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Erminia Gatti
CAMPOMARINO _ Come da copione, negli ultimi giorni di campagna elettorale si registrano toni più alti del solito e qualche immancabile polemica scuote il quadro dei candidati. Il caso più recente è la querelle sollevata dalla ormai ex coordinatrice comprensoriale dell’Italia dei Valori Maria Grazia La Selva, che si è dimessa dal suo ruolo a suon di comunicati contro Antonio Di Pietro ed i candidati locali. La candidata alle europee Erminia Gatti torna oggi sull’argomento, ma per parlare di politiche femminili e della necessità di un forte rinnovamento culturale per cambiare l’approccio ai grandi temi della politica. “Non intendo tornare sulle parole della ex coordinatrice comprensoriale: il tono offensivo e la scelta strategica dei tempi dimostrano da soli la strumentalizzazione faziosa della sua scelta” afferma la Gatti. “Ciò che invece mi preme sottolineare è la necessità che le donne tornino a fare politica guardando agli obiettivi comuni, di genere, che ci riguardano. Se le donne dovessero dare spazio nella politica, come purtroppo ho avuto modo di leggere, a commenti sulle pettinature o i profili delle candidate, sarebbe davvero difficile centrare quegli obiettivi importanti che l’Unione Europea, attraverso il Trattato di Lisbona, ci propone. Mentre noi discutiamo di simili inezie, si allontana nell’indifferenza generale l’obiettivo di raggiungere entro il 2010 il tasso del 60% di occupazione femminile (l’Italia è al 46,3%, oltre 10 punti in meno della media europea). Noi donne dovremmo riappropriarci della consapevolezza che determinate politiche sociali possono essere messe in campo e perseguite solo da nostre rappresentanti, che vivono la necessità di raggiungere pari opportunità nel lavoro e nella società.

Gli obiettivi posti dalla Strategia di Lisbona sull’occupazione femminile sono difficilmente perseguibili se non si considera il contesto socio-economico e culturale di ogni Stato-membro: ad oggi in Italia le donne guadagnano il 23% in meno dei colleghi maschi e molte scelgono di non lavorare perché il sistema produttivo italiano non le valorizza e le discrimina. L’attuale Governo ha cancellato la legge 188/ 2006 (voluta dal Governo Prodi) per evitare i licenziamenti in bianco delle lavoratrici in caso di maternità; ha detassato gli straordinari, misura che non favorisce certo le lavoratrici, ha operato tagli al fondo per la famiglia ed alle risorse dei Comuni che dovrebbero erogare i servizi: non sarebbe il caso di parlare di questo? L’offerta di servizi in Italia e nel nostro Sud in particolare è una misura cruciale, che nessuno segnala: il suo potenziamento è essenziale per consentire la conciliazione tra lavoro e famiglia.

In questo ambito, l’Italia è fra gli ultimi posti in Europa: le reti formali di cura (asili nido) sono scarsamente diffuse, soprattutto al Sud, e rendono la madre l’unico soggetto su cui far conto. Le diverse politiche di sostegno alla vita familiare nei paesi dell’UE presentano sempre tre dimensioni costanti: la compensazione dei costi collegati alla famiglia; i servizi di assistenza ai genitori per l’educazione e la custodia dei loro bambini, nonché i servizi per le persone dipendenti in una società che sta invecchiando; il miglioramento delle condizioni di lavoro, in termini di flessibilità di orari e di accesso ai servizi sul piano locale. Dov’è l’Italia in tutto ciò? Dove sono le donne italiane?

I dati rilevati nell’Unione Europea dimostrano che i Paesi che hanno attuato politiche globali in favore della parità fra donne e uomini, che hanno investito nella qualità dei servizi offerti, come gli asili, e che hanno favorito una certa flessibilità del tempo di lavoro, presentano livelli elevati di natalità, nonché di occupazione: l’Italia non è fra questi. E’ su questi temi che io vorrei lavorare, per le donne che sono madri e lavorano – come io stessa sono madre e lavoro -, per il nostro Sud che ha i livelli di servizio più bassi in assoluto. Mentre noi parliamo di presunti reati di lesa maestà nelle gerarchie di partito, l’Europa chiede all’Italia di innalzare l’età pensionabile delle donne, nel silenzio assordante di molti politici di sesso maschile.

E l’Europa chiede a noi donne italiane un sacrificio immenso, se tutti gli studi della Commissione europea confermano che le donne in Italia studiano di più, ma vengono assunte meno, hanno meno opportunità di lavoro, a parità di lavoro hanno retribuzioni più basse, hanno meno opportunità di carriera o sono addirittura costrette al licenziamento in caso di maternità, hanno lavori saltuari, precari, discontinui, part-time, hanno a loro completo carico il lavoro di cura, e troppo altro ancora.. Come donna, e come donna molisana, vorrei essere a Bruxelles il giorno in cui dovremo far sapere al Parlamento europeo che determinate condizioni di uguaglianza con gli altri Stati membri si possono richiedere solo dopo aver raggiunto l’uguaglianza nei servizi di assistenza alle famiglie ed all’infanzia” Alle donne (e non solo) la scelta.

Erminia Gatti