Giuseppe Astore
TERMOLI _ Ai Ministri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Premesso che: – lo scorso martedì 21 aprile al largo delle coste della Louisiana, nel Golfo del Messico, si è verificata un’esplosione su una piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, che British Petroleum aveva preso in leasing dal gruppo svizzero Transocean, la più grande compagnia del mondo nel settore delle perforazioni off-shore; – l’esplosione della piattaforma, larga come due campi di calcio, oltre alla perdita di vite umane, ha prodotto una fuoriuscita di greggio, tuttora inarrestabile, di cinquemila barili di petrolio al giorno che sta investendo le coste della Louisiana e della Florida con uno sconvolgimento senza precedenti dell’ambiente marino e delle attività umane ad esso collegate.

Si prevede che la fuoriuscita di petrolio a 1500 metri di profondità non potrà essere arrestata prima di due o tre mesi e secondo gli esperti gli effetti negativi di questa catastrofe ambientale sulle coste potrebbero farsi sentire ancora tra 50 anni; – l’amministrazione Obama non ha escluso una pausa delle trivellazioni offshore fintanto che le società’ petrolifere non di

San Nicola (Tremiti)
mostreranno che sono in grado di controllare la sicurezza delle operazioni; – a fronte di danni stimati nell’ordine dei cento miliardi di dollari, una prima azione legale collettiva per diversi milioni di dollari chiama in causa, oltre alla BP, anche Transocean, la societa’ svizzera proprietaria della piattaforma, e Halliburton, il gigante dell’energia che aveva effettuato sull’installazione “riparazioni” che forse sono all’origine dell’esplosione che l’ha fatta affondare.

Considerato che: – delle 115 piattaforme estrattive off shore italiane (99 dell’Eni e 16 dell’Edison) le principali si trovano nel canale di Sicilia e in Adriatico, mentre una è nel mar Ionio, davanti a Crotone; – in Sicilia gli impianti sono stati costruiti nel tratto di mare compreso tra Pozzallo, all’estremità sud-est dell’isola, e Gela; – tre sono le piattaforme in mare davanti ad Ortona, in Abruzzo, mentre una si trova più a sud, all’altezza di Brindisi. Gli impianti sono presenti anche nell’Adriatico settentrionale, ma in questo caso si tratta di piattaforme per l’estrazione di gas e metalli presenti nel fondo marino; – alle piattaforme fisse vanno aggiunte quelle mobili, per la ricerca di nuovi giacimenti. Si tratta quasi sempre di grosse navi che perforano il fondale marino alla ricerca di petrolio, gas o metalli; – l’Italia, secondo fonti qualificate, ha concesso l’autorizzazione ad iniziare i sondaggi ad almeno 16 piattaforme mobili, la maggior parte appartenenti a compagnie straniere come Northern Petroleum, Petroceltic e Puma.

Sette sarebbero le regioni coinvolte: Puglia, Emilia Romagna, Marche, Sicilia, Sardegna, Abruzzo e Molise. A questi interventi, infine, vanno aggiunte un’altra decina di procedure di Via (la valutazione d’impatto ambientale) in corso e in attesa di autorizzazione; – le ricerche sottomarine in corso e di prossimo avvio nei fondali dell’Adriatico fanno intravvedere ulteriori e pericolose ricadute in una regione già fortemente compromessa in termini di inquinamento derivante dalle attività di perforazione ed estrazione del petrolio, da incidenti nel trasporto marittimo e dalle operazioni di carico e scarico, bunkeraggio, lavaggio delle cisterne delle petroliere; – anche se le perforazioni off shore in Italia avvengono a profondità molto inferiori (150-200 metri) rispetto ai 1500 metri dell’impianto della Louisiana, i rischi legati all’attività estrattiva delle piattaforme petrolifere non possono essere sottovalutati e le conseguenze di un incidente che si verificasse in prossimità delle coste dell’Adriatico sarebbero catastrofiche per l’intero bacino, stante la sua caratteristica di mare semichiuso ed il suo delicato equilibrio ambientale;

Si chiede di sapere: – se per le piattaforme petrolifere già operanti nel mare Adriatico o di prossima attivazione le previste procedure di valutazione dei rischi legati all’attività estrattiva sono state condotte con il massimo rigore scientifico e fondate sul principio di precauzione ambientale; – se sono stati attentamente analizzati e verificati i sistemi di sicurezza degli impianti estrattivi off shore – anche sulla scorta del recente disastro verificatosi nel Golfo del Messico – ed approntati adeguati piani di emergenza; – se sono state esaustivamente analizzate e valutate, dal punto di vista sia economico che dell’impatto ambientale, le conseguenze di un possibile incidente legato all’attività estrattiva off shore in Adriatico; – se sono disponibili ed utilizzabili procedure e strumenti giuridici per il recupero totale delle somme dovute, a titolo di risarcimento danni, dalle società responsabili della gestione degli impianti petroliferi; – se il Governo abbia correttamente valutato se il beneficio economico della produzione petrolifera dell’area adriatica possa giustificare il rischio di effetti dirompenti sull’ecosistema marino, già oggi oltremodo fragile, e di danni economici gravissimi al complesso delle attività umane al mare strettamente connesse.

Sen. Giuseppe ASTORE
Sen. Francesco FERRANTE
Sen. Roberto Della Seta
Sen. Sebastiano BURGARETTA APARO

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