stènghe bbune ‘ssòp’a ‘stu deváne”. Jève accuscì Tonine: pegnule, insicure e pure…bassette ma grande, grande assaje com’e ARCHITETTE! Napoli, Via Marina! (Un periodo bohémien studiando Costruzioni) Ti ricordi Tonino in via Marina? Il cuore si apriva tutti i giorni in mezzo a quei casini e quel vociare tra le formule, il caffè e il cappuccino. Il pomeriggio la casa era un forno… il sole scotta a Napoli la mattina sembra che ha gli spilli, che ha le spine. Tu eri sempre serio, taciturno. E Costruzione procedeva lentamente verso la fine della preparazione. “Andiamo, Tonino, domani c’è l’esame “Tu sei preparato, io sono …un fifone! Non me la sento di fare un’altra brutta figura. Io sto bene su questo divano”. Era così Tonino pignolo, insicuro e anche… basso di statura ma grande, molto grande come ARCHITETTO!