
all’indomani delle elezioni politiche dell’aprile 2008 segnalai, in un articolo di stampa, l’anomalia tutta italiana costituita dall’avere ipotizzato ed applicato, nel lungo periodo di transizione successivo al tramonto della prima Repubblica, un sistema ibrido fatto di coalizioni onnicomprensive, da formazioni disomogenee per estrazione culturale ed identitaria, caratterizzate da una elevata conflittualita’ interna e con l’indicazione del premier per finalita’ meramente elettorali, senza che all’eletto venissero effettivamente attribuiti i poteri previsti nei sistemi presidenziali. Rilevavo allora la necessita’ e la esigenza di costruire un partito strutturato capillarmente sul territorio, capace di catalizzare il consenso intorno a ragioni ideali e politiche omogenee e condivise.
Un partito che interpretasse le istanze , le sensibilita’, le diversita’ delle singole componenti, nell’ambito di una organizzazione democratica. Con il congresso del marzo scorso sembrava che quel percorso fosse stato concretamente avviato, che nelle intenzioni dei fondatori si volesse effettivamente costruire quel partito di massa capace di assicurare governabilita’, ricambio della classe dirigente, di ridare autorevolezza e stabilita’ al Parlamento, perche’ solo un Parlamento autorevole avrebbe potuto avviare la necessaria ed ineludibile stagione di riforme per rendere il Paese piu’ efficiente, piu’ moderno, piu’ competitivo. Ricordo la discussione che si era aperta anche sul nome da attribuire al nuovo soggetto politico, se cioe’ “Partito delle Liberta’” o invece “ Popolo della liberta’”.
E la scelta cadde sulla seconda opzione, nel condivisibile rilievo che la parola “popolo” in luogo di “partito”, da un lato superava il concetto riduttivo di “parte”, dall’altro sottolineava il carattere “popolare e libertario” della nuova formazione . Cio’ che e’accaduto successivamente e’ pero’ l’ esatto opposto di quelle premesse, la negazione di quei principi di chiarezza, di linearita’, di rigore che gli italiani avevano richiesto al nuovo Partito . I personalismi, le conflittualita’, la mancanza di rispetto, le contrapposizioni, le rendite di posizione di soggetti autoreferenziali stanno affossando letteralmente la nuova formazione .
Non c’e’ confronto, non c’e’ dibattito, in una parola – caro Presidente – non c’e’ Partito. E la vicenda romana della esclusione della lista provinciale del PDL non puo’ essere ricondotta ad una “leggerezza” dei presentatori, ma ha radici politiche evidentemente piu’ profonde e piu’ consistenti , erbe infestanti che in un grande partito vanno evidenziate e sradicate finche’ si e’ ancora in tempo. “Rinnovarsi o perire” diceva Pietro Nenni e rinnovarsi, oggi significa, lo si voglia o no , eliminare senza ulteriori indugi, al centro come in periferia, cio’ che il Ministro Rotondi ha di recente definito “ …la banda di incapaci”. Diversamente si sara’ persa forse l’ultima occasione. Si abbia i miei piu’ cordiali saluti dal Molise, Sua terra di elezione.
(avv.Oreste Campopiano)
Segr.reg.N.PSI Molise